• About
  • Indice delle Poesie pubblicate

il ritratto incosciente

~ ritratti di persone e paesaggi del mondo

il ritratto incosciente

Archives de Tag: Giorgio Muratore

L’Italia : un paese « dal volto umano ». Seconda lettera a Giorgio Muratore

07 mercredi Oct 2015

Posted by biscarrosse2012 in il ritratto incosciente

≈ 1 Commentaire

Étiquettes

Aldo Natoli, Battaglia di Valle Giulia, Facoltà di Architettura, Giancarlo Pajetta, Giorgio Muratore, Luciana Castellina, Lucio Magri, Luigi Longo, Luigi Pintor, Marina Natoli, Maurizio Ascani, Palmiro Togliatti, Paolo Pietrangeli, Pier Paolo Pasolini, Pietro Ingrao, Renato Guttuso, Renato Nicolini, Rossana Rossanda, Umberto Schettino

001_schermata-2014-12-14-a-19-14-13

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

L’Italia : un paese « dal volto umano ». Seconda lettera a Giorgio Muratore

Caro Giorgio,
voglio innanzitutto ringraziarti per avermi fatto superare un assurdo «imbarazzo linguistico». Ho finalmente capito l’importanza di una scelta coerente: ogni volta che si scrive, bisogna domandarsi chi è il destinatario della nostra lettera. Dunque, se mi rivolgo a te, è più logico che io scriva in italiano, nella nostra lingua comune. Farò così d’ora in poi. L’eventuale traduzione in francese verrà poi. (1)
Da quando ho « scoperto » il tuo blog e « verificato » che tu, grazie al cielo, non sei cambiato, è aumentato in me il desiderio di tornare idealmente sui luoghi da cui ero fuggito a gambe levate o, per meglio dire, che avevo attraversato come un campo di battaglia dove non avevo trovato il coraggio di combattere.
Come Pierre Bezukov vagante senz’armi tra i morti, i feriti e le sciabolate della battaglia di Borodino, o come il dottor Zivago che non poteva condividere l’assolutismo delle parole d’ordine.

002_valle-giulia

Foto presa in prestito a Giorgio Muratore, da Archiwatch

Del resto io desideravo da tanto tempo raccontare, senza filtri romanzeschi o poetici, la giornata del primo marzo 1968, che ho per così dire « attraversata » in qualità di attore e spettatore nello stesso tempo. Questa giornata, che ha segnato la mia vita, voglio raccontarla prima di tutto per «contestare» l’atteggiamento a volte conformista di coloro che dicono «io c’ero!» per ricavarne un merito… Del resto, so bene che i miei ricordi non potranno aggiungere granché a tutto ciò che si è scritto su questo fatto, da Pasolini fino all’ultimo giornalista del Messaggero o del Tempo, senza contare la bella e celeberrima canzone di Paolo Pietrangeli.

003_cpl

Foto presa in prestito a Giorgio Muratore, da Archiwatch

La rilettura della lettera che Pasolini aveva indirizzato ai capi del movimento studentesco mi ha suggerito quattro piste da tenere presenti nel mio racconto :
1) gli studenti erano dei figli di papà, per la maggior parte di estrazione borghese ;
2) il movimento era fondamentalmente anti-comunista e dunque destinato a creare, come è poi effettivamente successo, una costellazione di formazioni politiche extraparlamentari, fino alle Brigate Rosse ;
3) gli studenti del ’68 promuovevano una « reificazione », una strumentalizzazione della rivolta per ottenere risultati concreti, in una concezione mercantile e opportunista dello scambio politico e culturale ;
4) il movimento degli studenti pretendeva di bypassare le lunghe e faticose discussioni imposte dal centralismo democratico del PCI, per afferrare il potere, come voleva farlo la Vispa Teresa con le farfalle.

004_schermata-2015-01-10-alle-17-19-18

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Veniamo dunque ai pochi ricordi che mi sento di far emergere dal cappello affumicato della memoria.
«Fuori la polizia dall’università!» gridavano tutti e gridavo anch’io, sommessamente e timidamente. Ma poi, quando fummo davanti ai poliziotti schierati, la mia indignazione — per la « serrata » decisa dalle autorità scolastiche, che ci impediva di entrare nella facoltà mentre alcuni « compagni » erano « chiusi dentro » — non riuscì a trasformarsi in rabbia, in aggressività o violenza. Del resto io non avevo mai « fatto a botte » in vita mia, e non ero il solo. Ma almeno, il nostro amico Maurizio Ascani, anche lui incapace di far del male a una mosca, era rimasto lì, impalato, spettatore di prima linea e, mentre noi scappavamo inseguiti dai poliziotti, lui si beccò una randellata in testa che lo mandò dritto all’ospedale. Mentre noi — io e mio fratello Francesco, tra molti altri — scavalcavamo la siepe che delimita il prato di via Gramsci, scoprendo che al di là di questo esile confine di foglie c’era già un dirupo… altri invece contrattaccavano, a mani nude oppure trasformando le panchine in rudimentali bastoni…
Non eravamo preparati a una simile evenienza. Né all’ipotesi di essere «caricati» dalla polizia né a quella di doverci difendere e addirittura contrattaccare.

005_sapienza04

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Ricordo che allora si era unito al corteo di via dei Frentani — che era passato, in quell’occasione, mi pare, con tutto il suo rimbombo di voci nella galleria della stazione Termini —, Agostino, uno studente di scienze politiche, socialista « di sinistra » come lo erano allora i miei fratelli, che lavorava alla «sezione cultura» del suo partito, nella famosa sede di via del Corso. Con nostra grande sorpresa, Agostino, un tipo abbastanza pacifico, si lanciò senza esitazioni incontro ai poliziotti, come del resto un caro compagno del Mamiani prematuramente scomparso, Umberto Schettino, che ebbe il giorno dopo il prezioso riconoscimento di vedersi effigiato in prima pagina.
Io e Francesco, mio fratello, non passammo, come si suol dire, all’azione fisica, né allora né mai, sia perché nel fondo non eravamo d’accordo, sia perché nostro padre era morto da soli tre mesi, lasciando un vuoto incolmabile. Nostra madre, una donna coraggiosa, più sbilanciata, come me, verso il partito comunista che verso il socialismo moderato e lungimirante di mio padre, non ci aveva certo impedito di partecipare alla «lotta». Ma io trascinai mio fratello nella direzione opposta a quella degli scontri: — pensiamo a nostra madre! gli dissi. Per quanto mi riguardava, io sarei stato d’accordo per sedermi in terra e aspettare che i poliziotti mi portassero via. Credevo alla protesta dei «sit-in», alla resistenza passiva, alla forza delle idee nobili e giuste che finiranno sempre per trionfare, come l’amore.
Intanto persino le ragazze partivano all’attacco, brandendo la loro borsetta e cercando di colpire con quella. Tra loro c’era anche Lucia, una persona sempre sorridente e tranquilla… Quanto a Marina Natoli, la nostra amica carissima, sono sicuro di avere parlato a lungo con lei, perché lei mi aveva aggiornato su quello che stava succedendo… Ma non so dove collocare questo nostro scambio, in quale momento di quella lunga giornata. Nei mesi successivi, Marina ci parlava spesso del dissenso interno al PCI, del gruppo del Manifesto che si stava consolidando intorno alle figure carismatiche di Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina… Che strano! In quel periodo, pur avendo già votato una volta comunista, non mi ero ancora iscritto al partito, salvo una prima esperienza della organizzazione giovanile, durata poco più di un anno nel 1963. Eppure, una voce interna mi raccomandava di essere «fedele» a questo partito un po’ monolitico ma calato nella realtà. All’epoca, il segretario era Luigi Longo e, insieme al grande Pietro Ingrao c’erano Giorgio Amendola e Giancarlo Pajetta… delle figure straordinarie, oneste, incredibilmente alla mano. Altro che «doppiopetto», come diceva Pasolini! E poi c’era il senatore Edoardo Perna, membro della direzione del partito. Non solo gioviale e allegro in famiglia, mio zio tirava fuori la sua verve «artistica» anche quando, durante le riunioni di partito, adattava motivetti conosciuti a canzoni politiche ferocemente scherzose.

006_guttuso-funerali-togliatti-72

Renato Guttuso, I funerali di Togliatti,
immagine presa in prestito a Giorgio Muratore, da Archiwatch

Il Partito comunista non poteva certo amare quell’Italia governata da un centro-sinistra debole e ricattata dai cosiddetti poteri forti che si annidavano non soltanto nella borghesia destrorsa ma anche nelle mafie crescenti della speculazione edilizia e dei cosiddetti «corpi separati dello Stato», come la Cassa del Mezzogiorno, l’IRI-Italstat, eccetera. Al tempo stesso il PCI si arroccava un po’, mostrandosi diffidente nei confronti degli intellettuali-borghesi-figli di papà, scoprendo il fianco sinistro.
Ripensandoci, caro Giorgio, nonostante la pubblicazione del memoriale di Yalta di Togliatti che indicava chiaramente la «via italiana al socialismo»; nonostante l’idea gramsciana del «comunismo dal volto umano», immanente nello spirito e nello stile del vecchio partito proletario, questi uomini nobili non seppero afferrare l’occasione che si offriva loro, con la rivolta studentesca prima e con le critiche del Manifesto poi.
Certo ci fu l’incontro di Luigi Longo con i giovani, e ci fu poi «l’autunno caldo» del 1969, che fecero maturare la nascita, nel 1970, delle Regioni volute dalla Costituzione del 1948 ed osteggiate con ogni mezzo dai difensori dello stato centralizzato imperniato sulla Democrazia Cristiana.
Tutto ciò si attuò frettolosamente, avanzando senza una strategia condivisa. Le Regioni dovettero lottare per avere il potere necessario per esercitare le loro funzioni, dovettero conquistarsi a fatica il diritto di legiferare pienamente nell’ambito delle loro nuove competenze. D’altronde non tutte le realtà regionali erano pronte ad assumere un tale impegno con la stessa efficacia e soprattutto con la stessa determinazione…
Ma furono anche anni di costruzione, di entusiasmo, di lavoro sodo e di scambio culturale. Del resto, fu proprio nel 1970 che la legge sul divorzio fu approvata. Una legge che metteva in luce un cambiamento epocale, soprattutto in un paese egemonizzato dalla chiesa cattolica come l’Italia. La prima vera legge Di sicuro, tutto questo non sarebbe avvenuto se non ci fosse stato il ’68, se non ci fosse stata quella «rottura» traumatica, se non ci fossero stati anche loro, quei gruppi e gruppuscoli che hanno dato voce a un malessere diffuso, infondendoci il coraggio di criticare.

007_schermata-2015-03-06-alle-00-08-44

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Se chiudo gli occhi, riesco a vedere quella giornata di Valle Giulia come in un film. Allontanandomi, con mio fratello e altri paurosi come noi, assistemmo alla battaglia da vari punti di vista. In quei tempi, scattare delle foto e soprattutto dei film non era facile come oggi… Bisognava in ogni caso pensarci prima. Altrimenti, con la mia Canon, avrei di certo fissato quello che vedevamo, e anche il nostro sbalordimento pieno di angoscia su una ventina di immagini almeno. Il punto di vista più distante era il bordo di villa Borghese, quel punto in cima alla scalinata di via di valle Giulia dietro cui si cela l’ingresso al giardino del Lago. Vedemmo tram e macchine messe di traverso, per bloccare il traffico. Vedemmo delle nuvolette di fumo scaturire dal vialetto di accesso alla facoltà, assistemmo all’incendio di una jeep della Celere… Ci riavvicinavamo più volte. Una di queste volte, nella scalinata in discesa in prossimità dell’Accademia Britannica, incontrammo Renato Nicolini.
— Sono pazzi, dissi io.
— No, sono coraggiosi, disse Renato.
Anche lui provava, io credo, la stessa sensazione di smarrimento, anche se ad un livello più elevato e consapevole di me. Essendo dirigente dei Goliardi Autonomi e iscritto al partito comunista, conosceva a fondo il trauma di questo movimento che, in un certo senso, si arrampicava sugli specchi, inventando una rivoluzione per scuotere il padre, il padrone, il partito. Partito, padrone e padre che, lui lo sapeva bene, sarebbero stati sordi e diffidenti. Forse anche lui pensava, come me, che non ci potevano essere scorciatoie… ma quando un sentiero nuovo si apre, come si fa a non essere tentati di imboccarlo?

008_schermata-2014-12-11-a-15-53-23

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Più tardi, incontrammo di nuovo Agostino. Con un sorriso smagliante disse che noi due, io e mio fratello, ci eravamo comportati come i generali delle «guerre pacioccone», che se ne stanno lì beati, a distanza, con il loro cannocchiale, a scrutare il campo di battaglia.
Sempre sorridendo, Agostino ci trascinò al suo ufficio di via del Corso. In ascensore, Agostino si rivolse a un funzionario del Partito socialista unificato, raccontandogli animatamente quello che era successo. La risposta fu più o meno la seguente: — per fortuna, in questo momento ci sono dei margini nelle casse dello Stato, daremo un po’ di lavoro e di borse di studio a tutti questi giovani… che problema c’è?
Poi, forse anche sollecitato dalla nostra apprensione, Agostino ebbe l’ardire di telefonare al segretario del partito.
— Segretario, oggi è successa una cosa gravissima, disse Agostino, la polizia ha caricato gli studenti! Ci sono stati dei feriti…
— Hanno fatto bene! rispose il segretario.

009_sullombra-mobile-di-icaro

Renato Guttuso, graffiti sur la façade de la Faculté d’Architecture de Rome,
photo de Giorgio Muratore, depuis Archiwatch

Giovanni Merloni

(1) Dovendo, per forza di cose, scrivere in una lingua — l’italiano o il francese — per poi tradurre nell’altra, agli inizi del mio «esilio parigino» scrivevo i miei brogliacci un po’ in italiano un po’ in francese, secondo l’ispirazione del momento. Ma la cosa non funzionava. Per me, infatti, era più facile tradurre dal francese in italiano piuttosto che il contrario e anche perché dovevo decidere ogni volta a chi rivolgere le mie riflessioni di viaggio. Sì, viaggio, perché per molto tempo mi sono sentito sospeso nella gradevole precarietà del «viaggiatore»… Ne risultavano dei testi informi, né carne né pesce. In questi giorni, mi sono accorto di un cambiamento. Se scrivo a te, immaginando che forse qualche altro architetto o amico di architetti leggerà il mio testo in Italia, mi viene ormai naturale scrivere in italiano. Poi, anche se più laboriosa, la traduzione francese verrà. Nell’articolo sulle «ceneri di Pasolini», invece, era agli amici francesi frequentatori del mio blog che dovevo rivolgermi, era a loro che dovevo spiegare, in prima battuta, la banale complessità di ciò che abbiamo traversato e che, in parte, Pasolini aveva «sgamato», come si dice a Roma. In francese riesco a scrivere abbastanza scorrevolmente, anche se il vocabolario è inevitabilmente più limitato, mancandomi spesso le frasi fatte, i modi di dire, i proverbi. Ma poi la traduzione in italiano scorre facile, come le ruote di una macchina in discesa.
G.M.

TESTO IN FRANCESE

Le ceneri di Pasolini

04 dimanche Oct 2015

Posted by biscarrosse2012 in il ritratto incosciente

≈ Poster un commentaire

Étiquettes

Battaglia di Valle Giulia, Carlo Marx, Facoltà di Architettura, Giorgio Muratore, Herbert Marcuse, Italia, Pier Paolo Pasolini, Roma

001_paso 1 180 Le ceneri di Pasolini

Se scavo tra i miei ricordi degli anni ’60, ci trovo, molto prima della data del primo marzo 1968, molti episodi e circostanze che hanno contribuito all’avvio, nel mio paese, dei fenomeni politici e sociali del tutto inediti del biennio ’68-’69, i cosiddetti anni «caldi».
Si tratta talvolta di fatti a cui ho assistito in prima persona, come l’occupazione della Sapienza a Roma in aprile-maggio 1966, a seguito dell’omicidio, davanti alla facoltà di lettere, dello studente Paolo Rossi. Già quella fu una prova, e non la prima, di una tensione crescente, che durava da molto tempo, tra le istituzioni universitarie, sorde e ostili ad ogni richiesta di modernizzazione, e gli studenti, sempre più preoccupati per il loro inserimento lavorativo. Quel l’occupazione fu, per noi studenti, la svolta della piena e definitiva presa di coscienza: d’ora in poi, dovevamo tutti impegnarci, farci carico di un confronto politico che andava al di là delle nostre piccole beghe universitarie.
In ogni caso, per il cambiamento tanto atteso, bisognava che scattasse qualcosa di nuovo e di diverso. Questo scatto avvenne con la giornata del primo marzo 1968, segnata dagli scontri tra poliziotti e studenti proprio davanti alla facoltà di architettura a Valle Giulia a Roma. Una vera e propria «battaglia» che diede luogo a sua volta all’esplosione di un fenomeno che andava ben oltre ciò che si era immaginato alla vigilia. Un fenomeno, chiamato sinteticamente «il ’68», che ha toccato le nostre esistenze nel vivo, mettendo una forte ipoteca sui successivi sviluppi della vita politica in Italia.

002_paso 2 180

Nella mia recente lettera a Giorgio Muratore, avevo ricordato un episodio occorsomi durante un’assemblea degli studenti, nell’aula magna della Facoltà, qualche giorno dopo la battaglia, allo scopo di svolgere, nei successivi articoli, una riflessione sulla nostra esperienza comune — in libro-progetto intitolato «Diritto alla città» che condividemmo con altri compagni — alla luce degli impegni che ognuno di noi ha poi assunto, come il mio lavoro di urbanista presso la regione Emilia-Romagna a Bologna.
Une fase della mia vita bruscamente interrotta, in un contesto, quello di Bologna, che per forza di cose si è modificato nel tempo e comunque rappresenta, per me, la prova che certe realizzazioni molto positive sono esistite e hanno resistito a lungo. Nello stesso tempo, non posso ignorare che c’è stato un momento in cui il nostro paese ha smesso di progredire, un’ora «x» dopo la quale si assiste allo spreco delle energie e del patrimonio culturale e professionale della nostra generazione (e delle successive) fino a ridursi ad un impressionante «analfabetismo di ritorno», una vera e propria rottura nel circolo virtuoso del progresso civile e culturale. Fatto inatteso è incredibile per un paese come l’Italia, che fu per tanto tempo additata come un esempio di equilibrio e di progresso.
Tutto ciò mi addolora enormemente, tanto più che in questa regressione vedo il riflesso di una serie infinita di passi indietro con cui si deve avere a che fare da quando la corruzione ha preso il sopravvento in Italia. Una corruzione, o decadenza o degenerazione che attraversa ormai tutto il paese ed ha senza dubbio delle ragioni profonde e lontane, che meriterebbero di essere studiate a fondo. Un impegno che, per motivi di spazio e di tempo, non posso assumere in questo momento, anche se alcuni elementi per una simile analisi potrebbero facilmente scaturire da quello che ho visto e vissuto direttamente nel corso degli anni.
Del resto nel mio blog ho deciso di limitarmi soprattutto agli aspetti estetici o specifici dell’attività degli artisti, degli architetti o degli urbanisti che sono inevitabilmente sfiorati da tali trasformazioni e regressioni.
Comunque, prima di «saltare» al tema specifico dell’urbanistica e parlare del libro collettivo sul «diritto alla città», in una delle prossime pubblicazioni del «ritratto incosciente» mi soffermerò sulla famosa «battaglia di Valle Giulia».

004_paso 4 180

Oggi, dopo aver letto e riletto molte volte «Il PCI ai giovani», poema che Pier Paolo Pasolini indirizzò ai capi del movimento studentesco all’indomani degli scontri, ho deciso di tradurlo in francese, proponendolo per una lettura che si rivelerà, credo, tanto interessante quanto indispensabile.
Questo poema di Pasolini contiene molte premonizioni. La polemica sui poliziotti — nei quali egli vede soprattutto dei figli di famiglie povere e emarginate — è ben nota. Questa polemica corrisponde peraltro alla sua peculiare tematica filosofica e poetica. Totalmente in controtendenza rispetto al mondo della politica come a quello della cultura, Pasolini si rivendica «antiborghese», alimentando i suoi capolavori di una visione, sempre originale e efficace, in cui il realismo si sposa a una ideologia della catarsi e della vittoria morale del bene sul male e del bello sul brutto, anche nelle situazioni più difficili e dolorose.
Pier Paolo Pasolini ha perfettamente ragione quando dice che è sbagliato confondere i poliziotti con la polizia. Ha ragione anche quando afferma che la polizia che interviene in una università non è la stessa polizia che fa irruzione in una fabbrica occupata.
E, di sicuro, il grande poeta e regista cinematografico ha ragione quando rileva nel movimento studentesco del ’68 un fondo di anticomunismo, di delusione o di diffidenza nei confronti di questo Partito fino ad allora indiscusso e carismatico.
Si trattava in ogni caso di un anticomunismo all’italiana, dove «il nemico PCI» era, come evidenzia Pasolini, un partito «di opposizione» che rispettava scrupolosamente le regole del sistema parlamentare di cui era, tra l’altro, il principale pilastro. Un partito che aveva sempre cercato, anche nei momenti più drammatici, di «non accettare le provocazioni», evitando con cura di affrontare la polizia durante le sue manifestazioni…
Dunque, al di là dello choc emotivo che provocano le parole aspre e sincere di Pasolini, non si può che aderire al fondo di quello che l’autore delle «ceneri di Gramsci» coraggiosamente dichiara o, per meglio dire, proclama.
Eppure, rileggendo questo testo quarant’anni dopo la scomparsa violenta del suo Autore, devo confessare di avere provato una profonda angoscia. Perché Pasolini, dopo aver consigliato a questi giovani «disorientati» di integrarsi attivamente nel più grande partito della sinistra — che poteva vantarsi di una lunga tradizione di lotte e di conquiste sociali e culturali — ha poi, da un momento all’altro, rivelato la sua tentazione personale di abbandonare la propria fede irriducibile nella rivoluzione, per aderire d’allora in poi a questa «moda» della guerra civile?
Tutti sanno che Pasolini è stato sempre al di fuori di tali logiche, pur avendo maturato nel tempo, interiormente e nelle sue opere straordinarie, una visione via via più pessimista delle derive probabili che il nostro paese stava per traversare. La sua visione, vicina a quella di Gandhi o di Anna Arendht, molto più che a quella di Herbert Marcuse, il filosofo amato dagli studenti del ’68, si collega d’altra parte all’idea di Gramsci di una interpretazione del verbo di Carlo Marx il più possibile coerente alla realtà italiana e alle sue molteplici anime e culture. Inoltre, grazie alla sua sensibilità a fior di pelle, Pasolini intuiva il «gioco pericoloso» che poteva scaturire dallo spirito guerriero degli studenti che avevano partecipato ai fatti di Valle Giulia.
E aveva anche colto la debolezza del pachiderma: questo partito comunista che non aveva saputo né probabilmente voluto aprire ai giovani, rinnovandosi come i tempi esigevano.
Tragicamente, nel finale disperato del messaggio pubblicato di seguito, la sfiducia di Pasolini nei confronti della capacità del PCI di assumere fino in fondo le sue responsabilità è perfino più forte del suo odio per i borghesi, suoi eterni nemici.
All’indomani della battaglia di Valle Giulia e delle manifestazioni che seguirono, l’estrema destra delle bombe e dei colpi di Stato non fu più sola a minacciare dall’esterno la nostra repubblica parlamentare e il suo precario equilibrio. Dopo una fase di euforia imprudente, caratterizzata da una gigantesca mescolanza di generi, si presentarono sulla scena nuovi soggetti «a sinistra della sinistra». Avevano forse l’illusione di «risolvere tutto» e «tutto capire» come «I Giusti» di Albert Camus ? O invece, come dice Pasolini, volevano accedere al potere tout court, attraverso qualche scorciatoia?

Giovanni Merloni

005_paso 5 180

Il PCI ai giovani!
La poesia dell’autore delle “ceneri di Gramsci”. I versi di Pier Paolo Pasolini sugli scontri di Valle Giulia che hanno scatenato dure repliche fra gli studenti, La Repubblica, 16 giugno 1968

Mi dispiace. La polemica contro
il Pci andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, cari.
Non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati:
peggio per voi.
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come ancora si dice nel linguaggio
goliardico) il culo. Io no, cari.
Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.

005_paso 6 180

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da sub-utopie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli; la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.

006_paso 7 180

E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio
furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.

007_paso 8 180

A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, News- week e Monde
vi leccano il culo. Siete i loro figli,
la loro speranza, il loro futuro: se vi rimproverano
non si preparano certo a una lotta di classe
contro di voi! Se mai,
si tratta di una lotta intestina.
Per chi, intellettuale o operaio,
è fuori da questa vostra lotta, è molto divertente la idea
che un giovane borghese riempia di botte un vecchio
borghese, e che un vecchio borghese mandi in galera
un giovane borghese. Blandamente
i tempi di Hitler ritornano: la borghesia
ama punirsi con le sue proprie mani.

008_paso 9 180

Chiedo perdono a quei mille o duemila giovani miei fratelli
che operano a Trento o a Torino,
a Pavia o a Pisa, /a Firenze e un po’ anche a Roma,
ma devo dire: il movimento studentesco (?)
non frequenta i vangeli la cui lettura
i suoi adulatori di mezza età gli attribuiscono
per sentirsi giovani e crearsi verginità ricattatrici;
una sola cosa gli studenti realmente conoscono:
il moralismo del padre magistrato o professionista,
il teppismo conformista del fratello maggiore
(naturalmente avviato per la strada del padre),
l’odio per la cultura che ha la loro madre, di origini
contadine anche se già lontane.
Questo, cari figli, sapete.
E lo applicate attraverso due inderogabili sentimenti:
la coscienza dei vostri diritti (si sa, la democrazia
prende in considerazione solo voi) e l’aspirazione
al potere.

010_paso 10 180

Sì, i vostri orribili slogan vertono sempre
sulla presa di potere.
Leggo nelle vostre barbe ambizioni impotenti,
nei vostri pallori snobismi disperati,
nei vostri occhi sfuggenti dissociazioni sessuali,
nella troppa salute prepotenza, nella poca salute disprezzo
(solo per quei pochi di voi che vengono dalla borghesia
infima, o da qualche famiglia operaia
questi difetti hanno qualche nobiltà:
conosci te stesso e la scuola di Barbiana!)
Riformisti!
Reificatori!
Occupate le università
ma dite che la stessa idea venga
a dei giovani operai.

011_paso 11 180

E allora: Corriere della Sera e Stampa, Newsweek e Monde
avranno tanta sollecitudine
nel cercar di comprendere i loro problemi?
La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte
dentro una fabbrica occupata?
Ma, soprattutto, come potrebbe concedersi
un giovane operaio di occupare una fabbrica
senza morire di fame dopo tre giorni?
e andate a occupare le università, cari figli,
ma date metà dei vostri emolumenti paterni sia pur scarsi
a dei giovani operai perché possano occupare,
insieme a voi, le loro fabbriche. Mi dispiace.
È un suggerimento banale;
e ricattatorio. Ma soprattutto inutile:
perché voi siete borghesi
e quindi anticomunisti. Gli operai, loro,
sono rimasti al 1950 e più indietro.
Un’idea archeologica come quella della Resistenza
(che andava contestata venti anni fa,
e peggio per voi se non eravate ancora nati)
alligna ancora nei petti popolari, in periferia.
Sarà che gli operai non parlano né il francese né l’inglese,
e solo qualcuno, poveretto, la sera, in cellula,
si è dato da fare per imparare un po’ di russo.
Smettetela di pensare ai vostri diritti,
smettetela di chiedere il potere.
Un borghese redento deve rinunciare a tutti i suoi diritti,
a bandire dalla sua anima, una volta per sempre,
l’idea del potere.

012_paso 12 180

Se il Gran Lama sa di essere il Gran Lama
vuol dire che non è il Gran Lama (Artaud):
quindi, i Maestri
– che sapranno sempre di essere Maestri –
non saranno mai Maestri: né Gui né voi
riuscirete mai a fare dei Maestri.
I Maestri si fanno occupando le Fabbriche
non le università: i vostri adulatori (anche Comunisti)
non vi dicono la banale verità: che siete una nuova
specie idealista di qualunquisti: come i vostri padri,
come i vostri padri, ancora, cari! Ecco,
gli Americani, vostri odorabili coetanei,
coi loro sciocchi fiori, si stanno inventando,
loro, un nuovo linguaggio rivoluzionario!
Se lo inventano giorno per giorno!
Ma voi non potete farlo perché in Europa ce n’è già uno:
potreste ignorarlo?
Sì, voi volete ignorarlo (con grande soddisfazione
del Times e del Tempo).
Lo ignorate andando, con moralismo provinciale,
“più a sinistra”. Strano,
abbandonando il linguaggio rivoluzionario
del povero, vecchio, togliattiano, ufficiale
Partito Comunista,
ne avete adottato una variante ereticale
ma sulla base del più basso idioma referenziale
dei sociologi senza ideologia.

013_paso 13 180

Così parlando,
chiedete tutto a parole,
mentre, coi fatti, chiedete solo ciò
a cui avete diritto (da bravi figli borghesi):
una serie di improrogabili riforme
l’applicazione di nuovi metodi pedagogici
e il rinnovamento di un organismo statale. I Bravi! Santi sentimenti!
Che la buona stella della borghesia vi assista!
Inebriati dalla vittoria contro i giovanotti
della polizia costretti dalla povertà a essere servi,
e ubriacati dell’interesse dell’opinione pubblica
borghese (con cui voi vi comportate come donne
non innamorate, che ignorano e maltrattano
lo spasimante ricco)
mettete da parte l’unico strumento davvero pericoloso
per combattere contro i vostri padri:
ossia il comunismo.
Spero che l’abbiate capito
che fare del puritanesimo
è un modo per impedirsi
la noia di un’azione rivoluzionaria vera.

015_carbonara 180

Ma andate, piuttosto, pazzi, ad assalire Federazioni!
Andate a invadere Cellule!
andate ad occupare gli usci
del Comitato Centrale: Andate, andate
ad accamparvi in Via delle Botteghe Oscure!
Se volete il potere, impadronitevi, almeno, del potere
di un Partito che è tuttavia all’opposizione
(anche se malconcio, per la presenza di signori
in modesto doppiopetto, bocciofili, amanti della litote,
borghesi coetanei dei vostri schifosi papà)
ed ha come obiettivo teorico la distruzione del Potere.
Che esso si decide a distruggere, intanto,
ciò che un borghese ha in sé,
dubito molto, anche col vostro apporto,
se, come dicevo, buona razza non mente…
Ad ogni modo: il Pci ai giovani, ostia!

003_paso 3 (1) 180

Ma, ahi, cosa vi sto suggerendo? Cosa vi sto
consigliando? A cosa vi sto sospingendo?
Mi pento, mi pento!
Ho perso la strada che porta al minor male,
che Dio mi maledica. Non ascoltatemi.
Ahi, ahi, ahi,
ricattato ricattatore,
davo fiato alle trombe del buon senso.
Ma, mi son fermato in tempo,
salvando insieme,
il dualismo fanatico e l’ambiguità…
Ma son giunto sull’orlo della vergogna.
Oh Dio! che debba prendere in considerazione
l’eventualità di fare al vostro fianco la Guerra Civile
accantonando la mia vecchia idea di Rivoluzione?

Pier Paolo Pasolini

014_Paso 14 180

TESTO IN FRANCESE

Il « personale » è davvero politico? Lettera a Giorgio Muratore (1)

01 jeudi Oct 2015

Posted by biscarrosse2012 in il ritratto incosciente

≈ Poster un commentaire

Étiquettes

Bologna, Emilia-Romagna, Facoltà di Architettura, Giorgio Muratore, Roma

001_diritto alla città 180

ASCANI Maurizio, BARBERA Luigi Maria (Mario), FIORE (Francesco Paolo), GERBINO Renato, MARCHITELLI Antonio, MERLONI Giovanni, MURATORE Giorgio, NATOLI Marina, SARACENO Andrea, QUADERNO N. UNO

Il « personale » è davvero politico? Lettera a Giorgio Muratore

Caro Giorgio,
ognuno di noi, ognuno di quelli «che hanno cercato di fare qualcosa » dovrebbe spiegare le radici e le cause profonde della sua «indignazione».
Forse, nonostante le molteplici affinità elettive che ci rendono fratelli o cugini, non abbiamo esattamente le stesse idiosincrasie, le stesse rabbie per le stesse offese all’occhio e allo stomaco, all’estetica e alla morale, voglio dire.
Forse, nel tempo, le nostre rispettive battaglie sono diventate più specialistiche o si sono trovate per forza di cose imprigionate in contesti più circoscritti o comunque diversi e lontani uno dall’altro.
Certo, dopo un percorso comune, le nostre vite si sono separate. Non solo per il fatto che a due anni dalla laurea, inaugurando una nuova ondata di architetti romani emigranti a Bologna (di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Giuseppe Manacorda, Pier Camillo Beccaria, Marco Peticca, Edoardo Pregher, Maurizio Ascani e Gian Piero Rossi) io avevo deciso di varcare gli Appennini per spezzare il cordone ombelicale con l’odiata-amata Roma, mentre tu hai fatto la scelta di restarvi, lottando, a Roma, dentro quella stessa facoltà di architettura, dando alle nuove generazioni un luminoso esempio di trasmissione democratica delle esperienze e del sapere.

002_ascaniba 006 180

Ma io feci anche la scelta dell’urbanistica. Di quella «cosa» che da studenti avevamo guardato con sospetto, e criticato ferocemente come la principale responsabile della «non forma» delle nostre città.
Se apro, con circospezione — e paura di trovarvi chissà che — quel «libro», che volevamo intitolare «Diritto alla città», in cui riversammo le nostre speranze ma anche le nostre frustrazioni, mi rendo conto che forse, se dovessimo fare una sincera e utile autocritica, dovremmo partire proprio da lì.
Retrospettivamente, e in maniera sintetica, io vedo la nostra esperienza universitaria ipotecata da due fattori principali.
Il primo, certo il più importante nel cosiddetto «lungo periodo», è stato quello della grande svogliatezza della maggior parte dei nostri docenti e assistenti, a parte alcune luminose eccezioni, come giustamente fu l’esempio Maurizio Sacripanti, o la tenacia di Antonio Quistelli, o la serietà di Paolo Marconi e Vieri Quilici, per esempio. Alla base di tutto, con la dubbia giustificazione del numero (la nostra generazione, chiamata non a caso la generazione del baby boom, comportò, per la prima volta, l’iscrizione di 500 studenti al primo anno di Architettura) si è imposta, a danno dei futuri architettI dell’epoca, una irriducibile gelosia professionale, eccezion fatta per coloro che potevano rientrare, attraverso forme di cooptazione del tutto discrezionali, negli «atelier dei maestri».

Quindi, non si è «voluto» insegnare i segreti del mestiere di architetto alla stragrande maggioranza degli studenti e laureandi. Nel contempo, furono indicati loro degli obiettivi troppo vasti e difficili.

Non posso non ricordare Ludovico Quaroni con affetto e stima grandissima. Un uomo straordinario e carismatico che sapeva trasmettere grandi suggestioni. Sulla sua bocca e nei suoi gesti il «town design» prendeva corpo, sembrava una cosa abbordabile, a portata di mano. Ma come si fa a concepire il «town design», cioè il disegno preventivo e unitario di interi pezzi di città, ignorando o dimenticando l’urbanistica, ignorando o dimenticando che non possono essere le singole persone da sole a «risolvere tutto» con la loro bacchetta magica, se ce l’hanno?

003_ascaniba 007 180

Il secondo fattore di disturbo, caduto circa a metà della nostra laboriosa e tormentata «auto-formazione» è stata l’esplosione, con il movimento del 1968, di una dimensione politica trascinante ma radicalizzante, che ci obbligò a riconsiderare, alla velocità del fulmine, tutte le nostre modeste certezze.
Il fenomeno dell’università «di massa», come si diceva allora, trovò nella cosiddetta «contestazione» una specie di falso alleato. Se l’università doveva far fronte a un cambiamento quantitativo nel rapporto professori/studenti e forse anche nei sistemi formativi, educativi e di avvio professionale, il movimento di allora predicava una rottura verticale e definitiva con il «sistema», andando molto al di là della giusta ipotesi dello svecchiamento e della lotta all’autoritarismo dietro cui si celava, senza dubbio, un’idea oscurantista, elitaria e antidemocratica della scuola e delle istituzioni culturali, come Pasolini stesso l’aveva sottolineato, all’indomani della « battaglia » di Valle Giulia nel suo poema « Il PCI ai giovani« . Invece di « uccidere il padre » per assumersi fino in fondo delle vere responsabilità, gli è stata tolta l’autorità formale, salvo approfittare delle risorse reali del padre stesso per sfruttare al massimo tutti i privilegi e vantaggi possibili e immaginabili.

004_ascaniba 008 - copie

Insomma Giorgio, forse tu non ricordi che nel lontano 1968 presi una volta la parola, nell’aula magna gremita, per dire, sotto lo sguardo beffardo di Sergio Petruccioli, che avremmo potuto e dovuto approfittare di un’occasione. Ricordo che i nostri compagni di università mi ascoltavano molto attentamente, anche se io ero timidissimo e parlavo a scatti. Bisognava utilizzare quel provvisorio «potere», che il ’68 ci regalava, per dire la nostra, per «metterci intorno a un tavolo» con professori e assistenti e cercare di capire, insieme, cosa non andava nella nostra sgangherata facoltà, per cercare di impostare una didattica e una ricerca più coerenti con le nuove esigenze e soprattutto con l’esigenza di una vera democrazia. Non si usava, allora, la parola «trasparenza». Per quella abbiamo dovuto aspettare l’avvento del povero grand’uomo che è stato Michail Gorbaciov, ma, ne sono sicuro, nel mio timido intervento pensavo soprattutto alla trasparenza.
Se c’eri, forse ti ricorderai che questo mio invito alla concretezza e all’onestà fu interpretato come una «azione di disturbo». Petruccioli mi attaccò, dicendo in sostanza che non avevo diritto di parlare, perché non avendo partecipato attivamente a tutte le azioni e riunioni del movimento studentesco, non sapevo di cosa stessi parlando. In verità, il leader indiscusso del movimento nella nostra facoltà era molto preoccupato, perché subito dopo accese un registratore, a tutto volume, obbligando l’uditorio ad ascoltare la voce sofferente di Oreste Scalzone. Quest’ultimo aveva rischiato la morte durante una recentissima manifestazione davanti alla facoltà di legge, essendo stato colpito sulla schiena dal lancio di un banco di scuola, che uno studente di estrema destra aveva fatto cadere da una finestra. Un episodio dolorosissimo che mi riporta alla memoria il clima spettrale di quella giornata veramente tragica.

Resta il fatto che la mia buona volontà fu zittita e ridicolizzata. Continuai a seguire me stesso e mi accorsi tra l’altro di non essere il solo a pensarla così. Renato Nicolini, per esempio, non era certo un facinoroso e fu anzi sempre lucido su questo punto, realizzando poi in prima persona, dieci anni più tardi, il rovesciamento che molti si aspettavano. Pur nell’ipotesi «effimera» dell’Estate Romana, la sua idea di cultura popolare — ma elevata, intelligente, ambiziosa, inserita nel contesto europeo — era una delle strade giuste da seguire.

005_roma fish eye

Dunque, folgorati sulla via di Damasco da questo «bel momento» del ’68, abbiamo tutti concluso i nostri studi universitari nella condizione meno serena e tranquilla possibile. Avevamo infatti davanti a noi, in questa Roma incapace di diventare capitale d’Italia, un mondo esterno sempre più latitante, dove l’autoritarismo stupido era sostituito da una burocrazia dispettosa. Dentro di noi una vocina, una strana ostinazione e quasi una volontà ci obbligavano a resistere, a cercare a tutti i costi una strada, per noi, per gli altri e forse anche per il mondo.
Ma, ripensandoci alla luce di quello che viviamo oggi, già allora c’erano tutti i germi della degenerazione futura.

Giovanni Merloni

(Continua)

TESTO IN FRANCESE

Catégories

  • il ritratto incosciente
  • il ritratto incosciente di una tavola
  • poesie
  • racconti

Mots-clés

Aldo Natoli Ambra Anne Philipe Antonio Gramsci Auguste Renoir Battaglia di Valle Giulia Bologna Bonjour Anne Caramella Carlo Levi Carlo Marx Casalvieri Cesena Claudio Morandini Como Dante Dario Fo Destinataria sconosciuta Diario di sbordo Edward Hopper Emilia-Romagna Facoltà di Architettura Gabriella Merloni Ghani Alani Giorgio Muratore Giorgio Strehler Giovanni Pascoli Gérard Philipe Herbert Marcuse I Giganti della Montagna Isola Dovarese Italia Jean Genet Jerôme La Boétie Lettrici Luciana Castellina Lucio Magri Ludwig van Beethoven Luigi Pirandello Luna Marina Natoli Mario Quattrucci Massimo Summa Maurizio Ascani Mirella Summa Montaigne Napoli Nuvola Omero Ossidiana Parigi Patrizia Molteni Pierangelo Summa Pier Paolo Pasolini Pierrette Fleutiaux Prima dell'amore Prima di Bologna Radio Aligre Renato Guttuso Renato Nicolini Roma Romagna Romano Reggiani Rossana Rossanda Sara Summa Sogliano al rubicone Solidea Stella Stéphanie Hochet Testamento immorale Théâtre des Déchargeurs Tiresia Virgilio Zazie

Articles récents

  • Destinataria sconosciuta – Segni di sopravvivenza n.1
  • Tira a campare (Diario di sbordo n. 11)
  • Un Napoletano a Parigi/2 (Diario di sbordo n. 10)
  • Un Napoletano a Parigi/1 (Diario di sbordo n. 9)
  • A vederti volare (Zazie n. 48)
  • Una camicia bianca che ondeggia libera nel vento (Nel frattempo n. 3)
  • Un’anima sorridente (Lettrici n. 5)
  • Quel pomeriggio che persi la penna stilografica (Stella n. 32)
  • Stella, indice delle poesie
  • Istante blu (Lettrici n. 2)
  • Se un giorno si potesse rinunciare… (Zazie n. 43)
  • Il mio libro più bello lo hai scritto tu (Zazie n. 60)

Archives

  • janvier 2021
  • novembre 2016
  • septembre 2016
  • mars 2016
  • février 2016
  • janvier 2016
  • décembre 2015
  • novembre 2015
  • octobre 2015
  • septembre 2015
  • août 2015
  • juillet 2015
  • juin 2015
  • mai 2015
  • avril 2015
  • janvier 2015
  • décembre 2014
  • août 2014
  • juillet 2014
  • juin 2014
  • mai 2014
  • avril 2014
  • mars 2014
  • février 2014
  • janvier 2014
  • décembre 2013
  • novembre 2013
  • octobre 2013
  • août 2013
  • juillet 2013
  • juin 2013
  • mai 2013
  • avril 2013
  • mars 2013
  • février 2013
  • janvier 2013
  • décembre 2012

Copyright

I TESTI e le IMMAGINI pubblicati su questo blog
sono protetti da ©Copyright.
Non utilizzare le immagini o i testi
senza la mia autorizzazione, GRAZIE.

Pages

  • About
  • Indice delle Poesie pubblicate

Blogroll

  • giovanni merloni

Propulsé par WordPress.com.

  • Suivre Abonné∙e
    • il ritratto incosciente
    • Vous disposez déjà dʼun compte WordPress ? Connectez-vous maintenant.
    • il ritratto incosciente
    • Personnaliser
    • Suivre Abonné∙e
    • S’inscrire
    • Connexion
    • Signaler ce contenu
    • Voir le site dans le Lecteur
    • Gérer les abonnements
    • Réduire cette barre
 

Chargement des commentaires…