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il ritratto incosciente

~ ritratti di persone e paesaggi del mondo

il ritratto incosciente

Archives Mensuelles: juin 2015

A tentoni (Luna, 1977)

29 lundi Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Luna

002_Retour à Rome001 180

A tentoni

Mentre la tua presenza
fa a pezzi
la mia ancestrale insensatezza
mentre senza veleni
tu mi trasformi
la mia vita cammina a tentoni
con il solo eroismo di urlare
traversando in un soffio
la macchia viola del mare
d’autunno.

Mentre tu accarezzi
i tendini molli
di questa corsa spasmodica
noi ci cerchiamo
l’un l’altro
a tentoni
proprio come avevamo cercato
a lungo
da soli
di toccare il fondo del buio.

Mentre tu fermi il tempo
chiudendo in una nuvola
gli echi
dei miei frenetici andirivieni
noi ci sfioriamo
l’un l’altro
con fiori incandescenti
con parole indolenti
proprio come avevamo sfiorato
a tentoni
da soli
a lungo
in silenzio
la morte
le nostre storie
le storie degli altri…

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright

TESTO IN FRANCESE

Ritorno a Roma (Luna, 1977)

28 dimanche Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Luna

001_Retour à Rome002 180
Ritorno a Roma (1977)

Roma è la sonnolenza
piena di pieghe
di porte chiuse
di piante grasse
di sabbia
smossa dalle tue mani.

Roma è lo stupore
di una strana forza
che mi catapulta
tra le tue braccia
tra le ombre cinesi
dei nostri gesti sconosciuti.

Roma è la verità
dei tuoi capelli mescolati
alle mie braccia abbandonate.

Roma è la lunga parentesi
delle tue parole precipitose
dei miei lenti soliloqui.

Roma è il mio sguardo
che insegue
lungo le pareti
i nostri vestiti di festa
in cerca della loro musica
incomprensibile.

Roma è il piccolo sgomento
di amarti, la speranza
di una vita nuova
la certezza di avere acciuffato
di passaggio
l’ombra pigra e distratta
di un giorno felice.

Giovanni Merloni

TESTO IN FRANCESE

Questa poesia è protetta dal ©Copyright.

Non sono più solo (Luna, 1977)

24 mercredi Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Luna

001_je ne suis pas seul 001 180
Non sono più solo

Sorridendo
hai aperto la scatola del mio petto
come un libro senza copertina
senza pagine né titolo.

Serrando le labbra
hai tolto il ciarpame
dei microfilm, dei nastri di parole
il serpente di gomma
di un assedio cieco, a tentoni,
ai sotterranei della vita.

Chiudendo gli occhi
hai gettato via
gli occhi blu e viola
di una sirena decomposta
che ancora vomitavano
gesti convulsi
parole telefonate
carezze spezzate.

Di nuovo sorridendo
hai cancellato
i sentieri del labirinto
invitandomi
nel tuo liquido abbraccio
steso al sole.

Con un gesto invisibile
hai ridato ai miei passi
la foga rabbiosa
di un ritmo deciso
hai restituito alla mia bocca
la voce saltellante
di una lenta speranza.

002_je ne suis pas seul aph 002 180

Sorridendo,
stringendo i denti
rinunciando a fuggire
resistendo
a occhi chiusi
a occhi aperti
tu mi hai sciolto
liberando i miei gesti
dai grovigli insulsi
dalle trappole
dalle grucce
di una vita passata
a nascondere i sogni
a coprire di ombra
la mia spasmodica voglia
di luce.

Non sono più solo.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright.

TESTO IN FRANCESE

Una poesia ragionata per Jim, Jules e Catherine (Luna, 1977)

22 lundi Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Luna

001_jim jules et catherine colorés 180Una poesia ragionata per Jim, Jules e Catherine

La loro canzone
è triste solo per noi.

Jim
Un uomo ricco solo di parole
non studia i suoi bei gesti tra la luce e il fumo
quali e quante doti
per ingannarlo… Com’è difficile
scovare l’intelligenza,
l’azione vera e adatta, se gli occhi dolci
attenti sanno volare afferrare il vento
sulle cime delle foglie !

Jules
L’altro uomo sembra un gregario
un buon vicino, un infermiere.
Lui non ha amori tenaci, ma un fiore
lo tramortisce. È completo, si ritiene
incompleto. Si basta, ma vorrebbe amare.
È triste come la sua palude di uccelli.

001_panthéon 180

Catherine
La donna che grida la vita
è indifesa, l’ultima della classe
ma è bella, come una statua resuscitata,
simile all’acqua della notte
al fuoco gonfio della mattina.

Jim, Jules e Catherine
Per questi tre la vita non è di cose
eppure i loro oggetti sono vivi
come le loro corse affollate.
Se per loro la vita corre verso la morte
la morte non colora di poesia
la loro spietata follia.

Ma purtroppo la loro canzone dolorosa e trista
riguarda tutti noi,
dal primo all’ultimo della lista.

002_pantheon 180

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright.

TESTO IN FRANCESE

Il palazzo di Atlante (Luna 1977)

21 dimanche Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Luna

001_Uno a 180Il palazzo di Atlante

Il palazzo di Atlante
le scolorite scene di caccia
gli ermetici gesti
dei cavalieri rosa
delle bionde dame in nero
le sere affacciate sul buio della luna
le trecce le ruote le scale di ghiaccio
i rovi e il piccolo sangue nella formalina
gli agghiaccianti racconti
i cani morti, bianchi
avviluppati al disegno delle stelle.

Il grido di una insopportabile tortura
di una vita gloriosa, di una morte dolorosa
i cortei tra i fossati
il cicaleccio delle statue
i santi beffardi i diavoli beffati
il film delle bandiere, delle icone
la storia vestita di cera
la tua bocca viola
il tuo corpo robusto
i tuoi occhi tristi-dolci
il labirinto dei fiori di carta
le lunghe tortuose colonne
come tralicci nel cielo
il provvisorio il definitivo
la calma delle paludi
il disagio degli stregoni
il sussurro dei poeti
le sfere d’acqua del futuro.

002_Due 180

Io ti carico sulla carrozza di fieno
ti soffio il respiro fresco del tramonto
sulle morbide labbra.

Il terremoto delle emozioni profonde
di un abbraccio cupo e delirante
nel groviglio lunare del tuo sguardo
mentre rido piango urlo mi affliggo
osservo dietro uno spesso vetro opaco
l’amore che nasce, l’amore che muore
e questo continuo tu per tu con l’azzardo
che è la mia vita.

Giovanni Merloni

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TESTO IN FRANCESE

All’inizio ti muovevi (Luna, 1977)

19 vendredi Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Luna

001_1977 Genova 180All’inizio ti muovevi

All’inizio ti muovevi
nella casa agitata
con un fare discreto
da ospite
(sembravi capire tutto).

Poi, cercando certezze
ti sei fatto amico
di tuo padre
(un uomo vivo
ma legato, incerto
e come prostrato
dalle mille
piccole fatiche :
interminabili conseguenze
di atti di entusiasmo
e di distrazione).

Sei grazioso
un piccolo scimmiotto
nella piccola tana
di un cuscino peloso.

Verso il cielo
hai graffiato la finestra
come un buffo uccello
che vola sulle mani.

Sei un vero bambino
così evidente
che non ti capisco
così disarmante
che ti verrò dietro
goffo compagno di giochi
nelle vischiose peripezie
di un labirinto.

002_1977 Genova 180

Giovanni Merloni

TEXTE EN FRANCAIS

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Trieste 1971 (Nuvola, 1971)

17 mercredi Juin 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Nuvola

001_trieste 001 180 Trieste, l’anticamera

Non ho mai dato spiegazioni riguardo alle mie poesie e non comincerò a farlo oggi. Di fatto, tra lo stato d’animo che detta con urgenza una poesia e i fatti o le circostanze della vita, c’è uno sfasamento tale che si ha perfino paura di tradire una delle due verità… o le due insieme. E tuttavia, mi sono chiesto, di fronte a una poesia intitolata « Trieste 1971 », che diranno i miei eventuali lettori? Di sicuro, se hanno visitato personalmente Trieste o, almeno, sanno dove trovarla sulle carta d’Europa, essi si domanderanno : perché parla di Trieste, costui? (1)

000a_Trieste_Cattedrale_di_San_Giusto NB 180

Sì, certo, Trieste è a un tiro di schioppo da Venezia, la città dove mi sono recato insistentemente a ogni momento cruciale della vita. Ma una Trieste vista di sfuggita — nel « prolungamento » di una fuga a Venezia o rincasando da un viaggio in Jugoslavia o a Praga — non sarebbe bastata a produrre la voglia di parlarne in una poesia, bella o brutta, eroica o patetica che sia.
Le circostanze della vita sono contemporaneamente semplici e complesse. E quando scattano le occasioni, bisogna essere pronti ad afferrarle al volo. D’altronde, per essere pronti, deve essersi prodotta una maturazione, alla fine di une lunga attesa. Oppure si ci deve essere una vera necessità di uscire da una situazione scomoda, dolorosa…
In febbraio 1970, portavo a termine con l’ultimo esame cinque anni e mezzo di studi universitari, in cui l’entusiasmo e la sensazione di passare da un salto nel buio all’altro erano stati sempre accompagnati da un’angoscia sorda o chiassosa, per ragioni a me ben note che ora non posso spiegare se non con larghi gesti o espressioni vaghe.
In estrema sintesi, posso dire che allora ero soprattutto contento di essermi liberato da questo lustro costellato di giganteschi doveri. Ma ero  sempre andato di corsa, quasi mai contento di me e, anche pensando alle scarse armi di cui disponevo per aprirmi una strada, stavo sprofondando in un una specie di frustrazione, che mi portava inesorabilmente alla solitude e al silenzio.
Ma il Destino non aspettò che un mese per interessarsi al mio caso, dandosi da fare per rimettere in piedi il mio amor proprio e la fiducia in me stesso. Tutti i miei compagni partecipavano all’esame di Stato, passaggio indispensabile per accedere alla professione di architetto. Li seguii senza troppa convinzione in quella sala enorme e stereotipata dove la maggioranza dei presenti, almeno nella prima mezz’ora, non pensò ad altro che a temperare più volte la stessa matita.
Poi, nonostante le mie gravi carenze, riuscii a lanciarmi in un’idea abbastanza organica e logica, che fu apprezzata dalla commissione esaminatrice con la mia più grande sorpresa. Superata la prova scritta, l’orale mi preoccupava meno, a condizione che non mi facessero domande troppo approfondite su certi aspetti scientifici o piuttosto tecnici.
Arrivai all’appuntamento in uno stato di euforia e di spensieratezza che mi aiutò a vendere cara la pelle, conducendo per mano i miei interlocutori là dove avevo conservato le mie principali riserve dialettiche. Scoprii allora che il presidente della Commissione era stato un carissimo amico di mio padre, scomparso da poco più di due anni. Si chiamava Pio Montesi. Mio padre lo stimava moltissimo anche se ne aveva parlato poco, secondo il suo stile.
Pio Montesi viveva a Roma e insegnava a Trieste, dove era il direttore dell’Istituto di Architettura e Urbanistica dell’Università. Subito dopo questo incontro «da una parte e dall’altra del tavolo», Montesi, ben contento di non aver dovuto esercitare la sua influenza per farmi uscire da una qualsiasi difficoltà, aveva manifestato verso di me, con la discrezione che la situazione imponeva, un atteggiamento se non paterno certo benevolo e adatto al mio temperamento orgoglioso e fin troppo sensibile.
Questa madeleinette di Proust dell’esame mi ricorda di colpo la sua voce, il suo curioso modo di attirare l’attenzione con frasi corte e taglienti, la sua inflessione dialettale che entrava in gioco in modo elegante, sempre disincantato e ironico… Dopo questo incontro avvenne per me in un solo istante la miracolosa sostituzione del padre perduto… e la compagnia di una figura carismatica, che aveva vissuto una storia personale che in qualche modo, io lo sentivo, anticipava la mia…
Ricordo rapidamente che Montesi non amava parlare a lungo al telefono… che non guidava la macchina, dunque, in modo del tutto discreto, amava essere accompagnato a casa, o al suo bellissimo studio d’architetto… Mi bastano pochi particolari… e la sua nobile figura riprende vita nella mia memoria, come in un film… capelli bianchi come la neve, occhiali da sole, un naso spirituale, un volto pallido o d’improvviso arrossito, forse per i soprassalti della pressione alta. Era sempre elegante con il suo vestito grigio, le sue camicie bianche, la sua cravatta da artista, i suoi calzini bianchi, e quella borsa, mai troppo pesante, ch’egli trasportava volentieri dalla casa di via Labicana al suo studio sulla pacifica via della piramide Cestia…

000b_Trieste_Square NB180

Di questo passato perduto io ricordo ogni dettaglio: non mi preoccupavo quasi mai delle difficoltà economiche o dell’incertezza nel lavoro, anche se ero un giovane padre appena uscito, traumaticamente, da un primo ciclo lavorativo come professore supplente in un liceo.
Quando Pio Montesi mi invitò a Trieste, dandomi così la chance di rendermi utile in un gruppo di ricerca sulle università straniere — la francese e la russa in particolare — io ne fui 
felice e riconoscente
. Si susseguirono i viaggi, le amicizie, la scoperta di questa città incantatrice e ospitale… Il rapporto numerico equilibrato tra professori e alunni favoriva un certo clima di scambio sereno e sempre stimolante, costellato di seminari, gite culturali e scientifiche, cene comunitarie, piacevoli serate a casa degli uni e degli altri… Era una vita privilegiata, che mi lasciava credere, in quei giorni almeno, a un riconoscimento più solido rispetto a quelli che ottenevo nella realtà (o « irrealtà ») romana. Trieste era anche quell’accento del tutto particolare, che dava una consistenza e un colore preciso a questa piccola libertà, protetta e garantita, di cui potevo usufruire almeno una volta al mese…

000c_trieste 2 NB 180

Qui ho appena lo spazio per citare un aneddoto che lo stesso Montesi raccontava per esprimere, con grande sincerità, la diversità tra i suoi due mondi: arrivando a Trieste era accolto con tutti gli onori e, se era il caso, con la banda… mentre a Roma, alla stazione Termini, non c’era mai nessuno ad attenderlo… Diventava allora un viaggiatore qualsiasi, uno sconosciuto con la valigia pesante o leggera come tutti gli altri…
Per comprendere anche la mentalità del tutto particolare e l’onestà intellettuale del mio «secondo padre», Montesi arrivò un giorno a Roma con i suoi alunni, deciso a portare a compimento un’idea assai paradossale in cui mi trovai coinvolto: era l’idea della scoperta di una Roma del tutto insolita… Obbligò infatti il pullman — e i suoi devoti alunni triestini — a percorrere un anello studiato a tavolino attraverso la città degli anni ’50 e ’60… senza mai uscire dalla periferia! Per quelli che non avevano mai visitato la Roma monumentale e privilegiata, e sapevano che non ci sarebbe stato il tempo per vederla, fu un vero choc. Una « grande abbuffata » di palazzoni e palazzine precocemente invecchiati che si traduceva in una specie di incubo… con alcune luminose eccezioni che Montesi aveva previsto come altrettanti premi di consolazione… Ecco un ricordo che avevo ricacciato chissà dove, che meriterebbe, per le sue ombre e le sue luci, di essere ripreso un giorno e salvato dall’oblio definitivo…

000d_panorama trieste NB

Parlerò anche, un’altra volta, dei «giovani» miei coetanei che avevo conosciuto a Trieste in questa indimenticabile e, ahimé, breve stagione, tra cui Aurelio, nipote di Scipio Slataper, un grande poeta triestino, autore tra l’altro di un libro-cult, «Il mio Carso», Giorgio et Diana De Rosa, Costantino Giorgetti.
Purtroppo, dopo una breve «rimpatriata» nel 1994, non ho potuto né saputo mantenere il contatto con queste persone speciali. Oggi, l’inevitabile ricerca di notizie su ciascuno di loro mi ha arrecato un vero dolore : Giorgio De Rosa è scomparso nel 2010 ! Non potrò mai dimenticare le parole che quest’uomo intelligente e pieno d’ironia mi disse al momento dei saluti, nel suo dialetto spiritoso: «comportite bèn!», «comportati bene !» Ma io, ho poi seguito i suoi consigli?
Ciò che poi mi colpisce, oggi, ritrovando nei miei fogli ingialliti la mia poesia in onore di Trieste, qui sotto, è realizzare che questa città straordinaria è stata per me l’anticamera di Bologna. Bologna non sarebbe mai esistita, nella mia vita, se non ci fosse stata Trieste…
Dopo un anno e mezzo circa, le nostra tesi collettiva sulle università straniere era bene o male finita e i miei viaggi a Trieste divenivano sempre più rari, quando fu lanciato un concorso per assumere degli architetti alla regione Friuli-Venezia Giulia. I miei amici di Trieste, conoscendo il mio interesse per l’urbanistica e la mia difficile situazione di lavoro a Roma, insistettero con Montesi perché mi incoraggiasse a presentare la mia candidatura. Era molto facile, allora, una cosa che sembrerebbe del tutto inverosimile oggi. Ma, parlando di me, Montesi disse : «Non credo che lascerebbe Roma per venire quassù!»
Questa frase cambiò la mia vita. Sulle prime, restai deluso: sarei partito immediatamente per vivere a Trieste, o a Milano, o a Torino, o anche in una qualsiasi città straniera se i miei titoli e le mie conoscenze linguistiche l’avessero permesso…
Nel 1970, con 22 anni di « ritardo », fu realizzata, in Italia, una delle più importanti riforme previste dalla Costituzione repubblicana: le Regioni.
Tra il 1970 e il 1972, tutte le Regioni dovevano assumere importanti poteri in materia di urbanistica e assetto del territorio. All’epoca, preso com’ero dalla ricerca incessante di lavoro e dalle contrarietà esistenziali sempre più palesi, non avrei forse saputo niente di tutte queste opportunità.
Non mi fu difficile convincere Montesi, quest’uomo generoso che sapeva farsi carico della vita di un altro. Ormai, la possibilità di partecipare al concorso della regione Friuli-Venezia Giulia si era dissolta. Forse il mio maestro aveva ragione: il mio trasferimento a Trieste non sarebbe stato una buona idea… Montesi mi aiutò invece, con entusiasmo, nella decisione che mi condusse, in poco tempo, tra soprassalti psicologici che andavano al di là delle difficoltà effettive, in quella Bologna d’elezione di cui non finirò di tessere le mie lodi più sincere.
Se penso soltanto che quest’uomo è scomparso nel 1981, solo undici anni dopo il nostro primo incontro… E trentaquattro anni sono trascorsi, ormai, da quell’ultimo addio, nella sua bella casa che non avevo mai visto prima !
Mentre voi leggerete questa poesia, io la rileggerò con voi. Certo, una poesia, da sola, non può restituire interamente un pezzo di vita intenso e ricco di meraviglie… Forse un giorno la riscriverò, o la trasformerò in un racconto, cercando di riversare in esso questo sentimento di angoscia frenetica e di compulsiva gioia di vivere che accompagnava i miei giorni di attesa, i miei lunghi viaggi solitari, i miei incontri con questi personaggi, notevoli per molteplici aspetti, le mie passeggiate distratte con Diana e Giorgio, Costantino e Aurelio, i miei appunti, mai sereni, mai organici…
Giovanni Merloni

002_trieste 002 180

Trieste 1971

Di ogni città trattieni
le incerte memorie:
passa dentro al tuo corpo
allungato, bianco e grigio
l’inquieto incrocio delle colline e del mare.

Dalla tua bocca scolorita
sussurri onde calme e salate,
descrivi, in un fumo azzurro
strane piazze palladiane
finite, infinite, estranee, parenti.

Di ogni città accogli
il gesto e la parola:
chiuso tra i vetri e gli stucchi
di vecchi caffè affacciati alla bora,
confidi l’antico sapore viennese
l’antico rituale di statue sepolte
di nascondigli di ebrei e di poeti
il lento passaggio d’infiniti esili.

Di ogni parola dei poeti
di ogni foto autentica di Freud o di Svevo
conservi la distratta ordinata scansia:
ma c’è stata anche Roma, anche qui
a travolgere l’esile bacio
il sottile fazzoletto dipinto
del Carso nel debole mare.

Di ogni città rifai
le forme moltiplicate e sfuggenti,

ma intanto conservi, attenta,
una tua aria segreta, un confine
inesistente di infinite lingue diverse
e questo paesano andare sui monti
rotolando, ridendo, tra rocce e sterpi,
arido e luminoso destino
che il mare di cartolina
rimanda tenue, vivo, bello.

Nei giardini discreti di glicini incantati
tu ricrei, in una mattina di debole sole,
questa nostra terra di nostalgia
di malinconica decadenza.

Di ogni memoria vagabonda
di ogni passaggio eroico tra i fuochi
tra le parole più vive
tu sei il corpo infelice che amo.

003_trieste 003 180

Giovanni Merloni

TESTO IN FRANCESE

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