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Il va-e-vieni del signor Treno III/III (Testamento immorale IV/III)

12 mercredi Fév 2014

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Testamento immorale

001_le va et vien III def 180

Il va-e-vieni del signor Treno III/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale IV/III, Manni 2006)

12.
Nel mio lungo andare
tra gl’italiani dialetti
viaggia una Babele agitata
ormai compiaciuta e beata
dei suoi gravi difetti.
Cangian le parlate
in queste traversate
dal turbolento golf’e Napule
alla malin-conic-angoscia
der Tever’a Roma.

002_aracoeli 180

Ogni volta lascio felice
questa Roma capa-tosta
(patria che si finge doma
pigra stazione di posta).
Per me bestia da soma
Rom-a-mor primo ostello
fu un abbraccio da bordello
una madre da abbandonare
se non vuoi soffocare.

003_gianicolo 180

Dai parapetti de travertino
de ‘sta città de ruderi
e chiese… il duro strapuntino
mi conduce alla luce
(o via)
dipinta sulle case
di Firenze. Un affresco
impolverato
(o via)
dove l’Arno trascina cavalli
carrozze, alberi scuri e lievi
ringhiere inanellate
con madonne affacciate.
Lasciata Firenze
(città di signori)
si passa di là
oltre la montagna
dal sì al scì
dalla parlata tosca
alla cantilena emiliana
Bologna s’è persa il fiume
ma la pianura
è il mare infinito
dove naufragar m’è dolce
o forse un campo finito
dove posso immaginare
l’ottocentesco casolare
il trecentesco verone
l’antico-romanesco cardo
che incontra il decumano
a piazza Maggiore.

santo stefano 180

13.
Tra Napoli Venezia e Firenze
scelsi Bologna, città di scienze
città di vere corrispondenze
per quelle «Laasagne calde!»
che confortano la notte
le ossa rotte, le menti ribalde
e il bisogno d’avventura
che vien dalla paura.
Ho subito amato Bologna
per la parlata che sogna
ascoltata da Luisa e Dora
e nel convento della zia suora
per la voce del nonno Zvanì
che col treno partì
un bel giorno per Roma
lui, che odiava l’assioma
di dover far l’impiegato
viaggiò sempre, stregato
dal sogno di fare qualcosa
per la povera gente. Focosa
la sua idea gridata dal palco
sicuro il suo sguardo. Un falco
nello scorger Mimì
affacciata al verone. Mai svanì
il treno vaporoso, elegante
che univa l’Italia di tante
misteriose città.

007_cesenatico 180

14.
A quindici anni
(di giugno)
(caldo faceva caldo)
conobbi le vie di Bologna
in cerca dei panni
del vestito fumo-di-Londra
per Decio, un caro parente
alla coniugal gogna.
Conobbi dei portici l’ombra
e scoprii che Bologna
(se la vuoi imparare
ad amare)
ci devi tornare.

005_piazzetta 180

A diciassette anni, d’estate
viaggiavo sul treno di Cesenatico
sul treno del primo bacio
intriso di sabbia
della prima altalena
cigolante sul mare.
A venticinqu’anni
il treno mi portava a Trieste
(dopo Venezia)
un viaggio lunghissimo
denso di pensieri
progetti sogni dormiveglia
erotiche fantasie
modestissime follìe.
Trieste mi faceva le feste
coi suoi parchè
il suo hotel liberty
i suoi gran caffè
le sue vie in discesa
strappate dal vento.
Tornavo contento
e scendevo a Venezia
per perdere tempo
per ricordare, sperare
annaspare in voglie
sottratte alla moglie.
Scendevo a Bologna
per le «Laasagne!»
per quelle voci da lagne
per uscire un pò
sotto i portici
intorno alla stazione
come se avessi
presa da un pò
la grave decisione
(a suon di forbici)
di tagliare Roma
e il suo amore ingabbiato
e incollare Bologna
(a strati di coccoina)
il mio amor prolungato
era già ricambiato.

006_treno rm_bo 180

15.
Poi più spesso
poi senza accompagnatori
poi solo e pensoso
poi ardimentoso
poi mille e mille volte
presi quel treno che
(unico coraggio richiesto)
ci si sale su
si sistema la valigia
o la borsa
o il libro
o il giornale
e ci si trova in viaggio
in un molle cabotaggio
tra polvere e catrame
erba medica e liquame
voci intime e amorose
grida acute e fastidiose.
Certo, il treno è costrizione
concentramento, prigione
ma è anche il gran portento
di pensare in movimento
di guardare come in gita
i paesaggi della vita.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 12 février  2014

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Il va-e-vieni del signor Treno II/III (Testamento immorale IV/II)

11 mardi Fév 2014

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Testamento immorale

001_il treno 180_risalto

Il va-e-vieni del signor Treno II/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale IV/II, Manni 2006)

6.
Quand’ero in fasce
quando avevo le prime ambasce
quando guardando le scritte
sui muri imparavo a parlare
quando Amore
era gran confusione
di madri vicemadri zie cugine
il treno già correva freddo
nel buio ostile
pauroso, sconosciuto.
Ragazzetto, costretto
da impulsi ribelli
camminavo da solo
in mezzo ai binari
aspettando felice
l’arrivo del treno.

001_siena 180 NB

Poi, trovato il pretesto
di un dovere severo
(m’illudevo, così presto
di saltare, leggero
la battuta d’arresto)
all’alba, fuggitivo
(privo di colazione)
assaporavo ozioso
il risveglio della stazione
la struggente abiezione
dell’emarginazione:
(«Venduta l’argenteria
mi caccerà la polizia
col foglio di via»).
Poi, di pensilina in pensilina
di orario in orario
di controllore in controllore
imparai ad affezionarmi
al signor treno, a seguirne
con apprensione
il declino, a registrare
l’odore di gomma bruciata
il velluto con gli aloni neri
il rumore sgangherato
del ventilatore.

002_italia 1961 NB 180

7.
Eh già, un tempo
(per molto tempo)
trafitto e ammaccato
dai vagoni di latta
in piedi, seduto
ho a lungo viaggiato
aggrappato a una maniglia
ridotto in poltiglia
(chissà quanto aiutato
dai continui sbandamenti
dai fischi tra le rotaie
a capire la vita
a ingannare la partita
a finire ingannato
e beato).
Di certo ho imparato
a lasciare sul treno
come vecchi giornali
le mie provvisorie certezze
a dimenticare
(aprendo lo sportello)
il ricordo più bello
a sognare
(sospingendo la valigia)
una nuvola grigia
di caldo o di freddo
a cui regalare il dolore
che lacera il cuore.
Impacciato, affacciato
al finestrino impolverato
il mio sé separato
stordito, impallidito
davanti all’infinito
è anche lui naufragato
si è dissolto nel filmato
di città brune e bionde
di campagne spettinate e rosse
di lunghe spiagge castane.

004_rm bo 180

8.
A Bologna
partendo di notte
si arrivava alle tre di mattina.
Io bambino
di otto o dieci anni
guardavo il buio alitavo
sul vetro, annusavo
l’odore di fumo
incantato ascoltavo
il soffio dei freni
la tromba della locomotiva
il fischio del capostazione.
«Laasagne calde!»
gridava un uomo
con la visiera grigia.
Il treno proseguiva
arrivava lontano
la mattina seguente
nel bel sito montano
aspro e struggente.

004_dolomiti NB

9.
Dal baule spalancato
fuoriusciva pungente
il golfino attillato
il calzone crescente.
«Riportami sul treno
voglio tornare indietro!»
imploravo gemente
sbirciando la foggia
del buio incombente
minaccioso e tetro.
«Non vedi la pioggia?
Perché, caro amore
vuoi andare alla stazione?
Di freddo si muore».
Mia madre, sapiente
(toccandosi il cuore)
(guardando oltre il vetro)
prometteva il sereno:
«Domani a colazione
c’è panna e zabaione!»
Fu padrona assoluta
dei ricordi più incantati
quella casa sconosciuta
sola sola in mezzo ai prati
sconvolta a sua insaputa
nei momenti più impensati
dalla folgorante morsa
di quel treno in corsa
(un assaggio di fumo
dal dolce profumo;
un passaggio di rumori
che strapazza i fiori;
un raggio di luce
che lontano conduce).

001_cortina arabi 740

10.
Per la mia famiglia stracittadina
priva di terra e di cantina
unico lusso fu villeggiare
(a Canazei e Cortina)
in prati freschi da respirare
e poi andare a visitare
sempre Venezia
(e non fu un’inezia).
Il treno
(tutt’uno nell’acqua)
appena arrivato
sul Canal Grande
già salutava Venezia
(ossequioso damerino)
con un bell’inchino;

002_venezia vaporetto 740

cavalcavo la valigia
sul mai-fermo zatterino
ed ancor con ingordigia
m’affacciavo al finestrino.
E c’era quell’effetto
ancor sul vaporetto
vibrante tra le pietre
annerite e tetre.
Finito il su-e-giù
del frenetico treno
(zitta e ferma la ruota
del cercare alieno)
noi figli guardavamo
dall’albergo dell’Angolo
il remo sciacquettare
tra le alghe all’angolo
del rio lagunare.
«Òhe, Òhe!»
gridava da eroe
(piegato sul fianco)
il gondoliere bianco.

003_venezia gruppo 1 740

11.
A piedi per Venezia
(indecisa fila indiana
di vagoncini umani)
il crescendo di bellezza
culminava nella piazza
pullulante di piccioni
bandiere e suoni.
Impeccabile mio padre
sbrigativo e preciso
fotografava lo struscio
dei sortenti-entranti
dal botolante uscio
dell’Escelsior-Danieli
mortalando, tra i veli
di quei lucidi cieli
le attrici in carne-e-ossa
i magnati alla riscossa
le persone strambe
le migliaia di gambe
le facce bronzate
ahimé rassicurate
dal grottesco successo
in fatto di sesso.

004_venezia piccioni 740

Anche noi piccini
grazie ai mangimi
da dare ai piccioni
grazie ai gelati
leccati e colati
(e ai pantaloni macchiati)
giungevamo eccitati
da mille emozioni
a riva degli Schiavoni
dove, come spezia
si dissolveva Venezia
e nasceva ventoso
ma privo di aroma
il cielo minaccioso
del ritorno a Roma.

005_venezia campanile 740

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 11 février  2014

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Il va-e-vieni del signor Treno I/III (Testamento immorale IV/I)

10 lundi Fév 2014

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Testamento immorale

001_viaggiatore 180

Il va-e-vieni del signor Treno I/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale IV/I, Manni 2006)

1.
Va il signor treno
bucando montagne e colline
infilando luminarie di paesi
correndo per mesi e mesi.
Va il treno, ago e filo
cucendo a fatica
il vestito imbastito.
(M’han detto che l’ago
trascina il dolore
di ferita in ferita
che il filo, presago
della speranza tradita
trafigge il cuore.)
Insidiosa come l’ago
è la locomotiva
(emotiva, esplosiva)
snodati a mo’ di filo
tutti ‘sti vagoni
(pigroni, ladroni)
si vestono e svestono
veloci come Fregoli
audaci come Marylin.

2.
Sui campi
tra i fossi, nel buio
mi sogno il vestito
da morto del babbo
il vestito da sposo
del nonno, il vestito liso
dello spaventapasseri
il vestito svolazzante
(appeso al finestrino)
di un fantasma galante.
Viaggiano
insieme, separati
su e giù per l’Italia
un vestito e un uomo.
Io sono quell’uomo
che cerca se stesso
su e giù per il treno.

002_anni 70 giovanni 180

3.
La sa soltanto il treno
l’incerta lunga storia
seppellita con me
in una catacomba
silenziosa e fonda
dove piove una stella
e si adagia sorella
Cecilia Metella.
Nel mio corpo di gruviera
senza dazio né frontiera
senza piede sul freno
entrava e usciva il treno.
In ogni buia galleria
davo segni d’euforia
di disperata energia
vedendo andar via
e tornar l’allegria
di ambulanti parole
afferrate nel rumore
e perdute nel sole.
L’ho mille volte raccontata
mai compiutamente
la mia vita stordita
avvilita e impunita
cullata e violentata
dalla corsa inarrestata
del treno.
Fu la vita gentile
nient’affatto scontata
di un uomo in viaggio
da maggio ad aprile
(passeggero clandestino
smarritore di biglietti
e di personali effetti
abusatore di concetti
detti e ridetti).
Fui ingombrante come
una signora grassa
scomodo come
un sedile di legno
ma viaggiavo leggero
sottile come un disegno
confuso come Omero
sconosciuto e cieco
come un santone azteco
(è uscito dal binario
colui che, impreciso
ha scritto nel suo diario
che m’avrebbero ucciso
senza volgere il viso
e con rito sommario).

4.
Lento come un vecchio treno
sgangherato e pieno
fui a volte imprudente
come una locomotiva.
A tratti indisponente
per l’energia eccessiva
vivevo tra gente
che non mi capiva.
Ignorato e ostacolato
(un Ulisse disarmato)
mi sono avventato
sul cammino ferrato
e viaggiando ho imparato
a gettar nella forra
degli error la zavorra.
Nel mio andar pendolare
ho imparato ad amare
a tacere e ascoltare:
non c’è nulla d’ignoto
poiché attorno ci ruoto
nell’intero pianeta
per me povero asceta
viaggiatore flemmatico
tra il Tirreno e l’Adriatico.

003_autobus 180

5.
Per questo pasticcio
che mi ha reso posticcio
e schiavo del capriccio
(come ognun viaggiatore
che passa le sue ore
correndo seduto
guardando fuori
raccontando di sé
prendendo il tè)
per questa diversità
che mi rende banale
per questa ubiquità
che mi rende assente
colui che si sforza
di sollevar la mia scorza
colui che, impaziente
non può capir niente
(e dietro un dito
si nasconde avvilito)
è mille miglia lontano
dal profilo inumano
del destino balzano
che mi capitò.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 10 février  2014

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Mi posso ricordare III/III (Testamento immorale III/III)

26 dimanche Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Testamento immorale

001_signore 180

Mi posso ricordare III/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale III/III, Manni 2006)

13.
Fu un colpo
traslocare
(a nove soli anni)
dalla casa vecchia
alla casa nuova
sul camion il comò
il buffè, la tualèt
lo specchio nero
la cornice svolazzante
il servizio di Ginori
le opere di Leopardi
i nostri sguardi
dal viale salutante
(non troppo indulgente)
al viale aspettante
(non tanto accogliente).
Poi tutto quel bianco
quelle scale e scale
quel fango sulla via
quel cambiamento
da piccolilord
a ragazzi di strada.

14.
Ci fu poi lo smarrimento
per le aguzze parole
portate dal vento
o da voci sgraziate
ostentate, spietate
corrotte e rotte
(pur ancora bianche)
già vecchie e stanche.
Subito non capivo
(non osavo chiederlo)
che vuol dire paraculo
e perfino vaffanculo
vacce e stacce
e prega dio
che te ce manna.
E ingoiavo i mortacci
le cantilene scurrili
tra scalette e cortili
obbligato,
a fare il terzino.
Imparai la lezione
diventando garzone
ruvido e strafottente
con la bimba innocente.

002_delusa 180

15.
Per un po’, crescendo
mi concentrai, correndo
su ogni sorta di pallone
come sola fissazione.
Ma ben presto
il calcistico contesto
(con tutto il resto)
divenne un ingrediente
del tutto indifferente.
Mi misi a guardare
le donne passare
e cercai di capire
(senza mai domandare)
quel corteggiare
(e femminil fuggire)
dove andava a finire.
« Si fa ma non si dice »
canta Milly la fatale
attaccata a un fanale
al Varietà La Fenice.
« No, si dice e non si fa »
ridacchia zia Augusta
sé fingendo filibusta :
« Ci son tante varietà
per tutte le età,
chi si vuol scandalizzare
lo può fare.
Ma non è poi fatale
che debba finir male ! »

16.
Le smanie mie più rare
forse potrei pittare
col pennello secco
(o inchiostrato rosso-e-blu)
col pennello impazzito
selvaggio, primitivo
che ne fa di tutti i colori.
Finirò per rivelare
la pazzia controllata
dei piedi nudi
sul marmo freddo
l’Arianna che si spoglia
fin lì, solo fin lì
fino a gettarmi
il grembiuletto sull’occhio
della serratura.

003_guadino 180

17.
Dopo i fuochi dell’adolescenza
provai a fingere
una sobria esistenza
(senza pestare i piedi)
ma, passati i tempi duri
(senza sfondare i muri)
ho contratto la demenza
per la donnesca assenza.
Giovane angosciato
fuori tema ho osato
piccole poesie senza senso
sorrette da un sonetto
nascosto, poesiette
azzardate e incomprese
incollate, come caccole
alla rete del letto.
Non ci sta nient’a fare
sono un inetto
o piuttosto un bamb-inetto
propenso a cicli
di umore alterno
senza sfogo di sangue
propenso alle cause perse
alle mezze stagioni
alla vita di città, alle fantasie
ai lunghi corteggiamenti
senza veramente sperare.
A che serve ricordare
che quel giov-inetto
sapeva assai bene parlare ?

18.
Conoscevo un trucchetto
per riempire
di ossessive parole a braccetto
la carta del gabinetto
ma non amavo rivelare
come si fa a sporcare
un muretto col gessetto.
Ma son io quel giovane
pallido e oblungo
appassito dalle passioni
che va di lungo
passeggiando sul lungofiume
prendendo a calci nel sedere
le foglie?
Sì, come no, mi ricordo
sono io quel malintenzionato
che con cura bislacca
infilava la penna
in sette boccette
di sette colori.

004_guadetto 180

19.
Quarant’anni.
Facciamo danni e il mondo
cambia del tutto : poco fa
di assorbente c’era solo
un pensiero furente.
La carta oleata non la trovi
neppure dal salumiere
finito impacchettato
precotto e premangiato
al supermercato.
Anche la penna
del signor Biro
si rattrappisce
come il gambo di un fiore :
la consunta matita
sopravvivrà alla dipartita
di un’intera partita
d’inchiostri senza vita.
Non mi servono più
sulle malconce ginocchia
mentre picchio con foga
nei tasti avana della pancia.

20.
Poiché di Roma son nativo
non mi scordo l’artre vòrte
che ho sconfitto la morte :
Tiè ! il meraviglioso
stato di grazia
della provvisoria certezza
di essere sano, scampato
scampato e sano,
le altre volte
che ho pianto perché lei
perché io… le altre volte
che un tonfo d’amore
mi ha sprofondato il cuore.
Laggiù vengo,
tra illusorie partenze,
spietati arrivi,
interruttori a mezz’aria
che spezzano i nervi,
tagliano le ossa,
rimbalzano il sangue
tra la testa e il cuore,
vengo, vedi, a cercare
anche te, ultima tonfatrice
ancor più di me sgomenta
nel letto gelato
di inadeguate parole.
Ma non vedo ora scorno
nel confessare
(con in testa il tricorno
regolamentare)
che ho lasciato
il lavoro apprezzato
e l’affettuosa città
per amor d’una donna
spaccata a metà.

005_terrazzino 180

21.
Né avrei potuto campare
pensare, camminare
senza gli amici,
cercati e trovati
dentr’e fuori il Mamiani
la scuola dove non ho
imparato : i compagni
le compagne, le pizzette
lo sciopero dei termosifoni
la geografia senza storia
la lezione d’italiano
senza nulla di arcano
(Petrarca Francesco
mi sembrò libresco ;
Tasso fu mutilato
del suo Amor tormentato
e di Foscolo fu spento
il sepolcrale lamento).
Dalla vita (meno male)
tutto ho appreso,
ma sfacciato m’ha reso
quando, giovin supplente
al liceo Castelnuovo,
proprio non ho insegnato.
Ecco, scorre il filmato :
gli alunni le alunne
le prime occupazioni
i megafoni senza suoni.

22.
Ho creduto, votato
sperato e perfino imparato
a parlare in pubblico
ed il tempo biblico
ha via via snocciolato
il partito, il sindacato
la strage di stato
il corpo mutilato
e la folla sconvolta
(si fermava ogni volta
la pachidermica gamba
dell’Italia in rivolta).
Ma un destino privato
inglorioso, stralunato
si è per me disegnato
nella gran confusione
di lunghissimi viaggi
attraverso le stazioni
e i telefoni assordati
dagli avvisi dei treni
(in ritardo sul terzo binario
piazzale Ovest).

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 26 janvier  2014

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Mi posso ricordare II/III (Testamento immorale III/II)

25 samedi Jan 2014

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Testamento immorale

001_severini l'aia 180

Gino Severini, Gemeente museum, L’Aia 

Mi posso ricordare II/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale III/II, Manni 2006)

6.
So a memoria i colori
i dadi e i muri per fare
uno strambo castello
e una casa squinternata
macchiata d’inchiostro blu.
Non scordo le città
le case le strade
i pali della luce
il buio che seduce
quando da bambino
inscatolato e nababbo
viaggiavo, principino
nella macchina del babbo.
E son vivi gli odori
della casa della zia Maria
il corridoio fresco, la cantina
giù dalle scale, fuori i grilli
e le stelle bonarie di Romagna.
Non è meno fatale
pensare ad un sabato
nella casa natale
(cascasse il mondo
c’eran tutti, intorno
al tavolo tondo).
Né mai più ci ritorno
al sapore speciale
della sugosa pastasciutta,
sollievo per lo stomaco
guizzante e piagnucoloso
costretto, di solito
a ricacciare nel fondo
il vomito affiorante
della pasta ripassata
del refettorio.
Coscienzioso
imparavo a ingoiare
le molliche di carne :
guai al mondo a lasciare
sul piatto il boccone
della buona creanza
mentre intere famiglie
vivono di solo pane
(né c’è altra soluzione
per la nuda figliolanza).
002_lido dei pini mimma romoli 7407.
Mi portavano
(per scrupolo, con dedizione)
a visitare le case
asettiche, ordinate
d’inarrivabili persone civili
capaci di foderare perfino
con la carta fiorita i cassetti.
Ma in ogni occasione
somigliavo all’idiota
incapace di veri progetti
paralitico e muto
(davanti a quei capelli ricci
che non facevano mai pasticci)
(mentre quel Superbone
era una vera eccezione)
(ce n’erano poi vari
perfetti, dei veri stradivari).
Così diceva, piegando il dito
l’insindacabile moglie al marito.
003_palais royal 1808.
Osservavo, rumoroso
l’esempio silenzioso del babbo
la reverì sciantosa di mamma
sempre allegra mai pigra
quando faceva lezione
(per ore e ore)
di italiano e latino.
Mia madre
era anche seria
(mai parlava di miseria
sempre di povera gente)
mentre imburrava
il pane abbrustolito
e per le feste ci conciava
(d’improvviso i calzini
erano stretti
i pantaloni larghi
i capelli ribelli).
E viva le luci accese
le stelle filanti appese
le maschere di carnevale
e ogni scherzo vale
e ogni bel gioco
dura poco, e tutti zitti
che il-papa-fa-pipì ;
(fui un folletto rosso
un cauboi con la pistola
un siù con la freccia).
004_macchina da scrivere 1809.
Nel mio orizzonte
spaventato, ben ci stava
il castagnaccio
il burro nell’acqua
la maestra buona
la maestra cattiva
e la Teresa
dalla chioma permanente,
sanguinante romagnola
col respiro sempr’in gola
(per la corvé stridente
di portare a più riprese
a villa Borghese
i tre figli d’avvocato
sapendo che sul prato
l’aspettan le pretese
del soldato abruzzese
di nome Fidanzato).
Un bel giorno arrivò
(brun brun bruuuun)
la quindici-cinquantatré-novantaquattro
giardinetta eroica
che squarciò la tenda
di pelle d’asino
illuminando la visuale
del mondo inusuale
con un solo fanale ;
la rivedo elegante
correre tremante
(bisognosa di spinte
ma con piglio ardente)
dal ponte alla fonte
da Segesta a Selinunte.
005_dodo antonia cortina 18010.
Sto a bocca aperta,
ancora a guardare
i padri e gli zii
che hanno vinto
sommessamente la pace
a lor volta increduli
di fronte al miracolo
di poter finalmente parlare
liberamente amare
rotolarsi nell’erba
sotto i pini
fuori dai rifugi alpini
della Resistenza.
Dentro me li ho racchiusi
come mazzi di fiori
come preziose mercanzie
i racconti confusi
dei miei genitori
le mille peripezie
per trovare l’olio, il pane
le risate di notte
nel coprifuoco
come se  fosse un gioco
la guerra
(il loro sacrificio
non fu sbandierato
la loro felicità
non fu nascosta).
11.
Ce l’ho qui dentro
(da qualche parte
del corpo animale)
lo stesso spiccicato
delirio di impotenza
la stessa forza
di sopravvivenza
che mi fa sopportare
il dolore dell’assenza
per i morti spazzati
per i vivi esiliati
via da me
per tutto l’universo
di stelle uniche e rare
che con me
non ci vogliono stare.
006_separé NB 18012.
Forse posso scavare
nella piega cruciale
del sussurrare lento
misterioso, colpevole
dei grandi, sul conto
di quello e di quella
che fanno all’amore.
« Sono amanti »
rideva mia madre
con nitriti da leonessa.
Così nacque
la mia idea del destino :
un giovane padre
(vestito da uomo
magari con le tasche
piene di fazzoletti)
si lega a una giovane madre
(vestita da donna
magari in taièr);
la natura ficcata in ognuno
fa il resto
(subivo ahimé l’armistizio
tra la strana verità
delle poltrone a fiori di mammà
e il fotoromanzo, gran supplizio
delle donne di servizio).
Avrei giurato
e spergiurato
che l’amore è un prato
senz’ombra di peccato
o meglio è un inseguirsi
di tristi passeggiate
sul limitare del buio
oppure è una parentesi
un nido di fresche-frasche
il cilicio di un ristorante
(freddo e elegante)
dove, seduti
quant’è difficile parlare
e lo stesso mangiare.
007_separé 2 NB 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 25 janvier  2014

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Mi posso ricordare I/III (Testamento immorale, III/I)

24 vendredi Jan 2014

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Testamento immorale

001_mi posso ricordare 180

Mi posso ricordare I/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale III/I, Manni 2006)

1.
Diciassett’anni era la mia età
speciale o normale. Da allora
son già quarant’anni passait
esalati goduti risaputi
sconosciuti, che vorrei
vomitare, sputare
ma non proprio regalare
al cassonetto.
Piuttosto li metto
in uno stiletto
sotto il letto.

2.
Quarant’anni, cosa più
posso fare
di speciale o di normale
per riuscire a evitare
di farmi impiccare?
Sarei stanco o stufo
di governare sovrano
un’isola esclusa dalle rotte
senza bigotte né mignotte;
esausto di impennacchiarmi
a ogni perlustrazione
a ogni fucilazione
a ogni processione.
Ne ho pieni i coglioni di fingere
di reclutare
di addestrare
di irreggimentare
‘sti avanzi di galera
che non sanno
neppure inciampare
e mai impareranno
a sapersi districare
unó-dué nella vita.

3.
Se s’inabissa l’isola
se quel gorgo
atteso e inevitabile
inghiotte tutte le scatole
le lettere, le pratiche
i permessi
le chiacchiere al bar
il profumo unico
della bella Irene
se nonostante ciò
sopravviviamo tutti
e anch’io sopravvivo
cosa potrò più fare?
Come potrò evitare
di nuovamente sbagliare?

002_mi posso ricordare 180

4.
Proverò a traslocare
a emigrare
a ricominciare
senza ricercare
il giusto mezzo
la maestria o l’armonia
(tanto nessuno se l’aspetta).
Uscirò/ senza mai rientrare
mi abituerò
a sfidare la morte
e op-là
(dopo il salto mortale)
mai più rinuncerò
ai miei nascosti bisogni
ai miei son-fatto-così.
Sarò felice di accorgermi
di aver dimenticato
questo strano
obbligo ancestrale
di dimostrare-o sennò-di rinunciare
(è questo il mio
prendere-o-lasciare):
entusiasta
e rinato alla vita
se potrò scansare
la cupa condanna
di conservarmi
sensibile-e-speciale
tormentato-ma-originale
marginale-ma-dotato
fresco -ma-surgelato.
Mai più mai più
un tale volume di gioco
in cambio
di una sopravvivenza triste.
Formica o gigante
non avrò più ostacoli
sarà ormai indifferente
tacere o parlare
scrivere o cancellare
inventare o ricordare.

003_mi posso ricordare 180

5.
Mi posso ricordare
di essere stato un attore
un fine dicitore
un allibratore
un rilegatore
un acuto osservatore
oppure un trombettiere
un granatiere
un contrabbandiere
un ladro di bandiere
un postino
un fantino
un bevitore di vino
un divino amatore
un conquistatore
un personaggio saggio
dotato di coraggio
un ostaggio
di grande lignaggio
Titiro sotto il faggio
e persino Caravaggio.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 24 janvier  2014

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Io e il mondo non ci capiamo (Testamento immorale II/II)

11 samedi Jan 2014

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Testamento immorale

000_coppia 180

Io e il mondo non ci capiamo (seconda parte)
(capitolo II/II, Testamento immorale, Manni Edizioni, Lecce 2006)
(testo precedente)

9.
Non mi piace
un mondo così :
insieme alle parole rare
spariscono le persone
con cui si può parlare.
Me ne devo andare
rompere lo specchio
della vita pendolare
tra un me vero e uno finto
tra un me frenato e un me spinto
vincitore e vinto
pittore dipinto
scrittore scritto
conquistatore sconfitto.

009_foro romano per blog 740

10.
Montando forse
su una rocca buia
irta di sterpi
capirò il motivo
di questa imperscrutabilità
di questa inavvicinabilità
incomprensibile.
Spargendo colla, forse
sulle ciglia grigie
dimenticherò i bagliori
dei viali della periferia
cancellerò dalla testa
gli affanni di voci
le piccole dolcezze rubate
le staffilate crudeli
inghiottite ridendo.

010_foro romano 180

11.
Rarefatto nel silenzio
(dormono tutti
anche i fantasmi e i morti)
spiazzato e incerto
ascolto una per una
le parole mozze
scomposte, farneticanti
lente come un funerale
veloci come uno scioglilingua
(non le riesco a fermare) :
«Tu, tu hai sbagliato
nell’errore hai perseverato
non hai fatto questo
né quello». «E lei?
Dov’era lei?
L’avete vista?»
Mi ricordo
l’onda sgraziata
della folla, l’onda
inconfondibile
dei tuoi capelli quando
mi venivi incontro.
È così,
proprio così, come dici tu :
tutto spariva.
Bella o brutta
ci svolazzava intorno,
leggera, la spiegazzata
coperta del mondo.

012_foro romano

12.
Nel fondo buio del cielo
che mi fa da specchio
si perdono le nostre parole.
Non trovo quelle parole
ma sempre altre parole.
Sono persone vive
quelle che cerco
tra loro ci sono
addirittura
coloro che mi hanno
insegnato a parlare
a scherzare, a rinchiudere
le parole nei gesti.
Sono ancora qua dentro
lampeggianti e mortali
le antiche corrispondenze
d’amorosi sensi
le vecchie carte strozzate
da fiocchi profumati.
Oppure le ho perdute.
La mia vita trapassata
torna a penzolare
tristemente
in un gelido secchio
dentro un pozzo lunare.

013_foro romano 180

13.
Almeno un occhio
lo devo chiudere
se voglio vederle
affiorare repentine
oltre la ringhiera cieca
le voci chiamanti
lontane, sfuggenti
eppur chiare e immortali.
Sullo schermo impolverato
del film riesumato
una passerella di parole
con fattezze di persone
attraversa il castello diroccato
di un cervello sorpassato
arrivato, andato.
Il mio.

015_foro romano

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 10 janvier  2014

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Io e il mondo non ci capiamo (Testamento immorale, II, I)

10 vendredi Jan 2014

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Testamento immorale

001_testina per testamento 180

Io e il mondo non ci capiamo (prima parte) 
(capitolo II/I, Testamento immorale, Manni Edizioni, Lecce 2006)

1.
Io e il mondo non ci capiamo.
A turno arriviamo tardi
o io o lui
agli appuntamenti.
Non facciamo alcuno sforzo
forse. Di certo
non sappiamo ascoltare.
Non troviamo
una strada sicura
per le nostre diverse
contrastanti parole.
Così non c’è
campo di battaglia
per vittoriose sconfitte
per onori al merito
o degradazioni solenni.
La storia non registra
nulla, preferisce
mettere a tacere, oppure
non si accorge nemmeno.
Soltanto sole e pioggia
vento e aria che a malapena
si respira.

002_foro romano 180

2.
Inco-muni-cabi-li-tà
questa lunga parola
sembrava uno scherzo
un gioco di società
quarant’anni fa.
Michelantonioni
perlustratore solista
dei paesaggi urbani
di Sironi  e Vespignani
s’inventava una lista
di personaggi strani:
il moribondo
che non riesce a parlare
il morto
che non sa camminare
il resuscitato
sbattuto in prima linea
che non sa più
ascoltare
la moglie tradita
la figlia smarrita
l’amica avvilita
e nemmeno la vita.

003_bis foro romano 180

3.
Un’onda di tristezza
percorreva le storie
del Bergman italiano
impegnato e strano.
E così dalla notte
di Antonioni, all’effetto notte
di Truffò, tutti a dire :
« Stiamo disimparando
a parlare, attenzione
alla dis-assuefazione ».

004_foro romano 180

4.
Il mondo globale
ha inglobato
in un unico supermercato
rionale
l’artista impegnato
e l’artista impelagato.
Il colloquio si è inceppato
e l’ascolto, violentato
pre-pensionato
come straccio strizzato
è preso a calci
in un prato.

005_foro romano 180

5.
« Non è tempo d’Antonioni
né di giovani leoni »
dicono sornioni
i caporioni delle televisioni
i metrappensé
delle case editrici osé.
« Diceva giusto Svevo
non siam più
nel medioevo
e Palazzeschi, quando
lo ripeschi ? »
Quanti vivi e quanti morti
per anni e anni
fiumi e marine
grigie pianure
e tristi colline.
C’è stata forse
una titanica
invisibile guerriglia
sparita dai giornali.
Uno scontro disperato
all’ultimo fiato. Ma
ha vinto la censura
la  vita per procura
l’usura, l’abiura
ha vinto il tecnocrate
il fine dicitore
l’arguto commentatore
il finto cavaliere
il vero cafone
l’imbroglione
il pieno di sé
il vuoto di parole vere
di quelle sole poche parole
che servon davvero.
Non una di più bianco
non una di più nero.

006_foro romano 180

6.
Non ci capiamo
io e il mondo.
Lui non mi perdona
i tappi alle orecchie
la televisione spenta
i libri immortali
l’ingenua ostinazione
nel dir-ciò-che-penso.
Io non gli perdono
il rumore di fondo
le frasi fatte
il perenne omaggio
ai vincenti, l’impunito
oltraggio ai deboli
a color che non sanno
tramutare in ficscion
una povera vita.

007_foro romano 180

7.
In-capace di comunicare
in-sistente il mondo
ci fa scorrer davanti
assai ripetitivo
un film vuoto
popolato di automi
pieno zeppo
di gente finta
stravolta nel corpo
e nel volto
ma che urlano affare
se tanto
nessuno sente
nessuno vede
nessuno parla.

008_foro romano

8.
Inco-muni-cabi-li-tà
non scherziamo
c’è qualcuno che ci marcia
c’è sempre almen uno
che ci campa. Un tipo
come me, forse.
Ammutolito, non capito
ha rinunciato ad amare.
Ora si vuole sistemare
e poi arricchire
e poi non saprà rinunciare
e poi dovrà tradire
uccidere, condividere
eseguire.
Per arricchirsi di più
per non impoverire più.
Ecco l’identi-kit
del  verme solitario
che cresce
dentro di me e si mangia
le mie parole
me le rivolta contro
me le confonde
me le uccide stravolge
tortura, svuota
oppure copia
rubandomi anche la penna
o il pennello
per ridisegnare
a suo compiacimento
la storia cancellata
del mondo.

011_foro romano

(continua)

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 10 janvier  2014

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Sono qui, sotto Roma (Testamento immorale, I)

09 jeudi Jan 2014

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Testamento immorale

001_cappello verde 2006 180I. Sono qui, sotto Roma (capitolo I, Testamento immorale, Manni Edizioni, Lecce 2006)

1.
Son morto e seppellito
giù giù sotto tonnellate di terra.
Una coltre di vetro trasparente
(un fondo di bottiglia,
una lente Zeiss),
sotto cui la morte
libera dalla claustrofobia
serpeggia felice
e dichiara alla stampa
la sua putredine eterna.

002_aventino 180

2.
Sono qui, sotto Roma
in un ramo di catacomba
dove non passa, finora
la metropolitana. Per
qualche secolo le mie carni
avranno tutto il tempo
per sparire, le mie ossa
potranno ammucchiarsi
franando dolcemente,
avvicinandosi tra loro
con lentezza di pietre nella sabbia.
Le mani, continuando
a somigliare a mani
terranno su la testa
tonda liscia, senza più
occhi né labbra ; tra le dita
il volto riempito di terra
avrà a disposizione
tutto il tempo dell’eternità
per ricordare e vivere
quietamente la morte
la solitudine impraticabile
dove l’anima affonda.

003_lungorevere 180

3.
Sono qui,
morto in poesia
invece che in prosa
condannato all’eterno stato
di andare a capo.
Fu per questa circostanza
fisica e mentale
che trovai questa morte
davvero originale.
Indeciso fino alla paranoia
se il mio verso dovesse
cadere sulla rima, restare
saldamente in prosa oppure
eternamente camminare sul filo
decisi di andare, di notte
ma ero stanco, agli scavi
di Cecilia Metella.

4.
Camminavo da solo
col raggio di luna alla nuca
recitando in cento maniere
lo stesso verso. Alla fine
(due volte la gamba aveva ceduto)
restarono Penna e Caproni
Pasolini e Amelia Rosselli
Volponi e Bertolucci
Bellezza e… Era buio,
il mio cerchio sformato
barcollando cercava
un tugurio quadrato
quando il tempo è spirato.
Ho sentito addossato
silenzioso un boato
(la mia gola già spenta
adagiata sul prato
stava invano chiamando
come il corno d’Orlando).

004_panorama 180

5.
Il destino mi ha regalato
uno smarrimento speciale
(nessuno può trovarmi
la mia fiat senz’armi
è parcheggiata strana). Il fato
mi ha progettato
un pozzo sfondato.
E ci sono proprio cascato
anzi colato
come un gelato.
La morte mi ha stecchito
e così sono finito
sotto un masso di granito
senza fioriere seccate
né bandiere di partito.
Sono morto in poesia
invece che in prosa
condannato all’eterno stato
di andare a capo.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 9 janvier  2014

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TIex7_Venezia VII/VII

12 mercredi Juin 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Testamento immorale

001_venezia capovolta 740

Venezia VII/VII (capitolo XI,15, Carrozza n. 5, Testamento immorale, p.169-170 Manni Edizioni, Lecce 2006)

(L’ultima volta)

Il treno scivola
come una slitta
sulla lagune;
i mattoni anneriti
del retrobottega veneziano
vorrebbero spegnere
l’entusiasmo.
Spunta il dubbio:
possibile
che al di là
di questo cupo sipario
ci sia davvero
(ancora)
Venezia?

002_biennale 740Venezia, Biennale 1976

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 10 juin 2013

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