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il ritratto incosciente

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Archives de Tag: Nuvola

Trieste 1971 (Nuvola, 1971)

17 mercredi Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Nuvola

001_trieste 001 180 Trieste, l’anticamera

Non ho mai dato spiegazioni riguardo alle mie poesie e non comincerò a farlo oggi. Di fatto, tra lo stato d’animo che detta con urgenza una poesia e i fatti o le circostanze della vita, c’è uno sfasamento tale che si ha perfino paura di tradire una delle due verità… o le due insieme. E tuttavia, mi sono chiesto, di fronte a una poesia intitolata « Trieste 1971 », che diranno i miei eventuali lettori? Di sicuro, se hanno visitato personalmente Trieste o, almeno, sanno dove trovarla sulle carta d’Europa, essi si domanderanno : perché parla di Trieste, costui? (1)

000a_Trieste_Cattedrale_di_San_Giusto NB 180

Sì, certo, Trieste è a un tiro di schioppo da Venezia, la città dove mi sono recato insistentemente a ogni momento cruciale della vita. Ma una Trieste vista di sfuggita — nel « prolungamento » di una fuga a Venezia o rincasando da un viaggio in Jugoslavia o a Praga — non sarebbe bastata a produrre la voglia di parlarne in una poesia, bella o brutta, eroica o patetica che sia.
Le circostanze della vita sono contemporaneamente semplici e complesse. E quando scattano le occasioni, bisogna essere pronti ad afferrarle al volo. D’altronde, per essere pronti, deve essersi prodotta una maturazione, alla fine di une lunga attesa. Oppure si ci deve essere una vera necessità di uscire da una situazione scomoda, dolorosa…
In febbraio 1970, portavo a termine con l’ultimo esame cinque anni e mezzo di studi universitari, in cui l’entusiasmo e la sensazione di passare da un salto nel buio all’altro erano stati sempre accompagnati da un’angoscia sorda o chiassosa, per ragioni a me ben note che ora non posso spiegare se non con larghi gesti o espressioni vaghe.
In estrema sintesi, posso dire che allora ero soprattutto contento di essermi liberato da questo lustro costellato di giganteschi doveri. Ma ero  sempre andato di corsa, quasi mai contento di me e, anche pensando alle scarse armi di cui disponevo per aprirmi una strada, stavo sprofondando in un una specie di frustrazione, che mi portava inesorabilmente alla solitude e al silenzio.
Ma il Destino non aspettò che un mese per interessarsi al mio caso, dandosi da fare per rimettere in piedi il mio amor proprio e la fiducia in me stesso. Tutti i miei compagni partecipavano all’esame di Stato, passaggio indispensabile per accedere alla professione di architetto. Li seguii senza troppa convinzione in quella sala enorme e stereotipata dove la maggioranza dei presenti, almeno nella prima mezz’ora, non pensò ad altro che a temperare più volte la stessa matita.
Poi, nonostante le mie gravi carenze, riuscii a lanciarmi in un’idea abbastanza organica e logica, che fu apprezzata dalla commissione esaminatrice con la mia più grande sorpresa. Superata la prova scritta, l’orale mi preoccupava meno, a condizione che non mi facessero domande troppo approfondite su certi aspetti scientifici o piuttosto tecnici.
Arrivai all’appuntamento in uno stato di euforia e di spensieratezza che mi aiutò a vendere cara la pelle, conducendo per mano i miei interlocutori là dove avevo conservato le mie principali riserve dialettiche. Scoprii allora che il presidente della Commissione era stato un carissimo amico di mio padre, scomparso da poco più di due anni. Si chiamava Pio Montesi. Mio padre lo stimava moltissimo anche se ne aveva parlato poco, secondo il suo stile.
Pio Montesi viveva a Roma e insegnava a Trieste, dove era il direttore dell’Istituto di Architettura e Urbanistica dell’Università. Subito dopo questo incontro «da una parte e dall’altra del tavolo», Montesi, ben contento di non aver dovuto esercitare la sua influenza per farmi uscire da una qualsiasi difficoltà, aveva manifestato verso di me, con la discrezione che la situazione imponeva, un atteggiamento se non paterno certo benevolo e adatto al mio temperamento orgoglioso e fin troppo sensibile.
Questa madeleinette di Proust dell’esame mi ricorda di colpo la sua voce, il suo curioso modo di attirare l’attenzione con frasi corte e taglienti, la sua inflessione dialettale che entrava in gioco in modo elegante, sempre disincantato e ironico… Dopo questo incontro avvenne per me in un solo istante la miracolosa sostituzione del padre perduto… e la compagnia di una figura carismatica, che aveva vissuto una storia personale che in qualche modo, io lo sentivo, anticipava la mia…
Ricordo rapidamente che Montesi non amava parlare a lungo al telefono… che non guidava la macchina, dunque, in modo del tutto discreto, amava essere accompagnato a casa, o al suo bellissimo studio d’architetto… Mi bastano pochi particolari… e la sua nobile figura riprende vita nella mia memoria, come in un film… capelli bianchi come la neve, occhiali da sole, un naso spirituale, un volto pallido o d’improvviso arrossito, forse per i soprassalti della pressione alta. Era sempre elegante con il suo vestito grigio, le sue camicie bianche, la sua cravatta da artista, i suoi calzini bianchi, e quella borsa, mai troppo pesante, ch’egli trasportava volentieri dalla casa di via Labicana al suo studio sulla pacifica via della piramide Cestia…

000b_Trieste_Square NB180

Di questo passato perduto io ricordo ogni dettaglio: non mi preoccupavo quasi mai delle difficoltà economiche o dell’incertezza nel lavoro, anche se ero un giovane padre appena uscito, traumaticamente, da un primo ciclo lavorativo come professore supplente in un liceo.
Quando Pio Montesi mi invitò a Trieste, dandomi così la chance di rendermi utile in un gruppo di ricerca sulle università straniere — la francese e la russa in particolare — io ne fui 
felice e riconoscente
. Si susseguirono i viaggi, le amicizie, la scoperta di questa città incantatrice e ospitale… Il rapporto numerico equilibrato tra professori e alunni favoriva un certo clima di scambio sereno e sempre stimolante, costellato di seminari, gite culturali e scientifiche, cene comunitarie, piacevoli serate a casa degli uni e degli altri… Era una vita privilegiata, che mi lasciava credere, in quei giorni almeno, a un riconoscimento più solido rispetto a quelli che ottenevo nella realtà (o « irrealtà ») romana. Trieste era anche quell’accento del tutto particolare, che dava una consistenza e un colore preciso a questa piccola libertà, protetta e garantita, di cui potevo usufruire almeno una volta al mese…

000c_trieste 2 NB 180

Qui ho appena lo spazio per citare un aneddoto che lo stesso Montesi raccontava per esprimere, con grande sincerità, la diversità tra i suoi due mondi: arrivando a Trieste era accolto con tutti gli onori e, se era il caso, con la banda… mentre a Roma, alla stazione Termini, non c’era mai nessuno ad attenderlo… Diventava allora un viaggiatore qualsiasi, uno sconosciuto con la valigia pesante o leggera come tutti gli altri…
Per comprendere anche la mentalità del tutto particolare e l’onestà intellettuale del mio «secondo padre», Montesi arrivò un giorno a Roma con i suoi alunni, deciso a portare a compimento un’idea assai paradossale in cui mi trovai coinvolto: era l’idea della scoperta di una Roma del tutto insolita… Obbligò infatti il pullman — e i suoi devoti alunni triestini — a percorrere un anello studiato a tavolino attraverso la città degli anni ’50 e ’60… senza mai uscire dalla periferia! Per quelli che non avevano mai visitato la Roma monumentale e privilegiata, e sapevano che non ci sarebbe stato il tempo per vederla, fu un vero choc. Una « grande abbuffata » di palazzoni e palazzine precocemente invecchiati che si traduceva in una specie di incubo… con alcune luminose eccezioni che Montesi aveva previsto come altrettanti premi di consolazione… Ecco un ricordo che avevo ricacciato chissà dove, che meriterebbe, per le sue ombre e le sue luci, di essere ripreso un giorno e salvato dall’oblio definitivo…

000d_panorama trieste NB

Parlerò anche, un’altra volta, dei «giovani» miei coetanei che avevo conosciuto a Trieste in questa indimenticabile e, ahimé, breve stagione, tra cui Aurelio, nipote di Scipio Slataper, un grande poeta triestino, autore tra l’altro di un libro-cult, «Il mio Carso», Giorgio et Diana De Rosa, Costantino Giorgetti.
Purtroppo, dopo una breve «rimpatriata» nel 1994, non ho potuto né saputo mantenere il contatto con queste persone speciali. Oggi, l’inevitabile ricerca di notizie su ciascuno di loro mi ha arrecato un vero dolore : Giorgio De Rosa è scomparso nel 2010 ! Non potrò mai dimenticare le parole che quest’uomo intelligente e pieno d’ironia mi disse al momento dei saluti, nel suo dialetto spiritoso: «comportite bèn!», «comportati bene !» Ma io, ho poi seguito i suoi consigli?
Ciò che poi mi colpisce, oggi, ritrovando nei miei fogli ingialliti la mia poesia in onore di Trieste, qui sotto, è realizzare che questa città straordinaria è stata per me l’anticamera di Bologna. Bologna non sarebbe mai esistita, nella mia vita, se non ci fosse stata Trieste…
Dopo un anno e mezzo circa, le nostra tesi collettiva sulle università straniere era bene o male finita e i miei viaggi a Trieste divenivano sempre più rari, quando fu lanciato un concorso per assumere degli architetti alla regione Friuli-Venezia Giulia. I miei amici di Trieste, conoscendo il mio interesse per l’urbanistica e la mia difficile situazione di lavoro a Roma, insistettero con Montesi perché mi incoraggiasse a presentare la mia candidatura. Era molto facile, allora, una cosa che sembrerebbe del tutto inverosimile oggi. Ma, parlando di me, Montesi disse : «Non credo che lascerebbe Roma per venire quassù!»
Questa frase cambiò la mia vita. Sulle prime, restai deluso: sarei partito immediatamente per vivere a Trieste, o a Milano, o a Torino, o anche in una qualsiasi città straniera se i miei titoli e le mie conoscenze linguistiche l’avessero permesso…
Nel 1970, con 22 anni di « ritardo », fu realizzata, in Italia, una delle più importanti riforme previste dalla Costituzione repubblicana: le Regioni.
Tra il 1970 e il 1972, tutte le Regioni dovevano assumere importanti poteri in materia di urbanistica e assetto del territorio. All’epoca, preso com’ero dalla ricerca incessante di lavoro e dalle contrarietà esistenziali sempre più palesi, non avrei forse saputo niente di tutte queste opportunità.
Non mi fu difficile convincere Montesi, quest’uomo generoso che sapeva farsi carico della vita di un altro. Ormai, la possibilità di partecipare al concorso della regione Friuli-Venezia Giulia si era dissolta. Forse il mio maestro aveva ragione: il mio trasferimento a Trieste non sarebbe stato una buona idea… Montesi mi aiutò invece, con entusiasmo, nella decisione che mi condusse, in poco tempo, tra soprassalti psicologici che andavano al di là delle difficoltà effettive, in quella Bologna d’elezione di cui non finirò di tessere le mie lodi più sincere.
Se penso soltanto che quest’uomo è scomparso nel 1981, solo undici anni dopo il nostro primo incontro… E trentaquattro anni sono trascorsi, ormai, da quell’ultimo addio, nella sua bella casa che non avevo mai visto prima !
Mentre voi leggerete questa poesia, io la rileggerò con voi. Certo, una poesia, da sola, non può restituire interamente un pezzo di vita intenso e ricco di meraviglie… Forse un giorno la riscriverò, o la trasformerò in un racconto, cercando di riversare in esso questo sentimento di angoscia frenetica e di compulsiva gioia di vivere che accompagnava i miei giorni di attesa, i miei lunghi viaggi solitari, i miei incontri con questi personaggi, notevoli per molteplici aspetti, le mie passeggiate distratte con Diana e Giorgio, Costantino e Aurelio, i miei appunti, mai sereni, mai organici…
Giovanni Merloni

002_trieste 002 180

Trieste 1971

Di ogni città trattieni
le incerte memorie:
passa dentro al tuo corpo
allungato, bianco e grigio
l’inquieto incrocio delle colline e del mare.

Dalla tua bocca scolorita
sussurri onde calme e salate,
descrivi, in un fumo azzurro
strane piazze palladiane
finite, infinite, estranee, parenti.

Di ogni città accogli
il gesto e la parola:
chiuso tra i vetri e gli stucchi
di vecchi caffè affacciati alla bora,
confidi l’antico sapore viennese
l’antico rituale di statue sepolte
di nascondigli di ebrei e di poeti
il lento passaggio d’infiniti esili.

Di ogni parola dei poeti
di ogni foto autentica di Freud o di Svevo
conservi la distratta ordinata scansia:
ma c’è stata anche Roma, anche qui
a travolgere l’esile bacio
il sottile fazzoletto dipinto
del Carso nel debole mare.

Di ogni città rifai
le forme moltiplicate e sfuggenti,

ma intanto conservi, attenta,
una tua aria segreta, un confine
inesistente di infinite lingue diverse
e questo paesano andare sui monti
rotolando, ridendo, tra rocce e sterpi,
arido e luminoso destino
che il mare di cartolina
rimanda tenue, vivo, bello.

Nei giardini discreti di glicini incantati
tu ricrei, in una mattina di debole sole,
questa nostra terra di nostalgia
di malinconica decadenza.

Di ogni memoria vagabonda
di ogni passaggio eroico tra i fuochi
tra le parole più vive
tu sei il corpo infelice che amo.

003_trieste 003 180

Giovanni Merloni

TESTO IN FRANCESE

Una famiglia (Nuvola, 1970)

30 mercredi Juil 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

001_la lavandière 180

Una famiglia (1970)

C’era una volta
una lavandaia analfabeta
con le mani rosse e spaccate
con la faccia pallida di cenerentola
sempre sola in casa
con quella peste di suo figlio.

Quando il marito tornava
un orco dai denti tutti storti
e l’alito pesante
e l’arroganza di uno zingaro
la lavandaia cominciava a tremare
perché a forza di lavare
si dimenticava sempre
di cucinare.

E’ mai possibile? – urlò l’orco-porco
e si mise a inseguire la moglie
brandendo un enorme prosciutto.

Intanto il figlio piscione piangeva
disperatamente
il telefono suonava
la casa era allagata
invasa da barchette di giornale
e la lavandaia, per non sapere
né leggere né scrivere
piangeva e urlava:
Idiota, idiota,
idiota, porco idiota…

001_la lavandière 180 NB

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 30 juillet 2014

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Il pianto è quasi la morte (Nuvola 1967)

11 vendredi Juil 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

001_statua 180

Il pianto è quasi la morte (1967)

Il pianto è quasi la morte.

La ferita si annida nel bianco
annunciando la morte
una morte più bianca del bianco.

Ah, quanti ricordi
fa ritornare la morte!

Ma il pianto
si affonda subito
in pieghe più tristi
più oscure
più nitide
e profonde
in vicende remote
e straniere.

Oramai i suoi ricordi
non ci appartengono più.

002_pensoso 180

Si avvicina al suo letto
la morte
avanzando ad unghiate
col suo incedere lento
cancellato dall’erba.

É l’amore che arreca la fine
a quest’uomo che mai ha parlato,
che ci dice, con gli occhi,
« sto morendo da solo,
questo sangue mi sembra
nero, il cielo una nuvola
e l’amore soltanto
un riflesso sfocato ».

003_piangente 180

Scende la sera
tra l’erba e le ortiche
venendoci incontro
con passo scandito,
canticchiando parole
così belle da ascoltare
così dolorose
da ricordare.

Ride la sera
come una fanciulla
e ci accarezza con forza
come una bella donna
poi ci trascina
come un fantasma gentile
nell’abbraccio più stretto
il più dolce.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 11 juillet 2014

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Una poesia fondamentale (Nuvola, 1966)

28 samedi Juin 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

001_appia antica (90) 180

Roma, via Appia Antica, 1961

Una poesia fondamentale

I
Una donna si china.
Dal suo grembo,
come un nodo disciolto,
si sprigiona quel grido
lo stesso ch’io sputavo
piangendo
il giorno che uscii
nella vita.

Non saprò mai rispondere a una domanda
rivolta a me stesso.

002_giardino aranci 180

Roma, Aventino, Giardino degli Aranci

II
Ho infilato di corsa
una strada incastrata tra i pini
(tronchi dritti e ben vivi
appoggiati sul nulla,
che parlavano quasi
mentre il vento voleva
scaraventarli nel cielo).

Scivolando nel buio,
ho attraversato
le voci dei vivi e dei morti,
il tonfo delle ruote,
il silenzio triste del vento.

Correndo, mi avvicino
alla tua porta,
la mia guancia infuocata
oramai sta strusciando
il tuo cuore di velluto.

003_aventino da sotto 180

Roma, Aventino dal Lungotevere

Dietro i pini agitati
le ringhiere tagliano il mare.
Un mare dettato
da un viaggiatore,
un mare gridato
da un affogato,
dove tu navighi, nuda.

Dentro al buio, la luna
sorprende gli ardori
di due amanti stranieri.
Tra cortecce ed ortiche
sprofonda un odore diverso.
La mia lunga mano ti prende
farfalla, glicine
fiore d’arancio
gioia grande venuta davvero.

004_discesa 180

Roma, Aventino, discesa.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 28 juin 2014

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Le tue lacrime (Nuvola, 1966)

21 samedi Juin 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

001_diligenza NB 180

Le tue lacrime (1966)

I tuoi occhi sono colmi di stelle
che pian piano scivolano
sulla tua pelle di pesca matura
portandosi dietro una scia,
un lungo nastro che si perde
nella foresta dei tuoi capelli
notturni.

Sono belle le tue lacrime:
una moltitudine di diamanti
strappati dal cuore di una montagna
dove si nascondeva la forza buia
delle tue passioni rimosse.

Posseggono
qualcosa di te
che non riesco a vedere
che però vorrei bere
all’infinito ; somigliano
a carezze, a dolci onde
di pioggia.

Avvicinandosi
a piccoli passi
lavano la mia anima
levigandone le asprezze.

Le tue lacrime
mi regalano la quiete
e il blu del sereno.

002_diligenza NB part 480

Adoro i piccoli passi
delle tue lacrime
quando entrano
come un arcobaleno
nel mio sogno.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 21 juin 2014

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Cielo separato (Nuvola, 1966)

14 samedi Juin 2014

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Nuvola

001_Parigi 1988 180

Cielo separato (1966)

Cielo tranquillo tra le ringhiere
separato impercettibillmente
come te da me.

Sono solo e mi addolora
saper che niente più posseggo.

Cielo disperato tra le fronde
separato dolorosamente
come te da me.

Sfiorandoti con una parola
ho distrutto ogni verità.

Cielo inerte tra i tetti
separato malinconicamente
come te da me.

Ho ucciso la conservazione
la stupida banalità degli istinti.

Cielo morente tra le case
separato violentemente
come te da me.

Sono uscito scalzo nella via
per gridare il tuo nome.

Cielo resuscitato tra le mani
ritornato impercettibillmente
come me da te.

002_Parigi 1988 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 14 juin 2014

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Monotonia (Nuvola, 1971)

06 dimanche Avr 2014

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Nuvola

001_monotonie 180Monotonia (1971)

Monotonia, ti tengo per mano
sei bionda e sottile
hai seni come pugni chiusi
hai labbra come città bruciate
hai occhi come panorami in cartolina
hai voci diverse
per un destino uguale
per un letto invaso da stracci
e rottami.

Hai la voce dell’ambulanza
hai la voce di una televisione idiota
hai la voce di bambini in prigione
hai la voce muta del boia.

002_monotonie 180

Monotonia, latente angustia
di uomini costretti
a litigare tra loro
per conservare intatta
la logica sterile
del potere costituito.

Monotonia, stai per imbavagliarmi
per diventare un abito
una maschera
un filtro tra quello che penso
e quello che faccio.

Non ti voglio mai perdere
mai mai mai…

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 7 avril  2014

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Eri la luce sul terrazzino (Nuvola, 1971)

05 samedi Avr 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

001_terrazzino 180

Eri la luce sul terrazzino (1971)

Eri la luce sul terrazzino
calda come una mano
dentro una goccia.

Eri triste, perfino
nel tuo sorriso
che sfilacciava il mio sogno.

Eri l’incertezza duratura
tra addio e arrivederci
insieme a una strana paura
disegnata sulla morbida bocca
scolpita sulle ciglia sbarrate
filmata al rallentatore
negli inutili gesti
delle tue mani aggrappate
al parapetto.

Ti baciavo, stringendo
tra i pettini dei miei denti
una donna-uccello
imbambolata e straniera.

Tu ti ribellavi, dubbiosa
pronta a fuggire, scagliando
la tua voce rabbiosa
addosso ai miei sguardi
imprudenti.

Mi resta in bocca
il sapore triste del sangue
e i resti consumati
dei nostri corpi accavallati.

Una nuova vita affannata
incombe su di noi inanimata
imperscrutabile e insensata
nel suono disteso dell’estate.

002_campo de fiori anni 80 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 5 avril  2014

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E non sentiremo più niente (Nuvola, 1971)

07 mardi Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

166_et je ne sentirai rien 03 bis

E non sentiremo più niente (1971)

I
Non voglio più parlare di me
scavando dalla memoria o dal resto
né scucire e rifare le persone
come fossero oggetti
la carne come fosse carta.
Non voglio più annientare
le cose che esistono
la tua paura e il mio vuoto.

166_et nous ne sentirons rien 01

II
Poco fa, ieri, si sono sposati
lui già ne soffriva
qualcosa moriva per sempre di lui
nel possesso
e nella confusione di quel giorno
si ostinava a volerti
ma tutti lo riconoscevano
mentre posava per sempre
i piedi
sulla pietra tombale
dei sacramenti
dei paramenti
della noia.

166_et nous ne sentirons rien 02 III
Entriamo a far parte di un mondo
di uomini e donne d’azione.
Le nostre pene sono d’ora in poi
postribolari.
Le nostre vene gonfie d’ora in poi
lavoreranno
per i sensi…
e non sentiremo più niente.

004_il matrimonio dei miei 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 20 juillet 2014

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Un paesaggio soffocante (Nuvola, 1971)

07 mardi Jan 2014

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Nuvola

001_paysage suffoquant 001 NB 180

Un paesaggio soffocante (1971)

Io mi lego al passato.

Il passato mi tira
per la manica,
mi immobilizza.

Nella coltre del mio cappotto
un tempo lunghissimo
si è addormentato
con tutto il suo peso
e continua a galleggiare
intorno a me, prigioniero
di una scatola da scarpe
pullulante di ricordi
come uccelli spaventati
che volano bassi
sopra una terra smossa,
sfiorando le siepi
e i fili spinati
i campi arati
e i pupazzi di neve….

002_paysage suffoquant 002 NB 180

Questa è la storia
maldestra
di un solitario sognatore
convinto di passare inosservato
che è stato, invece,
accerchiato
e perfino viziato
perché non vedesse,
perché non scavasse
nel fondo del pozzo
col suo sguardo
scandaloso e concreto.

Questa è la storia
di uno squattrinato
abbastanza dotato
che ha sempre trovato
qualche aiuto svogliato
che nessuno, peccato
ha veramente ascoltato..

Nel cliché
che fu coniato per me
le mie dure sofferenze
non erano sincere
o erano un lusso.

E se invece
si trattava di gioie
prese al volo, assai rare
ero, allora,
sempre pronto
a fare il comodo mio :
« Non è mai contento
di quello che ha »,
si diceva in città.

Io sono come un arnese
che non volerà mai
i miei legni marciranno
incrostandosi
di ruggine e viti
le mie eliche dure
e contorte gireranno
a vuoto, aspettando
stupidamente
la morte.

003_variante 180

Ma che bravo il nostro
Giovannino
che sa parlare così bene
così piccolo
ma che tipo,
vedete, un artista,
ma un po’ troppo
originale
ancestrale
diverso.
Ha sporcato il muro
con questi pupazzi
ha fatto un disegno
interessante,
ma un po’ strano,
senza capo né coda.

Nessuno mi ha pagato
per parlare
per disegnare parole
sui muri
per descrivere la sospensione
di ogni uomo
l’ambiguità eroica
di questa società.

004_paysage suffoquant 004 NB 180

Del resto
non potrò mai sfuggire
al mio strambo destino.
Fino all’ultimo giorno
se ridurrò i piaceri
accumulerò i doveri

E più mi sforzerò
di essere coerente, leggero,
distaccato,
più mi troverò assediato,
costretto nei goffi vestiti
di un paesaggio soffocante.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 19 juillet 2014

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