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il ritratto incosciente

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Tira a campare (Diario di sbordo n. 11)

26 samedi Nov 2016

Posted by biscarrosse2012 in racconti

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Diario di sbordo

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Tira a campare 

Per mettere un punto, certo provvisorio, alle suggestioni che produce il me, in questi giorni, il ricordo della città di Napoli e della sua stretta parentela con Parigi, conservo nel mio diario :
— l’immagine poetica di questa città che mi ha mandato un caro amico napoletano. Guido Calenda, professore di Ingegneria Idraulica alla Terza Università di Roma, anche se ha lasciato Napoli giovanissimo, ne conserva un ricordo affascinante e molto efficace ;
— un estratto del « Ventre di Napoli » di Matilde Serao (1856-1927), in cui la scrittrice fa appello agli « uomini di buona volontà », quelli che fanno sempre la storia dalla parte del popolo e di tutti i « deboli » che hanno sempre riscosso la mia ammirazione più incondizionata ;
— il testo di una famosa canzone di Edoardo Bennato : « Tira a campare ».
Giovanni Merloni

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« Mi ha colpito la tua richiesta di parlarti di Napoli. La mia Napoli è una Napoli dell’infanzia ed è quindi ancora piena di mistero, di tetti che si scaglionano in ogni direzione e che sembravano costituire un modo a parte, di vicoli che finivano nell’ignoto, una villa (1) dove ancora si vedevano degli omini raccattare i mozziconi di sigarette usando un bastone con in cima uno spillo, estrarre il tabacco e venderlo, preparando mucchietti differenti per i vari tipi di tabacco, italiano, americano, il virginia inglese… di scugnizzi che viaggiavano attaccati al retro dei tram con grande invidia mia, cui ovviamente non era consentito. E poi l’economia stratificata, con gli appartamenti borgesi in alto e i bassi sotto, in cui si vedevano negozietti con sacchi di granaglie, la pasta sfusa, il venditore che ti chiamava da sotto, e dopo la contrattazione tra strada a finestra gridava alla fine “cala o panaro!”, e giù andava il cestino con qualche moneta e tornava su con il pane o la frutta o le cipolle… e, con la nonna, impastare la farina sul tavolo di marmo di una cucina enorme – tutto era enorme, in una vecchia casa dagli infiniti recessi: gli spazi, le stanze, i mobili, i tavoli che mi ricordo con gli occhi quasi al livello del piano. E poi le terrazze – ce n’erano due – per me mondi dove potevo spaziare – una con l’affaccio sul vicolo dell’Egiziaca, l’altro su Santa Lucia e Castel dell’Ovo e il porto e un mare senza limiti, e i transatlantici che conoscevo uno per uno, sparivano per qualche settimana o un mese e poi di nuovo eccoli lì familiari, immutati, e la flotta americana… E poi infine i negozi di giocattoli, per i quali ho ancora un’infinita nostalgia e sono ciò a cui più mi piacerebbe tornare con gli occhi di allora. Questa è ancora la Napoli della mia fantasia, ma anche se ci torno spesso, a parte le infinite differenze, quello che non trovo più sguardo di allora. Tutto è noto, i contorni sono definiti, la disposizione logica (perfino a Napoli!), l’orizzonte privo di incognite. Non ti posso raccontare la Napoli di oggi perché anche se mi è familiare non mi appartiene più. »
Guido Calenda

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« Che chiedo io, infine, per i miei fratelli del popolo napoletano, che chiedo io come tutti quelli che hannocuore, e anima, salvo che finisca l’oblio e l’abbandono? Che chiedo io, in nome dell’eguaglianza umana e cristiana, salvo che il popolo di laggiù sia trattato come tutti gli altri cittadini, abbia una casa, abbia della luce, nella notte, dell’acqua, della nettezza, della sorveglianza, sia guardato e protetto contro sè stesso e gli altri? Che chiedo, io, se non l’applicazione della legge umana e sociale, trattar quelli come si trattano gli altri, dar loro quel che spetta loro, come esseri viventi, come cittadini di una grande città? Faccia il suo dovere chiunque, non altro che il suo dovere, verso il popolo napoletano dei quattro grandi quartieri, faccia il suo dovere come lo fa altrove, lo faccia con scrupolo, lo faccia con coscienza e, ogni giorno, lentamente, costantemente, si andrà verso la soluzione del grande problema, senza milioni, senza società, senza intraprese, ogni giorno si andrà migliorando,
fino a chè tutto sarà trasformato, miracolosamente, fra lo stupore di tutti, sol perchè, chi doveva si è scosso dalla mancanza, dalla trascuranza, dall’inerzia, dall’ignavia e ha fatto quel che doveva. »

Matilde Serao, « Il ventre di Napoli « , Napoli, primavera 1904

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Tira a campare

Si è bella, lo so che è bella
è la mia città…
Si è stanca ed ammalata
e forse non vivrà…

Si lo so che va di male in peggio (Oui, je sais ça va de mal en pis)
si lo so qui è tutto un arrembaggio
qui si dice: tira a campare
tanto niente cambierà… si dice:

Tira a campare, non cambierà
tutto passa bene o male
ma per noi non cambierà… si dice:
Tira a campare…

Io che sono nato, io che ho vissuto
in mezzo a questa gente
io a volte straniero in queste strade
dove non funziona niente…

Si lo so l’avevo detto io stesso
che è sbagliato e che non è giusto
che si deve fare qualcosa
ma adesso tu non capirai, se dico:

Tira a campare, non capirai
pure io che son dottore
che ho fatto l’università, si dico:

Tira a campare, è meglio qua
qua almeno, bene o mâle
c’è ancora un po’ d’umanità…

E allora dico anch’io: Tira a campare
è meglio qua, tu che vuoi
tu che ne sai, tu che non ci hai vissuto mai
io dico: Tira a campare…
Edoardo Bennato

(1) Parco pubblico al centro di Napoli.

Un Napoletano a Parigi/2 (Diario di sbordo n. 10)

25 vendredi Nov 2016

Posted by biscarrosse2012 in racconti

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Diario di sbordo, Napoli, Parigi

001_alla-finestra-lebelSally Storch, immagine presa da un tweet de Laurence (@f_lebel)

Un Napoletano a Parigi/2

Prima di andare avanti bisognerebbe aprire un capitolo sulla « scaramanzia ». Quante volte, tu ed io, ci siamo chiesti se era il caso di invitare questo o quello, col solo pretesto della sfortuna. Senza contare la paura di certi personaggi dall’aria « contagiosa » :
— Quello è una specie di « Pasquale passa guai », ci trascina tutti nel suo baratro !
Ma poi ci tiravamo un po’ su con quella tipica storiella napoletana in cui succedevano fatti clamorosi a cui seguiva un’altalena di giudizi contraddittori :
« E chi ti dice che sia sfortuna ? »
« E chi ti dice che sia fortuna ? »
Ecco perché, ogni tanto, pur essendo diventato più cartesiano e scettico alla scuola di Voltaire e Diderot, io mi aggiro per il salone di rue de la Lune canticchiando, in modo che Anna mi senta, un ritornello inventato da me :
Non son sicuro che le tue venute
che mi prometti con sol due battute
sian proprio il meglio per la mia salute !
Forse sarebbe meglio ricevere una come te venuta dalla Danimarca. Alta, bionda, schietta, fedele a valori e abitudini sociali molto confortevoli. O una venuta dal Perù. Chissà perché penso che in Perù tutto avvenga in un modo speciale, leggero come l’aria dell’alta montagna di lassù. Oppure una di qui. Potrei parlarle dei « Fiori del male » e delle « Mura » di Parigi. Mi ascolterebbe, magari soltanto per vedere se metto gli accenti al punto giusto.
Ma durante le nostre traversate noi riusciremo infine a dare ai nostri passi un solo ritmo armonico ! Tu stessa constaterai che la storia di questi anni passati nella mia lontananza incosciente e fedifraga saranno più efficaci dei ricordi lasciati laggiù. Ma soprattutto andremo in giro per Parigi, e vedrai anche tu che le « promenades » che si fanno qui non sono molto diverse dalle « passeggiate » di una vita intera a Napoli.

003_banc-public« Un petit tour tout doux »,
texte et image empruntés à un tweet de Laurence (@f_lebel)

Io e Anna abbiamo imparato a eliminare tutto ciò che è superfluo, salvo i ricordi dell’Italia. Quelli, anche se non ci « azzeccano », come si dice a Napoli, rivestono sempre una certa importanza, anzi ne sono rivestiti. Per lei, si tratta soprattutto dei film di Antonioni e Bertolucci, mentre io conservo come un oracolo quelle due bottiglie per l’acqua e il vino che hanno la forma del re Ferdinando e di sua moglie… Sono delle copie senza valore che comprai con te — ti ricordi ? — in una bancarella fuori San Domenico… Ci faceva tanto ridere, il rumore che facevano l’acqua e il vino quando la bottiglia del re o quella della regina si piegava sui calici per riempirli. Sistemate nello scaffale parigino, in mezzo ai miei libri in eterno disordine, hanno perso ormai la loro funzione, pur restando importanti per me. Grazie a loro, Napoli potrà risuscitare alla prima « cena di Babette »… Altrimenti, possono contarsi sulle dita di una mano gli istanti felici in cui la luce del sole penetra nella mia libreria risvegliando dal loro sonno polveroso il re e la regina e liberandoli per un po’ dalla loro prigione d’ombra. Nella coppia regale esplode allora un sussulto di orgoglio e di intima passione, che provoca in me una gioia indescrivibile e una sorta di stupore solenne, come se assistessi al miracolo di San Gennaro !

002_promenade-lebel« Una breve camminata sotto la pioggia fina per schiarirsi le idee »,
testo e immagine presi da un tweet di Laurence (@f_lebel)

Spiegherò ad Anna chi sei e capirà che non è il caso di mandarti a dormire in albergo. D’altra parte tra me e lei non c’è mai stato niente, ci comportiamo come uno zio e una nipote, adottando come unica confidenza la stretta di mano. Spero che approverai la mia iniziativa… La notte, se non riesci a dormire, ti farò vedere le foto delle nostre lontane gite a Procida… Oppure, ti meraviglierò con il resoconto delle mie giornate. Inevitabilmente tutto ciò mi porterà a chiederti che cosa dicono di me i miei amici, che sono anche i tuoi. Di sicuro, mi avranno sistemato, e in fretta, in uno scaffale mentale che chiamano Parigi, o la Francia, dove io non sono altro che un nome-e-cognome ammantato di vaghi ricordi. Non si interrogano mai su di me, ma di certo io qui faccio l’esatto contrario di quello che loro potranno mai immaginare. Vado molto poco a teatro, nonostante lo desideri con tutto il cuore ; non trovo il coraggio né la forza per andare all’opera, nemmeno per vedere e ascoltare coloro che amo più profondamente : Mozart, Rossini, Tchaïkovski… e non sono nemmeno un assiduo frequentatore di tante bellissime mostre che fanno al Luxembourg, al Grand Palais o al Beaubourg. Inutile dirti che non approfitto mai dei saldi di fine stagione o delle presentazioni dei libri. E, cosa ancor più grave, non riesco ad avere lo stesso entusiasmo cieco dei miei concittadini quando il sole, così raro, si istalla per intere mezze giornate… Cosa so fare, allora ? Bighellonare davanti ai banchi dei bouquinistes e camminare !
In passato, con le mie pulsioni di giovanotto o di uomo maturo, camminavo come un forsennato risalendo dai Quartieri Spagnoli alla Villa di Capodimonte, o di notte sul lungomare di via Caracciolo e di Chiaia, e mi sentivo un eroe se arrivavo all’alba nella brutta piazza della stazione, dove però c’era un chioschetto che vendeva le « sfogliatelle » calde.
Ora, a Parigi, benché invecchiato e indebolito nelle mie certezze fisiche, cammino come un ossesso dalla Bastiglia a place de la Concorde, dal bassin della Villette a place de Clichy… A Batignolles, mi sono affezionato a un alberghetto di rue des Dames, a quel giardinetto interno dove sognavo di sedermi con te, dove tante volte ho creduto di vederti negli sguardi di sconosciute o nei loro particolari modi di acconciarsi i capelli, di alzarsi e di afferrare la borsa, la borsetta o lo zainetto… Del resto, alla mia età, l’interesse improvviso per una giovane fanciulla che magari ti somiglia può di punto in bianco mutarsi nell’insospettata curiosità per una vetrina, per un gruppo di passanti o per un vecchio palazzo nobile…
Da un « villaggio » all’altro, prendendo una via disadorna o una via più attraente, non si riesce mai a scoprire da dove vengano, in questa straordinaria città, quel « suspense » da romanzo poliziesco o quell’aspro piacere che si insinua in noi come un reiterato racconto di amori proibiti. Di chi è il merito o la colpa di ciò ? Dei suoi abitanti, intrappolati contro loro stessi da una vitalità che sfiora la disperazione ? Della sua storia, così bella e terribile ? O forse è alla pioggia, a questa « sputazzella » che ci penetra nell’intimo, che daremmo volentieri il premio Goncourt e la maglia gialla con il giro d’onore al Parco dei Principi ? Proprio come Napoli, grande capitale del sud, questa immensa capitale del nord dell’Europa è sempre prodiga di sorprese. Tante variaIoni su pochissimi temi, come nell’aria di Carmen :
Parigi è un uccello ribelle
che non ha mai avuto legge…
Tanti colori, il rosso e il blu in testa, che si distinguono nettamente contro il grigio uniforme delle case e del cielo. I colori dei portoni, dei negozi e e delle botteghe, insieme alle sciarpe multicolori di certe graziose passanti, spezzano l’atavica monotonia delle strade e delle facciate. Del resto, lo dicevi anche tu : « solo le stranezze, le rotture e i gesti irriverenti possono rendere interessante e unica una città. È sempre l’eccezione che conferma la regola ! »

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Ci sono, certo, delle enormi differenze. Parigi è ancora una capitale mentre Napoli non lo è più. A Parigi devi bussare a molte porte prima di poter svolgere una discussione approfondita con qualcuno, prima di entrare in una comunità che poi si rivelerà accogliente, aperta, conviviale e ciarliera. Napoli non aspetta che tu la cerchi, ti viene subito incontro, ti precede anzi, con le sue storie, i suoi drammi, il suo happening quotidiano. Se a Parigi tu sei obbligato a cercare l’incontro, a Napoli ti devi ritrarre, riparandosi in un angolo silenzioso che forse non esiste più.
Ma, chissà perché, nessuno si è accorto di quanto Napoli abbia « preso » da Parigi e viceversa,. Le vetrine di legno dipinto un po’ lugubri delle vie del centro, per esempio. Nonostante la loro crescente rarità, esse esprimono lo stesso spirito spettacolare e intimo della vita. Lo stesso teatro, a Parigi come a Napoli. E quante parole francesi sono entrate nella lingua napoletana ! Potrei fartene una lunga lista : dalla « buatta » (boîte) alle « spingule francese » (épingles françaises) e, naturalmente, ai « supplì »  :
— Te ne supplico, comprami questa palla di riso che brucia dentro mentre dalla sua crosta profumata emana un calore appena percettibile !
A Napoli, abbiamo ancora l’usanza di dare del voi, come in Francia : « Ma voi casa ne tenete ? »
Ti ricordi ? Ridendo, a me e agli altri amici, quando traccheggiavamo a casa tua dopo la mezzanotte, tu ci dicevi :
— Mi sembra che non abbiate la minima intenzione di tornarvene a casa vostra !

004_automne-lebel« Ancora qualche beneficio dell’autunno »,
testo e immagine presi da un tweet di Laurence (@f_lebel)

Mi vedo la tua reazione : avrei fatto tutto questo lungo discorso soltanto per dirti che qui non sei gradita ! Ma no, assolutamente ! Anche se al posto di « gradita », preferisco dire a me stesso che tu sei « bene accetta », che sarai accolta a braccia aperte e a occhi chiusi. Non dimentichiamo però che, a tua volta, sei stata piuttosto recalcitrante prima di accettarmi fino in fondo, prima di prendermi « in braccio » come un trovatello abbandonato in una valigia in fondo alle scale.
Questa mia digressione su « Parigi napoletana » è venuta fuori da sola, del tutto spontaneamente. Del resto, è tale l’agitazione che ha preceduto e accompagna questa lettera, che ho dovuto lasciarli uscire dal loro covo segreto, come perle di un rosario, i ricordi di questa Napoli che « c’è l’ha con me » per le mie rumorose avventure di  « scugnizzo » espatriato di nascosto, senza salutare nessuno, come un ladro ! Cerco di tranquillizzarmi prendendo le distanze dalla mia casa natale all’ultimo piano di via Caracciolo, a due passi dalla stazione di Mergellina. Mi ricordo allora del mio nonno materno, sempre in pigiama, che si divertiva a creare delle diaboliche correnti d’aria aprendo di qua una delle finestre che guardano il mare e, di là, l’oblò di uno stanzino affacciato sulla chiostrina. Un tale accorgimento rendeva più sopportabile il calore provocato dalla grande terrazza che ci faceva da tetto. Poi corro, col cuore smarrito, ai volti sfuocati di mia madre, di mio padre e dei miei fratelli. Tutto è sparito, seppellito o frullato, disperdendosi come ceneri parlanti in altri luoghi perduti di questa Italia dal volto sfuocato anch’essa.
I miei ricordi più dolorosi si collocano alla metà degli anni ’80, che furono terribili, nel nostro paese. Ad una velocità spaventosa, la televisione aveva inghiottito tutto, sostituendosi alle nostre innumerevoli vie e piazze e ai tradizionali luoghi di incontro tra gli umani. Tutto avveniva dentro o dietro questo schermo sempre acceso e mai silenzioso, dove la nostra lingua napoletana si mescolava agli astrusi dialetti della val padana, al siciliano, al genovese, al veneziano, al toscano, mentre, diffondendosi ovunque, la cadenza tipica degli abitanti della capitale — questa lingua della Roma di oggi caratterizzata da un accento sempre più marcato e violento — diventava un collante vischioso e tenace. È là dentro che noi tutti siamo diventati ogni giorno più ignoranti, se non dei veri e propri analfabeti. Nel frattempo, sono sparite la maggior parte delle librerie, le vecchie gloriose librerie di Napoli. Ora, dovrei vergognarmi di vivere in una città, Parigi, dove i libri circolano e la lingua nazionale è accanitamente difesa contro le contaminazioni dei dialetti ? Dovrei considerarmi un traditore e un presuntuoso per aver fatto questa scelta egoista di andare incontro alla civiltà e alla libertà di espressione ?
Non è per la mancanza di libertà o per una libertà ridotta a metà che ho lasciato Napoli. Ci sarei rimasto fino alla fine dei miei giorni se avessi avuto la benché minima possibilità di svolger un’azione positiva, con la speranza che cambiasse qualcosa. Ho cercato, per tutta la vita, a prezzo di ogni sacrificio, di adoperarmi per il meglio, per contribuire con il mio lavoro al piccolo progresso che era lecito sperare per una società in difficoltà, ma indubbiamente piena di qualità e risorse. Ma tu sai bene che in fondo al mio cammino avevo esaurito tutte le mie carte. Era diventato ormai impossibile ottenere qualcosa dall’interno di quell’organismo malato. Non c’era quasi più nessuno che non si trovasse prima o poi costretto a fare il patto col diavolo, a subire la prepotenza di gente disonesta… 
Oppure no ! Si può sopravvivere, dopo una vita di lavoro incessante, con una piccola pensione che ti salva dalla fame. Ma si deve tacere, starmene in un angolo, morire in anticipo… Oppure… si può beneficiare degli ultimi fuochi, gettarsi a corpo morto nel grande amore della vita, in una passione splendida e straziante. E allora Napoli si rivelerà il luogo più adatto. Quale palcoscenico può superare quello di Napoli in bellezza ? Chi può sfoderare meglio i suoi sapori intensi e misteriosi ? Non esiste nessuna città al mondo, nemmeno Venezia, che sia propizia quanto Napoli alle rovine dell’amore ! Ma tu l’hai visto, tu lo sai : ne sei tu stessa la protagonista fatale e l’autrice. Anche l’amore ha vincoli che non si possono eludere né aggirare. L’amore è la gioia e forse anche la morte, ma non è la libertà ! E noi — dopo tutto quello che è successo, dopo aver dovuto inghiottire questa « impossibilità » di essere felici e di sottrarci, attraverso l’amore, alla quotidiana consapevolezza di un destino infelice —, che possiamo fare, noi due ?

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Scusami per tutte queste parole, per queste riflessioni che si ripetono senza produrre apprezzabili novità. Ma potrò ben concedermi qualche illusione ! Accendere qualche luce per festeggiare il tuo arrivo ! Lo sai che sono un ateo impenitente e considero le religioni come maschere tanto necessarie quanto pericolose, a dir poco. A parte il povero Budda in bronzo che mia sorella mi scagliò in testa, provocando in me il bernoccolo della ribellione, questa anomalia che mi ha poi dato tante soddisfazioni.
Ma, se gli uomini di tutti gli angoli del mondo si danno impunemente ognuno un dio differente, non vedo perché non posso anch’io dirti serenamente che tu sei il mio dio quando sono a Napoli, ma non potresti mai esserlo a Parigi…
Su questo punto, noi discuteremo a lungo, la notte, mentre Anna dormirà, ignara. Per fortuna, esiste ancora la possibilità, per gli esseri umani, di vedersi, di toccarsi, di stringersi la mano, di guardarsi negli occhi, di studiarsi l’un l’altro, ognuno a suo modo. Così possiamo indovinare, dopo averci un po’ riflettuto, i sentimenti dell’altro, le sue idee, cosa sta ognuno facendo della sua esistenza. Ora, per esempio, scrivendoti, invoco la tua presenza qui come una cosa ambita, desiderata da tempo, mentre, in verità, non faccio altro che accettare il mio destino. Cerco allora di ammansirti, mostrandomi migliore di quello che sono, ben sapendo che tu mi conosci molto meglio di quanto mi conosca io stesso. Fortunatamente, quando sarai qui in carne e ossa, con tutte le tue curve e i tuoi profumi rari, basterà uno sguardo, o un piccolo incidente quando ti accenderò una sigaretta, perché tutto questo preambolo sparisca in un lampo !
Del resto è sempre stato così. Tocca a tutti, prima o poi, di dover portare una croce, anche se non si hanno sentimenti religiosi né superstizioni nella testa. E allora anch’io, ubbidendo a questa legge, sono pronto : ti aspetto a piè fermo !

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Giovanni Merloni

Un Napoletano a Parigi/1 (Diario di sbordo n. 9)

25 vendredi Nov 2016

Posted by biscarrosse2012 in racconti

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Diario di sbordo

001_tete-bien-coiffee-180Giovanni Merloni, novembre 2016

Un Napoletano a Parigi/1

Mi farebbe davvero piacere vederti arrivare, anche all’improvviso. Incontrarti a una qualsiasi stazione del métro. Sedermi con te a un bar all’angolo e fare colazione insieme. Dedicarti un po’ del mio tempo. Abbiamo molte cose da raccontarci, ma mi piacerebbe, per una volta, soprassedere, aspettare, osservarti in silenzio mentre ritrovi beatamente i rumori, gli odori e i sapori dimenticati di Parigi, questa città di cui fosti tu la prima a parlarmi, facendomela amare ancor prima di conoscerla !
Ora si sono invertite le parti perché tante cose sono successe e tu, ne sono certo, mi parleresti di Napoli, delle persone ancora vive che cercano di fare del loro meglio, di quelle che non fanno altro che danni, di quelle che non possono più fare niente perché sono sparite, puf ! da un giorno all’altro… Ma questi discorsi, io lo so già dove andrebbero a finire : « Ma perché te ne sei andato ? Ti trovi davvero bene a Parigi ? Dimmi la verità !… » Mentre io, guarda un po’ ! vorrei proprio evitare di parlare di quello che « ho lasciato » e di quello che « mi sono perso ». Non ne posso più della « strada vecchia » che sarebbe più sicura e fedele di quella nuova…
Ma non voglio mettere il carro davanti ai buoi, si vedrà, anzi vedremo ! Cercherò di liberarmi dai miei impegni e, se proprio sarò costretto ad andare da qualche parte, ti porterò in giro con me, senza però asfissiarti con l’obbligo della mia presenza : se vorrai girare da sola per Parigi, sentiti libera. Ci daremo via via degli appuntamenti, a cui, certo, io correrò sempre con il fiato in gola.
Mi piacerebbe essere io a decidere che cosa fare, dove andare, almeno il primo giorno. Ma non voglio prevedere troppo, né anticiparti troppo quello che penso, quello che faccio, chi sono diventato. Soprattutto, non voglio sapere nei minimi dettagli le tue prodezze o i tuoi fallimenti. Me ne hai parlato nelle tue lettere, che non mi hanno lasciato indifferente. Anzi, ti ho sempre detto che sono solidale con te. Ma adesso, se vieni qui a Parigi, se vieni per vedere me, non ti portare dietro tutta la tua casa, il tuo ufficio e la città di Napoli. Del resto, lo sai come la penso : per me, quando le cose vanno male, trovo sempre il modo di rassegnarmi e di ricominciare… Quando ormai tutto è stato detto, fatto, bruciato, perduto… quando non c’è più niente da fare, prima di tutto mi dò una bella lavata di faccia, poi, di slancio, mi avventuro subito per una strada nuova, anche straniera, dove posso affidarmi al mistero di facce nuove, di nuovi malintesi forse, ma almeno intravvedo un appiglio, una speranza. Invece tu sei sempre sicura di avere ragione, e secondo te gli altri hanno sempre torto. Non sei veramente disposta a scavare a fondo, per vedere se per caso anche tu hai qualche responsabilità, magari involontaria, in quello che ti succede… Anche con me, ti inalberi subito… E va magari a finire che è colpa mia di tutto, anche se io proprio non c’entro. No, mia cara, parlare di certi argomenti non servirebbe a niente. Anzi, peggiorerebbe la situazione.
Dunque spero proprio che Parigi ci offra qualche distrazione, qualche cosa di bello da vedere o da fare. Finora non ci ha mai tradito.
Già, perché ho scritto « ci » ? Tu non sei mai tornata, per quel che so, da quando sono qui.

002_kees-van-dongen-1923Kees Van Dongen (1923), immagine presa da un tweet di Laurence (@f_lebel)

Ti ho sognato tante volte. Ti ficcavi nel letto e appoggiavi la tua testa castana alla mia spalla, facendomi male. Oppure cantavi, come Marylin :
I wanna be loved by you…
Ero affascinato e, allo stesso tempo, interdetto. Quando mi svegliavo cercavo di capire chi eri. Non potevi certo essere Marylin. Indossavi la sua morbida silhouette per uno scopo che non capivo. La cosa sicura è che eri tu. Dopo ogni risveglio una tremenda nostalgia si incastrava nelle mie lunghe giornate.
Ho scritto che mi farebbe piacere vederti arrivare, ma non sono stato sincero, non ti ho detto fino in fondo quello che penso. Tu mi porterai l’Italia, e questo è un lasciapassare formidabile. Chi va là ? Italiani. Entrate, presto, ma senza fare rumore. Riflettendo credo che chiunque arrivi dall’Italia sia benvenuto nel mio cuore, anche quando non ho tempo. E’ come se rivedessi i primi giorni passati qui, i primi mesi in cui tutto era nuovo e il francese, che credevo di conoscere un po’, si rivelava uno scoglio difficile, se non insormontabile.
Ma non è solo questo. Anzi, per essere sincero, non è affatto questo. Tu verrai dall’Italia, un giorno o l’altro, a portarmi tutto quello che ho lasciato per sempre laggiù con tanta leggerezza. Ma, lo sappiamo benissimo, io e te, la ragione del tuo viaggio sarà un’altra. Tu non sei mai stata il tipo della turista. Dunque dovrei avere i brividi all’idea di vederti comparire davanti a me.
Avrei potuto scriverti, più seccamente : non mi fa piacere vederti arrivare. Soprattutto se avrai l’aria minacciosa di un giudice all’inizio di un processo. Quante volte, la sera tardi, accingendomi a dormire, girandomi sul fianco, trascinando la coperta con la spalla verso il muro, mi viene da pensare : di là che c’è ? E di qua ? Speriamo che non sia lei, che non sia ancora arrivata !

003_arsenique-sansMiles Hyman Lettera d’amore e arsenico (Le Monde, 2010), immagine presa
da un tweet di Laurence (@f_lebel)

Vedi, ormai sono installato qui. Nella mia nuova lingua, pur così penalizzata dall’accento di uomo del sud, mi ci trovo bene. E le nuove letture mi aiutano molto a capire, a ricostruire la storia e la geografia di questo paese, a capire meglio l’Europa e anche la nostra povera Italia. Se i « Miserabili » e i « Fiori del male » mi hanno accompagnato in un corpo a corpo con questa città di tutti, la « Libertà che guida il popolo » e le « Grandi Bagnanti » mi hanno aiutato a sentirmi meno straniero e meno solo.
E poi, che vuol dire « essere stranieri » ? In fondo tutti sono stranieri quando hanno un progetto, un sogno, un talento da assecondare. Anche laggiù dove sei tu, quelli che si ritengono profeti in patria rinunciano ogni giorno a un pezzo importante di loro stessi, in cambio del successo, tanto più tracotante quanto più effimero. E gli altri ? Gli altri sublimano la loro rabbia in sogni di isole inesistenti, raggiungibili con ponti di barche che l’invidia dei potenti si incarica regolarmente di affondare. Evviva, affiora l’isola. Abbasso, crolla il ponte. Qui invece ci sono scrittori, poeti, pittori e musicisti di tutto il mondo a cui non si impedisce di lasciare la loro impronta, piccola o grande. Li sento respirare, di notte, nei vari villaggi di questa sterminata città.
Insomma, proprio ora dovevi venire ? Ora che, dopo dieci anni, cominciavo a farmi una ragione di questo cambiamento, di questa operazione di pulizia che ho finalmente potuto svolgere su me stesso, buttando via tanti oggetti, ricordi e pensieri angosciosi, per lasciare un po’ di posto all’essenziale ? D’altronde, te l’ho detto, credo, le case qui sono piccolissime !
Tu arrivi in un momento in cui mi sto proiettando nel presente, se non nel futuro… eliminando la zavorra e chiudendo le porte ai dubbi… Invece, lo so già, tu vorrai darmi e chiedermi delle spiegazioni, riportando qui il « nostro passato », come tu lo chiami. Credi di portare una valigetta mezza vuota, ma poi che farai, quando ti accorgerai di essere schiava di un baule pieno di sassi ? Io non posso impedirtelo, capisco le tue ragioni, ma lo sai che non amo rivangare i ricordi dolorosi. E lasciami dire sinceramente che non ho mai creduto nel giorno del giudizio.
A meno che tu non sia d’accordo con me nel dire che il giorno del giudizio è tutti i giorni.

004_menilmontantHenri Cartier-Bresson Ménilmontant, Parigi immagine presa
da un tweet di Anna Urli-Vernenghi (@urlivernenghi)

Sai, vivendo, mese dopo mese, anno dopo anno in una realtà estranea, si cessa d’un tratto di essere l’italiano buffo e gentile, il personaggio sorridente che non rinuncia a gesticolare con spreco di energie. Si comincia a possedere delle cose, a ricevere delle lettere, dei pacchi, insieme al giornale e alla pubblicità, come dappertutto. Le nostre case microscopiche si riempiono come uova e anche noi, come gli altri, finiamo per abbandonare per strada le nostre poltrone sfondate e i nostri forni a microonde arrugginiti. Qualcuno li porta via, e la vita va avanti, alleggerita dallo sgorgare periodico di guizzanti ruscelli d’acqua lungo i marciapiedi e, qualche rara volta, dal sole.
Parigi è una città piena di vita, malgrado la miseria e la morte sempre incombenti, come a Napoli. Anche qui si avverte la fragilità di infiniti fili che si possono spezzare da un momento all’altro. Senza processo. A meno che colui che è diventato clochard perché non può pagare l’affitto, non debba sentirsi in dovere di farsi il processo perché mangia e beve quello che trova o perché deve dormire tutte le notti al gelo.
Certo sono sconvolto da questa brutale verità da insignificanti formiche. Ma se le cose vanno tanto spesso male, possono anche andare bene ! Vedere la gente che lavora per fare girare il métro, per esempio. Questa sorta di moto perpetuo che rende viva la città e fa sì che i bar, i ristoranti, gli alberghi, i negozi e le botteghe artigiane sopravvivano guadagnando ogni giorno qualcosa, è il risultato dell’immenso lavoro di milioni di formiche. Certo, la vita di ognuna di queste insignificanti formiche è un mistero.
Ma il solo fatto di vivere in mezzo a loro, di potermi considerare anch’io una insignificante formica, mi allarga il cuore.

005_napoliNapoli panorama

Tu arriverai, un giorno, portandomi il panorama di Napoli con il pino, o la madonna vestita di Procida, o l’odore dei supplì. Ma forse non sarò affatto contento di ricevere tutte queste belle cose così presto, dopo averti tanto aspettato.
Del resto, te lo potevi immaginare : non abito da solo qui, adesso, e tu mi vieni a trovare come se niente fosse, magari vestita in modo anacronistico, sconvolgendo i miei programmi e le mie nuove abitudini.
Ma farò lo stesso gli onori di casa. Ti offrirò la colazione sotto i portici di place des Vosges. Ti porterò a passeggio per il Marais. Entrerò con te in un negozio che voglio farti conoscere, dove vendono cappelli di tutte le fogge e di tutte le epoche, e, in nome del piccolo principe di Saint-Exupéry, ti regalerò un casco da aviatore e una stella…
Poi, potremo girare per ore dentro il Louvre, dove sicuramente incontreremo qualche italiano, magari un napoletano, con cui potrai parlare.. Ma non sarò così maleducato da lasciarti sola con lui davanti alle toilettes dell’Orangerie o nella libreria della Gare d’Orsay. Berrò il tuo calice, come un buon amico, al café all’angolo tra rue du Bac e rue de Varennes, a due passi dal Centro Culturale Italiano. Oppure, se mi darai il tempo e non vorrai subito ripartire, ti inviterò a mangiare una pizza a Montparnasse. Lo so che la pizza che fanno qui non è quella di Napoli ! Ma se sarò con te, mi sembrerà di stare a Napoli. Quanto mi piacerebbe poterti parlare a lungo, facendo finta che ci porteranno anche i « supplì », la « pastiera » e la « granita di caffè con panna » !
Poi, finita la prima schermaglia, raggiungeremo, mi auguro, una specie di intesa. Tu mi dirai francamente quanto tempo pensi di restare. Solo tre giorni ? Un mese ? Sarai tu a dirlo. Ne sono certo, durante il nostro primo incontro tu parlerai pochissimo. Ti preoccuperai soltanto di concedermi un po’ di tempo per prendere una « decisione ». È il tuo tipico modo di fare, e lo rispetto. Ma che cosa dovrei decidere esattamente ? Ritornare a Napoli ?

Ma forse mi sbaglio. Tu mi dirai che non sono poi così importante, che sei venuta soprattutto per cambiare aria e desideri che ti accompagni a vedere qualche mostra o qualche negozio alla moda come facevano le nostre bisnonne viaggiatrici. Non mi resta che mettere in ordine e fare sì che la tua permanenza qui sia tranquilla e confortevole. Starai con me, nell’appartamento molto bohémien di rue de la Lune. Dormirai su un canapè nel saloncino. Anna, la mia giovane coinquilina bolognese, non dirà niente. Di giorno non potremo starci, perché lei lavora in casa. Ma non ti preoccupare, se sarai stanca, ti farò riposare sul mio letto e io andrò a farmi un giro.

Giovanni Merloni

(Continua)

A vederti volare (Zazie n. 48)

25 vendredi Nov 2016

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Zazie

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A vederti volare

Sono stanco di troppa gloria.
Volentieri vomiterei questi regali
questi riconoscimenti, queste statuine :
tutto ciò mi imprigiona
in nuvole di ferro
in orizzonti fangosi
in alberghi dagli odori stucchevoli.

Vorrei scavalcare il tetto
e scivolare in un torrente gelato
aggrapparmi al tuo piede
scivolare tra le tue gambe
stendermi su di te
come un mantello piumato.

Sono stanco di rilasciare interviste
non mi fotografate più
buttate i miei sorrisi stereotipati
cancellate le mie insulse parole
bruciate i miei libri.

Vorrei andare incontro ai miei aguzzini
dirgli cosa penso di loro
farmi fotografare mentre li insulto
e poi entrare con te
in una grotta
aggrottando le ciglia
storcendo il naso
prima di stendermi a terra
inerte, in prima fila
a vederti volare.

002_depuis-le-beaubourg-180

Giovanni Merloni

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