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Addio, amore del vero amore, 1964 (Ambra n. 39)

28 mercredi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ambra

001_amour adieu 001 180

Addio, amore del vero amore

I
L’avevo presentita.
La sfioravo dandomi arie di forza
con le mani tremanti
sentendone il sapore aspro
pungente nel palato
soffocante nella gola
snervante e insopportabile
come un dolore mortale.

Mi è venuta addosso
all’improvviso, annunciata
da fatti insignificanti
la Verità
con le sue parole sgraziate
col suo triste aspetto vuoto.

002_amour adieu 002 180

II
Non è servito a nulla
essere stati sinceri
se ognuno di noi
ha pronunciato bugie
dalla bocca dell’altro.

Adesso vorremmo
non esserci stati
in quella prigione
di menzogne amorose
in quei mesi e mesi
di attese disperate
o di piccole gioie
che adesso dobbiamo negare.

Ma eravamo proprio noi,
ad amare?

003_amour adieu 003 180

III
E le lacrime ora sono vergogna
vorremmo nasconderle,
bruciarle
PER NON ESSERE VILI

Ma vili lo siamo stati,
e stanchi, rinunciatari
presentendo in cuor nostro
la Verità
rassegnandoci mollemente
alla sua legge spietata.

Ora ce ne vergogniamo
vorremmo cancellare ogni traccia
di questa agonia.

Ma siamo stati falsi,
bari, vendicativi,
ci siamo fatti
ogni giorno
del male, per non volerci dare
ogni giorno
del bene.

004_amour adieu 004 180

IV
Addio amore del vero amore,
credevo di vederti morire
ma tu sei un mulo testardo
non muori!

Non ti resta
che andare e venire
restare con me, andare da lei
bussando piano
alla porta del suo cuore
esplodendo
fragorosamente
nella stanza del mio.

Lei forse
NON SA DI SBAGLIARE
quanto lo so io.

005_amour adieu 005 180

V
Addio, amore
scendi da lei, mio ultimo ambasciatore.
In cima alla salita
aspetterò il tuo ritorno.

Addio, no resta qui.
Non sei tu che devi viaggiare.

Vorrei solo che lei tornasse.

006_amour adieu 006 180

Giovanni Merloni

TESTO IN FRANCESE

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Canzone pendolare (Roma, 2005)

24 samedi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_chanson pendulaire 001 180Canzone pendolare (2005), al ritmo di Io ho in mente te, dell’Equipe 84

Ogni mattina
uoo uoo
transito sotto gli archi
esco da Roma
entro nel tunnel di luce
di Cristoforo Colombo
di Bavastro, di Giorgione
e Caravaggio.

Nomi di via di piazza
di slargo
dove transita il tuo miraggio
o un cargo
o un gruppo di pedoni
o un mercato improvvisato
o un prato desolato.

002_chanson pendulaire 002 180

Anche oggi
uoo uoo
vòlto assai prima
di perdermi
per distrazione
nel flusso obbligato
nella corte infinita
che transita impunita
sul tapirrulan della vita.

Vòlto prima
di restare calamitato
dall’abitudine del tuo nome
dal richiamo imperioso
delle tue gonne
prima di fermarmi, confuso
di fronte al tuo viso
che guarda stupito
dal bancone del bar.

Vòlto prima
(quasi una curva a gomito)
(ingoiando il vomito)
(sospirando il fremito)
(trattenendo il battito)
e mi ficco
minimale e strano
in un vialetto sporco
dove transitano zoppi
gli amanti delusi
i giovani diventati vecchi
le donnette vestite di specchi.

003_chanson pendulaire 003 180

Mon amour
a due passi dal mare
la città gioca
si finge speciale
direzionale lavorativa
attiva. Invece tutti si perdono
si mescolano si guardano
si snobbano si sfottono
cincischiano
uoo uoo
sudano
uoo uoo
dicendo bugie
sospirando magie
consapevoli o no
di dividere te da me
ancor più di quel muro bucato
che entra ed esce
da Roma.

004_chanson pendulaire 004 180

Ora lascio la macchina
(un parcheggio
lontano da te
si trova sempre)
o ancora un pò
mi fermo a sentire
il disco rotto ininterrotto
uoo uoo
che non si sa
rassegnare.

005_chanson pendulaire 005 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 24 mai  2014

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La vita è un buffo gioco, 1975 (Ossidiana n. 36)

23 vendredi Mai 2014

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Ossidiana

001_1973 Gio_Merloni-Gen 180

La vita è un buffo gioco

La vita è un buffo gioco
la vita è come a scuola
bisogna saper stare
al primo
al secondo, al terzo banco.

La vita è la tua vita
i tuoi fianchi
il corpo mio e il tuo.

L’ideologia eroica
è un’ideologia decadente
il cinismo è spartano
la felicità è una pena da commutare
in una pena minore.

La felicità è improvvisa
come il dolore
e si paga
e bisogna essere preparati.

La vita è una prigione
è un recinto
è un orizzonte
che, al massimo, cambia colore.

Chi pensa di stare
fuori dal recinto
sta andando allo sbaraglio
nessuno gli protegge le spalle.

La vita non accetta
fratelli Bandiera
la vita accetta
chi si accetta.

La vita è rivoluzione
ma ogni rivoluzione
nella vita
riproduce il potere
l’ipocrisia
l’ambiguità
la debolezza
il vuoto.

La vita è una partita a poker
dove vince chi vive di meno
chi sa osservare
gli altri
chi sa schivare le valanghe
i luoghi comuni.

Non c’è posto per l’ottimismo
non c’è posto per il pessimismo
non c’è posto per niente
di esagerato:
ognuno al suo posto
ognuno nel suo recinto
ognuno un piccolo sforzo
ognuno un piccolo Vietnam…

Giovanni Merloni

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Vi racconto una storia (Roma, 2005)

22 jeudi Mai 2014

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Solidea

001_je vous raconte une his NB 180

200_Vi racconto una storia (2005)

Per farmi perdonare
vi racconto una storia.

Una storia fastidiosa da raccontare
o soltanto un percorso sfortunato
assediato dagli alti e dai bassi.

È la storia logorante di un’impresa
trascinata con incoscienza o fatalismo
lungo la lama sottile di modeste occasioni
di scarsi riconoscimenti, di inesistenti premi.

È la storia affannosa di un corpo
sottratto ai suoi ritmi naturali
consegnato ai malesseri ai malumori.

È la storia del sogno o del mito
di una società unita e serena
dove tutti prima o poi se ne vanno
a vivere altrove.

È la storia di persone vicine
fisicamente, ma mentalmente lontane.

È la storia di uno squattrinato
costretto a fare il funambolo
camminando sul filo
con mille assegni a vuoto.

È la storia paziente degli ami lanciati,
delle reti e trappole piazzate con cura
la storia di una totale assenza di strategia.

È la storia che annega nella pigrizia
e nel disordine, ma non può
consegnarsi alla noia.

È la storia di mille raptus immaginati
di mille fughe dal giro vizioso
di tante insostenibili responsabilità.

È la storia di secoli di disperazione
che, d’improvviso, con una invisibile
rottura interna, egli avrebbe potuto
riscattare nella riscoperta
di vecchie attitudini amorose
rimosse.

002_richard lenoir soleil 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 22 mai 2014

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Sponsali (Luna, 1983)

21 mercredi Mai 2014

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Luna

001_épousailles NB 180

Sponsali (Luna, 1983)

Una festa è una festa
ed ognuno ne ingoia la testa
il corpo, l’elegante vestito,
la braccia, le gambe
perfino l’invito.

Ma poi l’invitato
amico o parente
vorrebbe ribellarsi
sia pure frastornato
al corso che ha avuto
veloce e rituale
lo sponsale.

Commenti immaginari
son scritti a fumetto
sui muri, sui vari
tavoli sparsi
o nel divanetto
dove è stato a lungo costretto
un trentenne vecchietto.

Da tempo quei due
vivevano insieme
e lui ha due figli
ma è buono
ha chiesto perdono
è stato nel fondo
a riparare fogna e pantano
e lei l’ha sempre aiutato
e forse l’ha amato.

Be’ certo, non è conveniente
per niente
la festa solenne
ci voleva una cosa più onesta
che dicesse alla gente
ogni cosa già manifesta
perché ripetesse incantata
la festa che c’è stata.

Che strano, una festa
che ognuno si aspetta
e prevede… Richiede coraggio,
lo spirito di un saggio
che del tabù si svesta
davanti al mondo
che ha fretta.

Signori un po’ annoiati
gentilissimi invitati
per essere arrivati
per averci aiutati
perdonati, invidiati o soltanto annotati
siete dal cuore ringraziati.

Ma noi due
più leggeri
per tanti sorrisi sinceri
per certe parole e intese
talvolta sottintese
per questo evento ingombrante
e titubante (che d’incanto
si è sciolto al sole)
abbiamo ancora un forziere
di segreti da custodire,
o rivelare.

Cos’è una festa, oggi come ieri
senza misteri?

Perciò niente paura
se la vita è stata dura
il matrimonio consumato
e questa coppietta
di giovani sposi
è stata più volte incontrata
mentre digiunava sull’erba
mentre lasciava o raddoppiava
mentre tirava a segno
con impegno
nei prati della festa.

Il mistero sconosciuto
è come possa esser piaciuto
l’ordinario confusionario
alla bella paffutella.

Né mai si saprà
se durerà
l’amore di lui per la musica
l’amore di lei per i mostri
e l’amore dei due,
un po’ agiografico
per lo schermo cinematografico…

002_1983 matrimonio 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 21 mai 2014

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« 1978 » (Luna, 1978)

20 mardi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Luna

001_tutti c'hanno da fare 180Tutti c’hanno da fare, 2000 (1)

« 1978 »

Telefonare a Nemi
aspettare il sessantaquattro
immaginare la metropolitana
nel nero e marmo inciso di scritte
aspettare l’entrata, aspettare l’uscita
ridere, soprattutto scherzare. Sorridere
immaginare come saremmo
se gesticolassimo solamente.

Telefonare vicino, telefonare lontano
aggirandosi in una stanza vuota
perdere la biro
e immaginare i colori
in cui avvolgere le statue morte
le memorie abbandonate.
Salire gli scalini di casa tua
sentendosi leggero, sereno e appena stanco
ben vestito e ben spogliato.

Telefonare da una cabina imbrattata
ad una cena interrotta
dentro una nebbia rimossa
immaginando gli amori passati
che un corpo nuovo attraversa.

Telefonare alla notte
che suona sempre libero
coprirsi o scoprirsi
perché fa freddo, anche qui.
Camminare la città nuova
senza atlanti, senza chiacchiere di amici
immaginando di essere confuso
immaginando di essere solo
immaginando di essere ovunque.

Giovanni Merloni

(1)
Tutti c’hanno da fare. Chi corre di qua chi corre di là. Appuntamenti mancati, rinvii, nervosismi, crolli. Finalmente a casa si accendono I televisori e I computers (raramente I compact disc per sentire la musica) e ci si fa prendere dalla routine autistica : scannerizzare, mandare l’e-mail, scaricare da internet, trattare la foto o il disegno con retini colorati. Arrivare alla perfezione. Il frammento è perfetto. La moglie dorme — meno male — e l’amico pittore… ma che vuole da me ? Non gli basta essere pittore ?

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 20 mai 2014

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Irene (Roma, 2005)

17 samedi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_irène 180

Irene
(pace dopo la sconfitta o alla vigilia di una grandiosa vittoria?)

Qualche volta
ti vedo arrivare
o piuttosto spuntare
dall’ombra del grande viale

ti vedo piroettare
sorpresa
da un suono interno
da uno squillo d’inferno.

Allungo il passo
tagliando l’asfalto
con affannate diagonali,

ti semino, mi superi
mi ficco nel bar-del-caffé-hag
tu Irene prosegui elegante
interrogativa, esitante
fino all’insignificante portone

Angoscioso, l’ascensore mi porta
al breve corridoio.
Davanti al gabinetto
(dei maschi)
una barbara trascuratezza
ha sopportato che lì
proprio lì, elegante come una star,
sedessi sospesa
su un trespolo d’aria
proprio tu
la nera Irene
dalle bianche mani.

002_terminal ostiense quadro 180

Passa almeno mezz’ora
[Elena non è arrivata]
[c’è sempre una pausa]
[uno scambio di rumori]
[forse io ascolto i tuoi «Ciao»
i tuoi sospiri]
[forse tu ascolti
svogliata i miei ripetitivi
e ripetenti
stessi discorsi
di ogni anno]
[forse io udibilmente
inghiotto il rospo
se m’accorgo che tu
innocente e ardita
sguinzagli gemente
tra i tonfi della mente
sospiri di giovane vita]
[forse tu sbuffi
silenziosamente
se io grido sgrido
qualcuno o l’aria
se rido, gracchio
o dico «Cacchio!»]
[intanto è arrivata Elena]

003_fontanella 180 antique

Son passati cinque mesi
e ancora parliamo di lavoro
soltanto nelle pause di lavoro.
A volte, incauto
o fatuo
(quando Elena non c’è)
senza un pretesto
(di legge o delibera)
piombo nella stanza di là
senza le attenuanti dell’età
(non ho più l’età).

All’angolino del ring
ruotando l’occhio smarrito
pur sempre gentile
ti sorbisci le mie
confusionarie parole:

PIÙ TRASPARENZA
MENO CERTEZZA
MENO BUROCRAZIA
PIÙ VITA

Entra ed esce la luce
invade oppure evade
dalla stanza-scrivania
(Elena impercettibilmente
registra e segnala
il passaggio climatico).

Carezzata dal sole
Cher stregata-dalla-luna
scuoti i capelli
e assecondi l’onda
del lieto fine: appallottolata
e fotogenica scivoli beata
sulla barca che se ne va
dell’AUTORITÀ (1).

Oppure, rannuvolata
ti rintani
nell’angolo più buio
abbracci la pianta grassa
e diventi la polena di prua
del Titanic-ÀTIROTUA
che affonda già.

Ti aspetto, Irene
pacificatrice bellicosa,
costretta a tirare di scherma
per scansar la caserma
indisciplinata e rafferma
come un pane popolato
di mosche.

Ci vuole, per tutti noi
una diversa trincea
un luminoso palcoscenico
un armadio guardaroba
un cesso lontano e discreto
un telefono segreto
e un mondo rovesciato
dove si possa leggere:

AUTORITÀ

parolina che porta bene
il cui significato conviene
domandare a Irene.

Giovanni Merloni

(1) Nella parola AUTORITÀ si condensa e si riassume il lavoro di sette anni, dal 1999 al 2006, da me svolto in un ruolo di responsabilità. Non è certo il caso, qui, di avventurarsi un una cronaca qualsivoglia, che richiederebbe del resto un minimo di inquadramento storico. Lasciamo a questa «poesia di un giorno» la libertà dì esprimersi.

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 17 mai 2014

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San Marco all’alba, 1975 (Ossidiana n. 35)

16 vendredi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ossidiana

001_1955 Venezia negativi (26) 180 San Marco all’alba (1975)

I.
Ciao, Venezia,
addio alla stanca retorica
dell’uomo e della donna
ostaggi docili beati
di ogni luogo comune.

Ciao, ti lascio
un corpo ingombrante
una pazienza inutile
(perché niente può essere davvero facile),
ti lascio la mia animalità in gabbia
e la mia ombra.

Dieci volte ho ripetuto
il rituale della partenza,
avvolto nell’idea
di finire di botto
in un tunnel nero.

Dieci volte ho pianto,
straziato dalla promessa
di un viaggio di sola andata
in luoghi brutti e lontani
dove nessuno saprebbe
chi sei tu, chi è Venezia.

002_1955 Venezia negativi (5) 180

II.
Ciao, vecchio pudore,
addio, presunzione inutile
di poterti avere facilmente,
a modo mio, in un baleno.

Ciao, buffa insistenza
che rimette in pista
il giocatore sconfitto. Vieni qui,
giochiamo a nascondino
tra i boccaporti dell’autobus marino,
giochiamo, carezzandoci
nei fiorami delle tappezzerie,
rotoliamo sott’acqua
come due pesci imbarazzati,
incerti se partire o divorarsi
l’un l’altro, senza pudore.

003_Venezia (10) 180

III.
Ciao, sciocchezze
inventate da un irresoluto
colto di sorpresa.

Ciao, amica nemica.
Dovrei fingere di ribellarmi
alla tua magnanimità,
provocarti a lungo,
sfuggirti, dimenticarti.

Non attenderesti
nemmeno il tempo di un soffio
prima di chiedere l’armistizio
o francamente la resa.

Una felice riconciliazione
ci aspetta, basterà lasciare
Venezia. Ma intanto
quasi quasi
salgo sul campanile
e sventolo il fazzoletto a fiori,
giusto per vedere Venezia
attraverso la trasparenza
blu viola delle tue parole.

004_Venezia (5) - Version 2 180

Quasi quasi, da lassù
mi metto a volare
dispiegando le braccia
come ali di gabbiano,
per fare la corte al mare.

Planando tra i tuoi gesti,
prima veloci poi lenti,
raggiungerei il tuo scoglio
di molluschi e coralli,
la tua pelle levigata
dall’acqua trasparente.
Tra le mie braccia, le tue narici rosa
si aprirebbero in un respiro
doloroso e sottile.
Tra le tue braccia io morirei
quasi quasi.

005_Venezia (11) 180

IV
Ciao, goffo eroismo
di rifiutare silenziosamente
la fatica nell’amore.
Addio, testarda illusione
di poterci sottrarre
ai rapporti di forza
nati dall’amore.
Addio, scacciapensieri idioti
che non servono a zittire
le voci disperate
di una canzone d’amore.

I piccioni strofinano ali inamidate
sui cornicioni bianchi e neri.
Le architetture affiorano
da un’alba senza fuochi.
Io veglio rattrappito
tra la raucedine e il sonno
di un nuovo giorno.

006_Venezia (12) 180

San Marco all’alba
è un grande cortile
per i gatti e gli uccelli
per i tavoli stesi e deserti
per i primi rumori
i primi spruzzi
i primi barattoli
i primi innamorati
che non hanno avuto
un letto per loro.
Buongiorno, fata.

007_Venezia 1969 (36) 180

Giovanni Merloni

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“Dove sei, Bologna?” (Luna, 1989)

15 jeudi Mai 2014

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Luna

001_abbraccio 180

“Dove sei, Bologna?” (1989)

Scivola sulla fronte
un po’ stanca
incidendo nuove rughe di sabbia,
soffocando i suoni e i gesti
in un voluminoso soffio
d’aria gialla;
penetra nei labirinti inceppati
della mia mente ricurva
il treno emiliano.

Mi porta nelle mani
un sottile leggero sudore
la veloce emozione
evocata da una parola.

“Dove sei, Bologna? Dove sei
Luce scolpita nella pietra?
Scarabocchio d’ombre e di voci
Che fine hai fatto? Ed io, dove sono?
dove affondo gli occhi
i denti e i baffi?
dove sono i portici e i guasti?
le panchine e i gesti inopportuni?
dove siamo ora?”

002_bologna 001 180

Bologna è qui davanti,
nel libro universitario
di una ragazza silenziosa;
le sue case sono lì
dietro quel casolare di mattoni
dietro quella via di prima periferia.

“Io rileggo sulla tua bocca
un sospiro che per poco
per un lunghissimo istante
ho afferrato
assaporato
ingoiato
tenuto segregato
tra le gambe
tra le braccia e le mani.”

003_piazza santo stefano NB

Mi ricordo, si snoda
una via e una piazza
nel solitario viandare,
appena guardando, in fretta
dentro i negozi,
verso i robusti polpacci
di una fornaia…

“Io rileggo e riscrivo
indeciso se rimpiangere
un lungo attimo sensuale
o una tua toccante parola.
dove sei, Bologna?

004_1979 bologna (103) 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 15 mai 2014

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Ancora una volta (Luna, 1980)

14 mercredi Mai 2014

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Luna

001_primo maggio 2009 001 180 Ancora una volta (Bologna, 13.6.1980)

1.
Ancora una volta mi affaccio,
imitando la curva del collo violetto
del piccolo partigiano di legno
e, sfondando, a testa in giù,
la labile scorza del vetro,
entro nel cielo di una città
dove uomini pensosi,
saltellanti (un po’ boriosi)
calpestano i tetti.

Ancora una volta,
stupito che ciò ancora esista
richiudo la lunga finestra
che ha portato una mattina il sole
nella casa assai vecchia
che mi hanno prestato.

“Ma signora mia, come posso
farglielo capire?
Non sono più quel maglione rosso
quella sterminata impermeabile pigrizia
quella gutturale eruzione cutanea
di eroici appostamenti
e tattiche d’amore;
non sono più, oramai
quel languido scrutatore
che aspettava la vita e la morte
dall’immagine screpolata,
appena riflessa, di fate addolcite
dal mio bisbiglio disarmato e fraterno”.

(Qui giocavamo alle stelle;
qui, angosciati, tradivamo la rivoluzione
sempre più scivolando
nel fondo di coperte odorose;
qui salivamo a ritroso
l’acre e delirante nonsenso
di giorni sempre inaspettati;
qui giocavamo al massacro).

002_primo maggio 2009 003 180

2.
È tutto perso, senza rimedio.
Certo, se fossi stato formica
avrei tutto ricordato
catalogato, esposto
perfino le sfumature
e ciò che resta inespresso,
non vissuto, perso chissà dove
ma si può benissimo inventare
(ottenendo in premio
un mezzobusto foscoliano
o una ringhiera per affacciarsi
con sospiro inesperto, verso i piccioni).

Ma la cicala ha sputato sangue
ridendo e piangendo,
ha bruciato gli appunti
e non sa raccontare.

003_primo maggio 2009 002 180

3.
Ancora una volta, tornare
mi trascina a pensare, a scandire il conflitto
a esplorare la sorda incomunicabilità
tra formica e cicala

— che cosa mi insegna
la mia foga incostante
di leader perdente?
un bel niente ! —

ancora una volta
ho troppa paura
di tornare a ballare
di soffrire dietro un vetro
cercando di decifrare
il mistero di un ciuffo di capelli
che affiora dalla folla
di Bologna.

Ancora una volta, lontano da qui
tornerò all’altra metà della vita
a soffiare
in un flauto pieno di sabbia
un samba stonato, o una rivoluzione.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 14 mai 2014

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