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Io e il mondo non ci capiamo (prima parte) 
(capitolo II/I, Testamento immorale, Manni Edizioni, Lecce 2006)

1.
Io e il mondo non ci capiamo.
A turno arriviamo tardi
o io o lui
agli appuntamenti.
Non facciamo alcuno sforzo
forse. Di certo
non sappiamo ascoltare.
Non troviamo
una strada sicura
per le nostre diverse
contrastanti parole.
Così non c’è
campo di battaglia
per vittoriose sconfitte
per onori al merito
o degradazioni solenni.
La storia non registra
nulla, preferisce
mettere a tacere, oppure
non si accorge nemmeno.
Soltanto sole e pioggia
vento e aria che a malapena
si respira.

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2.
Inco-muni-cabi-li-tà
questa lunga parola
sembrava uno scherzo
un gioco di società
quarant’anni fa.
Michelantonioni
perlustratore solista
dei paesaggi urbani
di Sironi  e Vespignani
s’inventava una lista
di personaggi strani:
il moribondo
che non riesce a parlare
il morto
che non sa camminare
il resuscitato
sbattuto in prima linea
che non sa più
ascoltare
la moglie tradita
la figlia smarrita
l’amica avvilita
e nemmeno la vita.

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3.
Un’onda di tristezza
percorreva le storie
del Bergman italiano
impegnato e strano.
E così dalla notte
di Antonioni, all’effetto notte
di Truffò, tutti a dire :
« Stiamo disimparando
a parlare, attenzione
alla dis-assuefazione ».

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4.
Il mondo globale
ha inglobato
in un unico supermercato
rionale
l’artista impegnato
e l’artista impelagato.
Il colloquio si è inceppato
e l’ascolto, violentato
pre-pensionato
come straccio strizzato
è preso a calci
in un prato.

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5.
« Non è tempo d’Antonioni
né di giovani leoni »
dicono sornioni
i caporioni delle televisioni
i metrappensé
delle case editrici osé.
« Diceva giusto Svevo
non siam più
nel medioevo
e Palazzeschi, quando
lo ripeschi ? »
Quanti vivi e quanti morti
per anni e anni
fiumi e marine
grigie pianure
e tristi colline.
C’è stata forse
una titanica
invisibile guerriglia
sparita dai giornali.
Uno scontro disperato
all’ultimo fiato. Ma
ha vinto la censura
la  vita per procura
l’usura, l’abiura
ha vinto il tecnocrate
il fine dicitore
l’arguto commentatore
il finto cavaliere
il vero cafone
l’imbroglione
il pieno di sé
il vuoto di parole vere
di quelle sole poche parole
che servon davvero.
Non una di più bianco
non una di più nero.

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6.
Non ci capiamo
io e il mondo.
Lui non mi perdona
i tappi alle orecchie
la televisione spenta
i libri immortali
l’ingenua ostinazione
nel dir-ciò-che-penso.
Io non gli perdono
il rumore di fondo
le frasi fatte
il perenne omaggio
ai vincenti, l’impunito
oltraggio ai deboli
a color che non sanno
tramutare in ficscion
una povera vita.

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7.
In-capace di comunicare
in-sistente il mondo
ci fa scorrer davanti
assai ripetitivo
un film vuoto
popolato di automi
pieno zeppo
di gente finta
stravolta nel corpo
e nel volto
ma che urlano affare
se tanto
nessuno sente
nessuno vede
nessuno parla.

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8.
Inco-muni-cabi-li-tà
non scherziamo
c’è qualcuno che ci marcia
c’è sempre almen uno
che ci campa. Un tipo
come me, forse.
Ammutolito, non capito
ha rinunciato ad amare.
Ora si vuole sistemare
e poi arricchire
e poi non saprà rinunciare
e poi dovrà tradire
uccidere, condividere
eseguire.
Per arricchirsi di più
per non impoverire più.
Ecco l’identi-kit
del  verme solitario
che cresce
dentro di me e si mangia
le mie parole
me le rivolta contro
me le confonde
me le uccide stravolge
tortura, svuota
oppure copia
rubandomi anche la penna
o il pennello
per ridisegnare
a suo compiacimento
la storia cancellata
del mondo.

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(continua)

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 10 janvier  2014

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