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Un Napoletano a Parigi/2 (Diario di sbordo n. 10)

25 vendredi Nov 2016

Posted by biscarrosse2012 in racconti

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Diario di sbordo, Napoli, Parigi

001_alla-finestra-lebelSally Storch, immagine presa da un tweet de Laurence (@f_lebel)

Un Napoletano a Parigi/2

Prima di andare avanti bisognerebbe aprire un capitolo sulla « scaramanzia ». Quante volte, tu ed io, ci siamo chiesti se era il caso di invitare questo o quello, col solo pretesto della sfortuna. Senza contare la paura di certi personaggi dall’aria « contagiosa » :
— Quello è una specie di « Pasquale passa guai », ci trascina tutti nel suo baratro !
Ma poi ci tiravamo un po’ su con quella tipica storiella napoletana in cui succedevano fatti clamorosi a cui seguiva un’altalena di giudizi contraddittori :
« E chi ti dice che sia sfortuna ? »
« E chi ti dice che sia fortuna ? »
Ecco perché, ogni tanto, pur essendo diventato più cartesiano e scettico alla scuola di Voltaire e Diderot, io mi aggiro per il salone di rue de la Lune canticchiando, in modo che Anna mi senta, un ritornello inventato da me :
Non son sicuro che le tue venute
che mi prometti con sol due battute
sian proprio il meglio per la mia salute !
Forse sarebbe meglio ricevere una come te venuta dalla Danimarca. Alta, bionda, schietta, fedele a valori e abitudini sociali molto confortevoli. O una venuta dal Perù. Chissà perché penso che in Perù tutto avvenga in un modo speciale, leggero come l’aria dell’alta montagna di lassù. Oppure una di qui. Potrei parlarle dei « Fiori del male » e delle « Mura » di Parigi. Mi ascolterebbe, magari soltanto per vedere se metto gli accenti al punto giusto.
Ma durante le nostre traversate noi riusciremo infine a dare ai nostri passi un solo ritmo armonico ! Tu stessa constaterai che la storia di questi anni passati nella mia lontananza incosciente e fedifraga saranno più efficaci dei ricordi lasciati laggiù. Ma soprattutto andremo in giro per Parigi, e vedrai anche tu che le « promenades » che si fanno qui non sono molto diverse dalle « passeggiate » di una vita intera a Napoli.

003_banc-public« Un petit tour tout doux »,
texte et image empruntés à un tweet de Laurence (@f_lebel)

Io e Anna abbiamo imparato a eliminare tutto ciò che è superfluo, salvo i ricordi dell’Italia. Quelli, anche se non ci « azzeccano », come si dice a Napoli, rivestono sempre una certa importanza, anzi ne sono rivestiti. Per lei, si tratta soprattutto dei film di Antonioni e Bertolucci, mentre io conservo come un oracolo quelle due bottiglie per l’acqua e il vino che hanno la forma del re Ferdinando e di sua moglie… Sono delle copie senza valore che comprai con te — ti ricordi ? — in una bancarella fuori San Domenico… Ci faceva tanto ridere, il rumore che facevano l’acqua e il vino quando la bottiglia del re o quella della regina si piegava sui calici per riempirli. Sistemate nello scaffale parigino, in mezzo ai miei libri in eterno disordine, hanno perso ormai la loro funzione, pur restando importanti per me. Grazie a loro, Napoli potrà risuscitare alla prima « cena di Babette »… Altrimenti, possono contarsi sulle dita di una mano gli istanti felici in cui la luce del sole penetra nella mia libreria risvegliando dal loro sonno polveroso il re e la regina e liberandoli per un po’ dalla loro prigione d’ombra. Nella coppia regale esplode allora un sussulto di orgoglio e di intima passione, che provoca in me una gioia indescrivibile e una sorta di stupore solenne, come se assistessi al miracolo di San Gennaro !

002_promenade-lebel« Una breve camminata sotto la pioggia fina per schiarirsi le idee »,
testo e immagine presi da un tweet di Laurence (@f_lebel)

Spiegherò ad Anna chi sei e capirà che non è il caso di mandarti a dormire in albergo. D’altra parte tra me e lei non c’è mai stato niente, ci comportiamo come uno zio e una nipote, adottando come unica confidenza la stretta di mano. Spero che approverai la mia iniziativa… La notte, se non riesci a dormire, ti farò vedere le foto delle nostre lontane gite a Procida… Oppure, ti meraviglierò con il resoconto delle mie giornate. Inevitabilmente tutto ciò mi porterà a chiederti che cosa dicono di me i miei amici, che sono anche i tuoi. Di sicuro, mi avranno sistemato, e in fretta, in uno scaffale mentale che chiamano Parigi, o la Francia, dove io non sono altro che un nome-e-cognome ammantato di vaghi ricordi. Non si interrogano mai su di me, ma di certo io qui faccio l’esatto contrario di quello che loro potranno mai immaginare. Vado molto poco a teatro, nonostante lo desideri con tutto il cuore ; non trovo il coraggio né la forza per andare all’opera, nemmeno per vedere e ascoltare coloro che amo più profondamente : Mozart, Rossini, Tchaïkovski… e non sono nemmeno un assiduo frequentatore di tante bellissime mostre che fanno al Luxembourg, al Grand Palais o al Beaubourg. Inutile dirti che non approfitto mai dei saldi di fine stagione o delle presentazioni dei libri. E, cosa ancor più grave, non riesco ad avere lo stesso entusiasmo cieco dei miei concittadini quando il sole, così raro, si istalla per intere mezze giornate… Cosa so fare, allora ? Bighellonare davanti ai banchi dei bouquinistes e camminare !
In passato, con le mie pulsioni di giovanotto o di uomo maturo, camminavo come un forsennato risalendo dai Quartieri Spagnoli alla Villa di Capodimonte, o di notte sul lungomare di via Caracciolo e di Chiaia, e mi sentivo un eroe se arrivavo all’alba nella brutta piazza della stazione, dove però c’era un chioschetto che vendeva le « sfogliatelle » calde.
Ora, a Parigi, benché invecchiato e indebolito nelle mie certezze fisiche, cammino come un ossesso dalla Bastiglia a place de la Concorde, dal bassin della Villette a place de Clichy… A Batignolles, mi sono affezionato a un alberghetto di rue des Dames, a quel giardinetto interno dove sognavo di sedermi con te, dove tante volte ho creduto di vederti negli sguardi di sconosciute o nei loro particolari modi di acconciarsi i capelli, di alzarsi e di afferrare la borsa, la borsetta o lo zainetto… Del resto, alla mia età, l’interesse improvviso per una giovane fanciulla che magari ti somiglia può di punto in bianco mutarsi nell’insospettata curiosità per una vetrina, per un gruppo di passanti o per un vecchio palazzo nobile…
Da un « villaggio » all’altro, prendendo una via disadorna o una via più attraente, non si riesce mai a scoprire da dove vengano, in questa straordinaria città, quel « suspense » da romanzo poliziesco o quell’aspro piacere che si insinua in noi come un reiterato racconto di amori proibiti. Di chi è il merito o la colpa di ciò ? Dei suoi abitanti, intrappolati contro loro stessi da una vitalità che sfiora la disperazione ? Della sua storia, così bella e terribile ? O forse è alla pioggia, a questa « sputazzella » che ci penetra nell’intimo, che daremmo volentieri il premio Goncourt e la maglia gialla con il giro d’onore al Parco dei Principi ? Proprio come Napoli, grande capitale del sud, questa immensa capitale del nord dell’Europa è sempre prodiga di sorprese. Tante variaIoni su pochissimi temi, come nell’aria di Carmen :
Parigi è un uccello ribelle
che non ha mai avuto legge…
Tanti colori, il rosso e il blu in testa, che si distinguono nettamente contro il grigio uniforme delle case e del cielo. I colori dei portoni, dei negozi e e delle botteghe, insieme alle sciarpe multicolori di certe graziose passanti, spezzano l’atavica monotonia delle strade e delle facciate. Del resto, lo dicevi anche tu : « solo le stranezze, le rotture e i gesti irriverenti possono rendere interessante e unica una città. È sempre l’eccezione che conferma la regola ! »

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Ci sono, certo, delle enormi differenze. Parigi è ancora una capitale mentre Napoli non lo è più. A Parigi devi bussare a molte porte prima di poter svolgere una discussione approfondita con qualcuno, prima di entrare in una comunità che poi si rivelerà accogliente, aperta, conviviale e ciarliera. Napoli non aspetta che tu la cerchi, ti viene subito incontro, ti precede anzi, con le sue storie, i suoi drammi, il suo happening quotidiano. Se a Parigi tu sei obbligato a cercare l’incontro, a Napoli ti devi ritrarre, riparandosi in un angolo silenzioso che forse non esiste più.
Ma, chissà perché, nessuno si è accorto di quanto Napoli abbia « preso » da Parigi e viceversa,. Le vetrine di legno dipinto un po’ lugubri delle vie del centro, per esempio. Nonostante la loro crescente rarità, esse esprimono lo stesso spirito spettacolare e intimo della vita. Lo stesso teatro, a Parigi come a Napoli. E quante parole francesi sono entrate nella lingua napoletana ! Potrei fartene una lunga lista : dalla « buatta » (boîte) alle « spingule francese » (épingles françaises) e, naturalmente, ai « supplì »  :
— Te ne supplico, comprami questa palla di riso che brucia dentro mentre dalla sua crosta profumata emana un calore appena percettibile !
A Napoli, abbiamo ancora l’usanza di dare del voi, come in Francia : « Ma voi casa ne tenete ? »
Ti ricordi ? Ridendo, a me e agli altri amici, quando traccheggiavamo a casa tua dopo la mezzanotte, tu ci dicevi :
— Mi sembra che non abbiate la minima intenzione di tornarvene a casa vostra !

004_automne-lebel« Ancora qualche beneficio dell’autunno »,
testo e immagine presi da un tweet di Laurence (@f_lebel)

Mi vedo la tua reazione : avrei fatto tutto questo lungo discorso soltanto per dirti che qui non sei gradita ! Ma no, assolutamente ! Anche se al posto di « gradita », preferisco dire a me stesso che tu sei « bene accetta », che sarai accolta a braccia aperte e a occhi chiusi. Non dimentichiamo però che, a tua volta, sei stata piuttosto recalcitrante prima di accettarmi fino in fondo, prima di prendermi « in braccio » come un trovatello abbandonato in una valigia in fondo alle scale.
Questa mia digressione su « Parigi napoletana » è venuta fuori da sola, del tutto spontaneamente. Del resto, è tale l’agitazione che ha preceduto e accompagna questa lettera, che ho dovuto lasciarli uscire dal loro covo segreto, come perle di un rosario, i ricordi di questa Napoli che « c’è l’ha con me » per le mie rumorose avventure di  « scugnizzo » espatriato di nascosto, senza salutare nessuno, come un ladro ! Cerco di tranquillizzarmi prendendo le distanze dalla mia casa natale all’ultimo piano di via Caracciolo, a due passi dalla stazione di Mergellina. Mi ricordo allora del mio nonno materno, sempre in pigiama, che si divertiva a creare delle diaboliche correnti d’aria aprendo di qua una delle finestre che guardano il mare e, di là, l’oblò di uno stanzino affacciato sulla chiostrina. Un tale accorgimento rendeva più sopportabile il calore provocato dalla grande terrazza che ci faceva da tetto. Poi corro, col cuore smarrito, ai volti sfuocati di mia madre, di mio padre e dei miei fratelli. Tutto è sparito, seppellito o frullato, disperdendosi come ceneri parlanti in altri luoghi perduti di questa Italia dal volto sfuocato anch’essa.
I miei ricordi più dolorosi si collocano alla metà degli anni ’80, che furono terribili, nel nostro paese. Ad una velocità spaventosa, la televisione aveva inghiottito tutto, sostituendosi alle nostre innumerevoli vie e piazze e ai tradizionali luoghi di incontro tra gli umani. Tutto avveniva dentro o dietro questo schermo sempre acceso e mai silenzioso, dove la nostra lingua napoletana si mescolava agli astrusi dialetti della val padana, al siciliano, al genovese, al veneziano, al toscano, mentre, diffondendosi ovunque, la cadenza tipica degli abitanti della capitale — questa lingua della Roma di oggi caratterizzata da un accento sempre più marcato e violento — diventava un collante vischioso e tenace. È là dentro che noi tutti siamo diventati ogni giorno più ignoranti, se non dei veri e propri analfabeti. Nel frattempo, sono sparite la maggior parte delle librerie, le vecchie gloriose librerie di Napoli. Ora, dovrei vergognarmi di vivere in una città, Parigi, dove i libri circolano e la lingua nazionale è accanitamente difesa contro le contaminazioni dei dialetti ? Dovrei considerarmi un traditore e un presuntuoso per aver fatto questa scelta egoista di andare incontro alla civiltà e alla libertà di espressione ?
Non è per la mancanza di libertà o per una libertà ridotta a metà che ho lasciato Napoli. Ci sarei rimasto fino alla fine dei miei giorni se avessi avuto la benché minima possibilità di svolger un’azione positiva, con la speranza che cambiasse qualcosa. Ho cercato, per tutta la vita, a prezzo di ogni sacrificio, di adoperarmi per il meglio, per contribuire con il mio lavoro al piccolo progresso che era lecito sperare per una società in difficoltà, ma indubbiamente piena di qualità e risorse. Ma tu sai bene che in fondo al mio cammino avevo esaurito tutte le mie carte. Era diventato ormai impossibile ottenere qualcosa dall’interno di quell’organismo malato. Non c’era quasi più nessuno che non si trovasse prima o poi costretto a fare il patto col diavolo, a subire la prepotenza di gente disonesta… 
Oppure no ! Si può sopravvivere, dopo una vita di lavoro incessante, con una piccola pensione che ti salva dalla fame. Ma si deve tacere, starmene in un angolo, morire in anticipo… Oppure… si può beneficiare degli ultimi fuochi, gettarsi a corpo morto nel grande amore della vita, in una passione splendida e straziante. E allora Napoli si rivelerà il luogo più adatto. Quale palcoscenico può superare quello di Napoli in bellezza ? Chi può sfoderare meglio i suoi sapori intensi e misteriosi ? Non esiste nessuna città al mondo, nemmeno Venezia, che sia propizia quanto Napoli alle rovine dell’amore ! Ma tu l’hai visto, tu lo sai : ne sei tu stessa la protagonista fatale e l’autrice. Anche l’amore ha vincoli che non si possono eludere né aggirare. L’amore è la gioia e forse anche la morte, ma non è la libertà ! E noi — dopo tutto quello che è successo, dopo aver dovuto inghiottire questa « impossibilità » di essere felici e di sottrarci, attraverso l’amore, alla quotidiana consapevolezza di un destino infelice —, che possiamo fare, noi due ?

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Scusami per tutte queste parole, per queste riflessioni che si ripetono senza produrre apprezzabili novità. Ma potrò ben concedermi qualche illusione ! Accendere qualche luce per festeggiare il tuo arrivo ! Lo sai che sono un ateo impenitente e considero le religioni come maschere tanto necessarie quanto pericolose, a dir poco. A parte il povero Budda in bronzo che mia sorella mi scagliò in testa, provocando in me il bernoccolo della ribellione, questa anomalia che mi ha poi dato tante soddisfazioni.
Ma, se gli uomini di tutti gli angoli del mondo si danno impunemente ognuno un dio differente, non vedo perché non posso anch’io dirti serenamente che tu sei il mio dio quando sono a Napoli, ma non potresti mai esserlo a Parigi…
Su questo punto, noi discuteremo a lungo, la notte, mentre Anna dormirà, ignara. Per fortuna, esiste ancora la possibilità, per gli esseri umani, di vedersi, di toccarsi, di stringersi la mano, di guardarsi negli occhi, di studiarsi l’un l’altro, ognuno a suo modo. Così possiamo indovinare, dopo averci un po’ riflettuto, i sentimenti dell’altro, le sue idee, cosa sta ognuno facendo della sua esistenza. Ora, per esempio, scrivendoti, invoco la tua presenza qui come una cosa ambita, desiderata da tempo, mentre, in verità, non faccio altro che accettare il mio destino. Cerco allora di ammansirti, mostrandomi migliore di quello che sono, ben sapendo che tu mi conosci molto meglio di quanto mi conosca io stesso. Fortunatamente, quando sarai qui in carne e ossa, con tutte le tue curve e i tuoi profumi rari, basterà uno sguardo, o un piccolo incidente quando ti accenderò una sigaretta, perché tutto questo preambolo sparisca in un lampo !
Del resto è sempre stato così. Tocca a tutti, prima o poi, di dover portare una croce, anche se non si hanno sentimenti religiosi né superstizioni nella testa. E allora anch’io, ubbidendo a questa legge, sono pronto : ti aspetto a piè fermo !

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Giovanni Merloni

La calma del calamo fa sparire i rumori del mondo

25 vendredi Sep 2015

Posted by biscarrosse2012 in il ritratto incosciente

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Ghani Alani, Parigi

001_alani 06 (1) 180La calma del calamo fa sparire i rumori del mondo

In occasione di una nuova visita a Ghani Alani, sono rimasto circa mezz’ora a osservarlo mentre lavorava. Come se assistessi, dall’alto di un promontorio, alla traversata di una barca che avanzasse lenta e calma nell’acqua ferma e tiepida del Mediterraneo al crepuscolo. Oppure ai gesti sicuri di Robin Hood (o di Guglielmo Tell) nell’atto di tirare la corda dell’arco contro il petto, prima di lasciar partire la freccia, dando già per scontato che questa colpirà proprio nel centro del bersaglio lontano, invisibile per le persone normali. Affascinato dall’alternanza del calamo e del pennello, io mi sono a lungo interrogato sul sesso dei nomi che diamo alle cose. Per esempio, calamo è maschile, mentre penna è femminile. Il calamo, che si fabbrica tagliando le canne, per assolvere alla sua missione ha bisogno della sua cavità naturale interna, creata dalla natura stessa per farvi colare l’inchiostro, anch’esso maschile. D’altra parte, avendo la punta tagliata sulla diagonale, il calamo somiglia a un flauto (mentre in francese il « roseau » (canna) è maschile e l' »encre » (inchiostro) è femminile…

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Mentre Ghani Alani lasciava scivolare l’inchiostro lungo i solchi invisibili che la sua anima creatrice aveva tracciato idealmente sotto la grande pagina, mi sono divertito a raggruppare da una parte i « maschi » e dall’altra le « femmine che entrano un gioco durante queste traversate minuziose o di punto in bianco brusche e vitali. Il calamo, il pennello, il flauto e l’inchiostro e il foglio di carta aerano uomini (o ragazzi) dell’atelier di calligrafia di Ghani Alani, mentre la pergamena e la pagina erano le « donne » (o le ragazze).
Mi sono allora ricordato du una vecchia disputa filosofica di circa quidici anni fa, a Roma, tra me il maestro Alvaro Vatri, all’epoca della preparazione di une mostra e du uno spettacolo per festeggiare i duemila e passa anni di ponte Milvio, un ponte romano vecchio quasi quanto la città di Roma, cosiddetta « eterna » : « Tra il ponte e il fiume, chi è l’uomo ? ci domandavamo. Chi è la donna ?
Qui, la pagina, cioè la pergamena potrebbe identificarsi col fiume, mentre il calamo-pennello, tutt’uno con la mano e il gesto creatore, sarebbe il ponte. L’inchiostro o il colore chi cola dal calamo alla pagina, senza mai sconfinare, potrebbe essere invece l’acqua del fiume che torna al fiume stesso, come se la ruota di un mulino le imponesse delle capriole continue…
D’altronde, è proprio Ghani Alani chi lo dice : “non ci sarebbe la notte se non ci fosse il giorno ; non ci sarebbe la vita se non ci fosse la morte e finalmente non ci sarebbe l’uomo se non ci fosse la donna”.
La calligrafia rappresenta, dunque, soprattutto un atto d’amore, un abbraccio più o meno prolungato, un incontro d’amore dove tutto si confonde in uno scambio carnale e sublime. La pagina diventa calamo, l’inchiostro diventa pennello. L’uomo diventa donna…

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Prima di salutarci, Ghani Alani mi ha dato da leggere una poesia, in francese, col permesso di pubblicarla qui sotto, dopo averla tradotta in italiano.

Giovanni Merloni

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La lettera scaturita dal mio calamo è un’innamorata

Il calamo con cui lei scrive è la sua stessa immagine
Dolce alla carezza, armoniosa allo sguardo
Il nero dei suoi occhi, piangendo, fa sorridere le pagine del destino.

Dalle sue labbra, cola la linfa o il veleno, lo spirito del suo innamorato.
Lei non ha altro maestro che quello che l’ha scolpita
Col suo soffio, lei a volte è il flauto e a volte la penna.
Conquistatrice dello spazio per volere dello scrittore,
Lei è nata sulla riva del fiume:
Così ha potuto afferrare la melodia dell’usignolo.
Stretta alla mano del suo signore
Di questo mondo può tutto possedere.

Lei ricama con la notte i vestiti del giorno.
Se comincia a parlare, lei non lascia alcuna chance a un parlatore;
Muta quando è in riposo, diventa l’eloquenza in persona quando entra in azione.
Lei non si prosterna mai, tranne che in fondo alla nicchia della pagina amorosa;
Lei non carezza che la pelle dolce della pergamena;
Lei può disperdere le armate, ma può anche riunire le truppe della pace;
Lei non si disseta che inebriandosi all’acquasantiera dell’inchiostro per calmare così la sete di intelligenza.
Il liquore della sua bocca è la rugiada delle praterie della pagina;
A volte, lei ne diventa il torrente furioso.
Io la sento canticchiare, descrivendo le sue gioie e le sue infelicità.

« Sono stata innaffiata e cantata
E oggi, io innaffio, io canto.
E scrivo anche in bella calligrafia;
Mi chiamano canna
Per alcuni io sono la felicità;
Ed è una mano che mi fa cantare. »

Le sue lacrime sconfinano riempiendo le pagine
I suoi occhi scoccano frecce che arrivano al cuore degli innamorati;
Sotto i suoi denti lo spirito degli uomini si curva.
Una volta, l’ho sentita paragonarsi alla spada e dire

« Mentre io uccido senza versare alcun sangue
Tu, invece, massacri seminando la desolazione. »

Ghani Alani
(traduzione in italiano : Giovanni Merloni)

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La lettre de mon calame est une amoureuse

Elle écrit avec un calame qui n’est autre que son image
Douce à la caresse, harmonieuse au regard
La noirceur de ses yeux, en pleurant, fait sourire les pages du destin.

De ses lèvres, coule la sève ou le poison, l’esprit de son amoureux.
Elle n’a d’autre maître que celui qui l’a sculptée
De son souffle, tantôt elle est le ney, tantôt elle est la plume.
Conquérante de l’espace par la pensée de l’écrivain,
Elle est née sur la rive du fleuve :
C’est ainsi qu’elle a capté la mélodie du rossignol.
Enlacée à la main de son seigneur
Elle peut tout posséder de ce monde.

Elle brode avec la nuit les habits du jour.
Qu’elle commence à parler, elle ne laisse aucune chance à un parleur ;
Muette quand elle est au repos, elle est l’éloquence même lorsqu’elle est en action.
Elle ne s’est jamais prosternée qu’au sein du mihrab de la page amoureuse ;
Elle ne caresse que la peau douce du parchemin ;
Elle peut disperser les armées, comme elle peut réunir les troupes de la paix ;
Elle ne se désaltère qu’en s’enivrant au bénitier de l’encre pour apaiser ainsi la soif d’entendement.
La liqueur de sa bouche est la rosée des prairies de la page ;
Parfois, elle en est le torrent furieux.
Je l’entends chantonner, décrivant ses joies et ses malheurs.

« J’ai été arrosée et chantée
Et aujourd’hui, j’arrose, je chante.
Et même je calligraphie ;
On m’appelle roseau
Je suis le bonheur pour certains ;
On me fait chanter de la main. »

Ses larmes débordent pour remplir les pages
Ses yeux décochent des flèches qui atteignent le cœur des amoureux ;
Elle courbe l’esprit des hommes sous ses dents.
Une fois, je l’ai entendue se comparer à l’épée en disant

« Moi, je tue sans verser le sang
Et toi, tu massacres en semant la désolation. »

Ghani Alani006_alani 09 (1) 180Questo blog è protetto dal ©Copyright

TESTO IN FRANCESE

Piccola messa in scena sul tema dell’infinito: Il tramezzo e l’infinito 3/4 (pit n.21)

09 samedi Mar 2013

Posted by giovannimerloni in il ritratto incosciente di una tavola, racconti

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Jerôme, Parigi

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Piccola messa in scena sul tema dell’infinito: Il tramezzo e l’infinito 3/4 (pit n.21)
episodio_1;episodio_2

21,42.
Dopo alcuni minuti di silenzio assoluto, nel preciso momento in cui il cielo diventa nero, Antonia afferra la maniglia della porta, energicamente.
— Non ti faccio passare.
— Jérôme, non fare stupidaggini…
Si sentono i contraccolpi di una lotta rabbiosa, silenziosa. Ma questi due non hanno il coraggio di farsi veramente male!
— Basta, Jérôme! Chi sei, tu? Uno sconosciuto. Avevi ragione, sei un farabutto, un vigliacco…
Dio mio, che succede? Fracasso dappertutto, senza regole, punteggiato da urla, sbattimenti di porte — quella dell’appartamento e dello stanzino —, rumore di oggetti che cadono a terra. Chiunque può sentire, dal pianerottolo fino al palazzo di fronte. Che ora è? L’ora della caduta nel baratro. Sento Antonia gemere. E io comincio a tremare. L’asimmetria del mio torace si aggrava.

22.
— Ma, che state facendo? Lo sapete che ora è? Volete costringermi a chiamare la polizia?
La portiera, dal cortile, ha lanciato un avvertimento. Per un attimo ho risentito dell’assenza del telefono, che però non farebbe altro che aggiungere confusione al mio stato già critico. Ora sono del tutto privo di forze, gelato di sudore. Raggiungo faticosamente il bordo del letto (lato finestra), poi faccio scivolare il braccio verso la moquette e mi sforzo di ficcare la mano in quest’ammasso di oggetti senza personalità intasati sotto il letto. La valigia, con il suo carico più unico che raro, è ancora lì? Sì, c’è, sono riuscito a sfiorarla con la punta delle dita. D’altronde, fino a che io non ci sarò più, nessuno avrà voglia di tirarla fuori o di gettarla nel cassonetto.

22,15.
Una voce sconosciuta perfora il muro come farebbe un coltello con il burro. Ma lo conosco, questo-qui? Ah, è lui! Sta leggendo :
— Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
— Tu non sai nulla di questo immenso poeta, dice Antonia, irritata.
— Ma li terrò sempre qui, nel mio cuore… i tuoi occhi ridenti et fuggitivi.
— Comunque, tra noi due, non sono certo io la fuggitiva!
Riconosco lo stridio del letto — Jérôme deve essersi alzato — e, subito dopo, il rumore inconfondibile della mezza finestra, seguito dall’esplosione dei rumori tipici del cortile. E questa musica? È la nipote della portiera, che si esercita su un pianoforte scordato. Anche di notte. Ma… è per proteggere il suo lavoro che la signora Martins ha minacciato di chiamare la polizia? Jérôme continua a fare rumore, per coprire il proprio imbarazzo e risalire la china. Antonia, invece, non parla. La immagino in ritirata, rattrappita in un angolo lontano del letto, concentrata nella rassegna dei suoi lividi come se fossero altrettanti soldati feriti in battaglia.
— Ho sempre amato questa ringhiera, è la sola cosa graziosa, qua dentro. Per me è come la siepe dell’infinito di Leopardi.
— Il momento giusto è passato. Te lo sei fatto scappare. Scendiamo nella notte, ormai.
— Tu resterai sempre italiana e io… parigino?
— Malgrado le tue radici a Montpellier, potrai diventare parigino, un giorno. Io, essendo un’autentica marchigiana, molto probabilmente lo resterò. Del resto questa parola, “marchigiana” tu non riuscirai mai a pronunciarla.
— Hai ragione: l’infinito di Leopardi non ha niente a che fare con l’infinito di Baudelaire.
— “L’immaginazione si sposa positivamente con l’infinito”. Come sono studiosa!
Ecco una delle loro conversazioni abituali che prende il sopravvento. Si sono conosciuti così, in una scuola di lingue… È banale!
In questo preciso istante, Trepaoli tossisce, prima in sordina, poi rumorosamente, assalito da un singhiozzo violento. La pasta con la besciamella che Marina gli ha cucinato gli risale alla bocca.

22,40.
Dall’altra parte del muro, Jérôme e Antonia si guardano negli occhi:
— Si sente tutto quello che succede da Trepaoli, dice Jérôme, fingendosi meravigliato. Anche il battito d’ali di una mosca. È proprio un muro di carta !
— Allora ha sentito tutto, osserva seriamente Antonia.
— Chissà, magari si è divertito con la nostra disputa sull’infinito!
— L’infinito, chissenefrega, ha sentito tutto, prima…
— Mi sembra che stia male, in questo momento. Non smette di tossire.
— E allora, che pensi di fare?
Con uno sforzo Trepaoli si siede sul letto, si alza e si dirige verso la poltrona di velluto. Prima di accomodarcisi, accende il vecchio gira-dischi. È la sola cosa, insieme all’antica edizione delle opere complete di Leopardi, che ha conservato con sé al momento della separazione da Hélène.
Nella stanza gemella, mentre la canzone “Non lasciarmi, Non lasciarmi” esplode a tutto volume, Antonia si è completamente rivestita ed è pronta a uscire per avvertire la portiera. Esita un momento, poi inforca un paio di anacronistici occhiali da sole stile anni 50 che tiene sempre nella borsa a sacco. Servono a nascondere i lividi.
— Lèvati gli occhiali, la notte avanza e tu non vedresti nulla. Lo senti? Ha messo la canzone di Brel per tranquillizzarci. Puoi restare.

23.
La musica sembra inarrestabile. Possono anche costatare che sono ancora vivo, poiché cambio regolarmente il disco.
— Allora, tu non hai alcun rimpianto?
— Sì, io rimpiango, rimpiangerò sempre, ma posso sopravvivere, perché non mi aspetto più niente.
— Tu mi fai paura.
— Intanto, Trepaoli ci lancia dei segnali. È la terza volta che mette la stessa canzone.

23,10.
—… Sta confessando che ci spia. In ogni caso non lo nasconde!
In fin dei conti, loro sanno da tanto tempo che io sto qui, che li ascolto. E loro hanno sempre parlato, senza mostrare di preoccuparsene, anche a voce alta.
— Si è affezionato…
— È soprattutto lui che non vuole essere lasciato… Ma che ti succede, Antonia? Sei talmente pallida… Pensi che Trepaoli stia morendo?
— Mi domando se esiste qualcuno che gli vuole veramente bene.
— Io non so quasi niente di lui. Credo che abbia degli amici, forse tra i clienti del bar. Ma ho l’impressione che sia diventato diffidente, negli ultimi tempi…
— Quando ero giù, in quel bar tristanzuolo della via Poissonnière, ho sentito parlare di una Dama bianca. Chissà, forse c’è una suora che va a trovarlo la notte, quando la metropolitana si ferma…
— Perché nasconde con tanta precisione la sua vita privata?
— È un uomo discreto.

002_malagar amori 740

23,20.
Dalla mattina alla sera, ho lasciato l’appartamento sul viale, per vivere da solo qui, a via della Luna. Il primo anno, ho provato un sentimento di spensieratezza, preso com’ero da quel piccolo slancio di fiducia che viene sempre quando ci si trasferisce in un palazzo più vecchio, pieno di tubi rotti e di voci misteriose. Hélène e Marina, anche loro coinvolte da questa novità, venivano spesso a trovarmi. Io imparavo piano piano a prepararmi dei piatti. Avevo comprato un surgelatore, un forno a microonde… Una volta io le invitai e fu molto gradevole, anche se eravamo tutti imbarazzati. I primi tempi, passeggiavo molto. Tutte le mattine, uscivo presto, sotto l’impulso di una strana euforia, con una vecchia pianta di Parigi sottobraccio. Divoravo con gli occhi e le gambe queste città di cui non avevo, fino allora, sospettato i tesori. Sì, è vero, negli anni ‘60 e ‘70, per tenermi in forma, l’avevo percorsa in lungo e in largo in bicicletta. Ma non era la stessa cosa. E poi, avevo dimenticato tutto. Mi proponevo ogni giorno un percorso più azzardato, frontiere sempre più lontane. Quando tornavo a casa, la sera, mi lasciavo cadere nella poltrona, e restavo seduto lì per delle ore, senza mangiare né accendere il vecchio lampadario dipinto. Dalla mattina alla sera, non aprivo mai la finestra. Nel mio appartamento di bambola, preferivo la debole luce del paralume decorato con i fiordalisi. Leggevo un solo libro, ormai, i “Canti” di Leopardi. Non facevo altro che guardare il libro, aprirlo e richiuderlo, come farebbe chi cambia sempre canale quando guarda la televisione. Inutile dire che non avevo mai voluto la televisione, da me. Ero contento così. Mi preparavo a morire nel modo migliore possibile, a prendere il volo senza troppa zavorra da gettare all’ultimo minuto. Tuttavia, un giorno, qualcosa è cambiato. Leggendo per l’ennesima volta il mio unico testo, la mia Bibbia poetica, ho cominciato a capire… la relatività dell’infinito. Mi sono reso conto del potere immenso della poesia, che può afferrare l’infinito, rendere accettabile la morte, fornendoci anche gli strumenti per difenderci da noi stessi. Per la prima volta nella vita, cominciai a frequentare una biblioteca. La notte, vivevo qui, in questa specie di pensionato… Di giorno, il mio quartiere d’elezione era Saint-Médard, un’isola felice di libertà. Poi, piano piano…
Si ferma per cambiare il disco. Nella scarsissima luce, riconosce immediatamente la copertina delle “Foglie morte”. La voce di Yves Montand riempie la stanza di Trepaoli e dilaga in quella del giovane professore.
Un inno alla vita. Chissà se la passeranno insieme, questa vita che è sempre il contrario di quello che ci si aspetta? Chissà se ancora una volta il mare cancellerà “sulla sabbia i passi degli amanti divisi”? Sì, lo confesso, ero felice, ma mi lasciavo prendere da una felicità di cui avevo vergogna. È vero che ogni traversata di Parigi finiva sempre in via Daubenton, proprio al momento della pausa pranzo. Ma nessuno poteva immaginare che, nel mio stato, io potessi aspirare alle gioie del corpo. Perché mi si poteva perdonare tutto, ma non l’amore. Del resto, non avevo forse abbandonato il mio tetto coniugale per una dolorosa e insopportabile mancanza di efficienza amorosa? Hélène non ci avrebbe certo pensato. Lei aveva rispettato, in uno slancio di generosità, questo mio allontanamento, che si era trasformato, col tempo, in una rottura. Lei ne aveva molto sofferto. Ma più tardi, la sua facilità a dimenticare, la sua inclinazione forsennata per le letture più disimpegnate l’aveva aiutata a seppellire tutto sotto lo strato arlecchino del vecchio plaid delle nostre scappatelle di una volta. Le prime volte che andavo in questo piccolo bistrot sempre invaso da professori e studenti della facoltà di Lettere, ero tranquillo. Là, io passavo delle ore, gratificato da quell’insalata della casa e da quel bicchiere di Bordeaux che riuscivo a far durare tutto il tempo del pasto, tenuto in vita dall’interesse disinteressato che Marguerite, la padrona, mi riservava. D’altronde, nel mio quartiere, nessuno l’aveva mai vista avvicinarsi all’angolo della mia strada, suonare al citofono o salire le scale. Solo il cameriere del bar aveva dei sospetti…

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 8 mars 2013

TEXTE ORIGINAL EN FRANÇAIS : http://wp.me/p343bA-ci

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