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La scrittrice Claudia Patuzzi nella sua stanza di via Macrobio a Roma
«Se mi alzo e mi muovo per la stanza sento l’ombra del suo sguardo su di me; le sue occhiaie vuote, scure, si posano sulle mie spalle mentre leggo un verso, e la mia voce rimbalza come l’eco sulle pareti bianche, asettiche e incolori, di gesso. Il suo sguardo è lì, dovunque io vada o mi muova, mi sieda e mi rifugi in un angolo, come un chiodo su una parete bianca. È sempre su di me. In effetti non ha occhi ma un piccolo naso ocra scuro là dove posano le orbite. L’ovale del viso e così perfetto e leggero da conferire a quell’impalpabile sguardo una certa grazia. Il naso è dritto e la bocca, tagliata da una linea retta senza espressione, è ferma. Non mi incute paura, ma protezione. Un “genius loci”. Emana solitudine, quell’aria di chi ha avuto qualche indefinita sventura o dolore e che continua a vivere tra la gente, passando per via. Il colletto della camicia spicca sull’ocra scuro dello sfondo di destra. La fronte alta, smisurata e una fascia dello stesso color mattone ferma i capelli del capo. Col tempo ho imparato ad aspettarlo. Appena entro nella stanza è lì, sulla destra, ad aspettarmi, appollaiato su in alto, sopra la mia testa, là dove a volte pesa un crocifisso. Lui non conosce Dio, né dei. Lui vuole me dall’inizio e mi aspetta. L’abbiamo trovato nell’aula all’inizio dell’anno. Chi lo aveva lasciato? Era stato dimenticato? Subito ne ammirai l’insolita fattura, l’aria vaga e misteriosa, tipica dei segnali e dei simboli vuoti che aspettano di vivere sotto lo sguardo di un altro essere. Appena posai lo sguardo su di lui, mi trovai sotto controllo. Egli divenne l’implacabile corollario del mio corpo e del mio essere. Il mio guardiano, il mio fedele e implacabile “Tu devi”.»
Claudia Patuzzi
La scrittrice Claudia Patuzzi (16.3.1951-5.2.2024)



