“Rapsodia su un solo tema” di Claudio Morandini, Manni Editori 2010
Una prima osservazione, giunti a circa metà lettura di “Rapsodia su un solo tema”- che si fa via via più avvincente – è che questo libro non sembra scritto da un italiano, e nemmeno dallo statunitense Ethan Prescott o dal suo compagno Carl Thalberg. E nemmeno da un russo, come il musicista Rafail Dvoidikov o da una russa, come la sua segretaria e assistente Polina. Una sorta di “spersonalizzazione” – che coinvolge il lettore, passando per la sua pelle, i suoi gesti e comportamenti -, insieme all’accettazione, forse, della mutazione babelica che ci conduce tutti verso una nuova e sconosciuta identità globale, sembra essere la scelta fondamentale dello scrittore Claudio Morandini, autore di questo romanzo di grande interesse, che merita un vasto pubblico di lettori, soprattutto al di fuori del solo, spesso disattento, contesto italiano. Questa scelta corrisponde, io credo, alla seconda necessità evidente di questo libro : dire la verità, raccontare la storia di un artista puro e geniale che sopravvive al sistema di potere sovietico, dire tutto in modo mai scontato o obbligato. Dire, inoltre, la verità sulla libertà presunta nella quale un musicista più giovane, mentre analizza l’oscuro dossier del mitico compositore russo, rivela al lettore e a se stesso quanto sia diventata difficile la sopravvivenza nel cosiddetto occidente libero, sregolato e postmoderno, che attraversa negli Stati Uniti una fase particolarmente problematica e disperata. Dire tutto ciò non è facile, ma Claudio Morandini ci riesce, grazie e soprattutto all’understatement con il quale l’io narrante parla e agisce. D’altra parte il libro contiene una terza sfida, quella di far ruotare ogni riflessione e ogni avvenimento intorno al tema musicale o per meglio dire alla musica tout court, questa idra a mille teste che offre allo scrittore la possibilità di raccontare anzi di ricostruire la verità – la verità di noi tutti e la verità dei nostri tempi – secondo molteplici registri e attraverso numerosi quadri. Egli scrive un libro che si suppone parli della rapsodia su un tema di Rafail Dvoinikov, un tema insistito, esclusivo e perfino ossessivo – che potrebbe essere inteso come la forza e la disgrazia di questo compositore. In realtà è l’autore stesso che struttura il suo libro nella forma di una rapsodia. La musica è dunque il vero protagonista del libro ed è anche il pilastro centrale che ne sostiene l’architettura, dalla prima parola all’ultima. Ma in questo libro c’è anche molto altro.
L’io narrante, il musicista statunitense Ethan Prescott, è un musicista assai creativo, allo stesso tempo perfettamente integrato in un contesto, che lui stesso chiama “di nicchia”, dove è ormai autorizzato ad interessarsi di un autore russo molto anziano, pochissimo conosciuto in occidente, che ha conosciuto una giovanile riconosciuta grandezza ma non è stato poi capace di aderire supinamente alle richieste di un sistema di potere ottuso e sospettoso come quello sovietico dagli anni 20 in poi: “Dvoidikov, audace sul pentagramma, ha dovuto imparare l’arte di dissimulare il suo carattere, e fingere di essere un prudente esecutore di direttive altrui – senza riuscirvi mai, e in questo fallimento sta la grandezza della sua musica, che oggi possiamo leggere come uno dei massimi esempi di un’arte tanto prepotente da sfuggire allo stesso artefice” La storia di Rafail Dvoinikov, ricostruita gradualmente e attraverso una singolare molteplicità di piani narrativi – da quello minimalista e a volte concettoso dei diari di Ethan Prescott a quello emozionato e emozionante degli incontri a casa del musicista russo, in presenza della inquietante segretaria e interprete Polina; da quello delle proiezioni sul presente di possibili contaminazioni e tresche artistiche con la musica techno a quello dei resoconti di viaggio di un contemporaneo di Mozart e Gluck che ha l’ardire di frequentare auditorium e sale di incisione del ventesimo secolo – cessa ben presto di essere soltanto o soprattutto la storia dell’autore dell’”Antisinfonia”, o “Sinfonia numero zero” e di altre opere innovative. Non è solo Dvoidikov, con la sua vicenda terribile ma ostinatamente vitale, a battere su un solo tasto, o se si vuole su un solo tema. E’ lo stesso Ethan, catturato dal viaggio intercontinentale che lo catapulta su uno scomodo treno pendolare della Russia post-sovietica aprendo la strada di una dolorosa ricerca del senso della propria esistenza e di se stesso, è lui, insieme a Claudio Morandini, l’autore di una rapsodia su un solo tema, cioè di un canto complesso la cui fondamentale esigenza è quella di non perdere mai di vista l’importanza “centrale” della vita. Inevitabilmente, e per fortuna, l’artista stanco per questa incorreggibile “incomunicabilità” tra le proprie aspirazioni espressive e comunicative e il pubblico disattento e ostile – stanco altresì per la difficoltà di trovare degli interlocutori che non siano muri o voci sepolte in vecchi libri o antichi spartiti -, cerca e trova negli incontri importanti o occasionali che la vita gli procura una ragione per continuare, per insistere, per sperare. L’elemento nascosto di questo bel romanzo, è dunque nella natura tragica dell’io narrante, Ethan Prescott, la cui omosessualità, vissuta quietamente fino agli ultimi capitoli, diventa essa stessa la causa di una ancor più grave incomunicabilità, quella di non poter aderire a un sentimento contraccambiato. Ed è questo un risvolto costante nella vita di tutti noi, un anello fragile che ci fa immediatamente cogliere, da lettori, la drammaticità di un malinteso quando sono in gioco passioni profonde e sincere.

Ritengo che Claudio Morandini, con questa dolorosa conclusione, che finisce per collocare la tanto glorificata musica-ragion-di-vita in una prospettiva di ridimensionamento. abbia voluto dire : Forse la gloria non arriva mai, la vera gloria non è di questo mondo, è una cosa che capita sempre agli altri, come la morte precoce. Lo dimostrano le eterne competizioni, le gelosie e invidie che da sempre hanno spesso offuscato grandi geni lasciando, almeno nella contemporaneità, il posto ai mediocri, ai venduti, eccetera. Ma, attenzione, se poi la gloria viene a cercare proprio noi, decide un giorno di corrispondere al nostro amore inesausto, alla nostra corte interminabile e irta di capolavori… bisogna essere pronti ! Poco importa se la gloria ci arride perché siamo bravi o siamo belli e affascinanti o per tutte queste cose insieme. Possiamo suscitare l’amore di qualcuno a cui abbiamo dedicato delle attenzioni. E la gloria, che nel libro si chiama Polina, si può innamorare, convincersi, essere pronta, desiderare di essere rapita, portata via, se non ancora, immediatamente, cavalcata. Ethan Prescott non può amare Polina perché è omosessuale. Ma la passione che ha scatenato in questa donna non può renderlo tranquillo. Si ripropone la distanza tra l’artista desideroso di comunicare e il mondo indifferente e ostile. Si spezza la più grande e incoercibile illusione della nostra formazione letteraria, forse non è più vero che « amor ch’a nullo amato amar perdona ». E si apre una ultima riflessione, totalmente ribaltata, dopo la lettura dell’ultima pagina prima della post-fazione. Forse siamo noi stessi la gloria, perché la gloria l’abbiamo sempre avuta. E se non siamo in grado di darla a chi ci ama non possiamo pretendere di averla da chi non ci ama.
Giovanni Merloni
TEXTE EN FRANÇAIS
écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première publication 1-4 septembre 2010 Dernière modification 15 mai 2015
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