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Il va-e-vieni del signor Treno III/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale IV/III, Manni 2006)
12.
Nel mio lungo andare
tra gl’italiani dialetti
viaggia una Babele agitata
ormai compiaciuta e beata
dei suoi gravi difetti.
Cangian le parlate
in queste traversate
dal turbolento golf’e Napule
alla malin-conic-angoscia
der Tever’a Roma.
Ogni volta lascio felice
questa Roma capa-tosta
(patria che si finge doma
pigra stazione di posta).
Per me bestia da soma
Rom-a-mor primo ostello
fu un abbraccio da bordello
una madre da abbandonare
se non vuoi soffocare.
Dai parapetti de travertino
de ‘sta città de ruderi
e chiese… il duro strapuntino
mi conduce alla luce
(o via)
dipinta sulle case
di Firenze. Un affresco
impolverato
(o via)
dove l’Arno trascina cavalli
carrozze, alberi scuri e lievi
ringhiere inanellate
con madonne affacciate.
Lasciata Firenze
(città di signori)
si passa di là
oltre la montagna
dal sì al scì
dalla parlata tosca
alla cantilena emiliana
Bologna s’è persa il fiume
ma la pianura
è il mare infinito
dove naufragar m’è dolce
o forse un campo finito
dove posso immaginare
l’ottocentesco casolare
il trecentesco verone
l’antico-romanesco cardo
che incontra il decumano
a piazza Maggiore.
13.
Tra Napoli Venezia e Firenze
scelsi Bologna, città di scienze
città di vere corrispondenze
per quelle «Laasagne calde!»
che confortano la notte
le ossa rotte, le menti ribalde
e il bisogno d’avventura
che vien dalla paura.
Ho subito amato Bologna
per la parlata che sogna
ascoltata da Luisa e Dora
e nel convento della zia suora
per la voce del nonno Zvanì
che col treno partì
un bel giorno per Roma
lui, che odiava l’assioma
di dover far l’impiegato
viaggiò sempre, stregato
dal sogno di fare qualcosa
per la povera gente. Focosa
la sua idea gridata dal palco
sicuro il suo sguardo. Un falco
nello scorger Mimì
affacciata al verone. Mai svanì
il treno vaporoso, elegante
che univa l’Italia di tante
misteriose città.
14.
A quindici anni
(di giugno)
(caldo faceva caldo)
conobbi le vie di Bologna
in cerca dei panni
del vestito fumo-di-Londra
per Decio, un caro parente
alla coniugal gogna.
Conobbi dei portici l’ombra
e scoprii che Bologna
(se la vuoi imparare
ad amare)
ci devi tornare.
A diciassette anni, d’estate
viaggiavo sul treno di Cesenatico
sul treno del primo bacio
intriso di sabbia
della prima altalena
cigolante sul mare.
A venticinqu’anni
il treno mi portava a Trieste
(dopo Venezia)
un viaggio lunghissimo
denso di pensieri
progetti sogni dormiveglia
erotiche fantasie
modestissime follìe.
Trieste mi faceva le feste
coi suoi parchè
il suo hotel liberty
i suoi gran caffè
le sue vie in discesa
strappate dal vento.
Tornavo contento
e scendevo a Venezia
per perdere tempo
per ricordare, sperare
annaspare in voglie
sottratte alla moglie.
Scendevo a Bologna
per le «Laasagne!»
per quelle voci da lagne
per uscire un pò
sotto i portici
intorno alla stazione
come se avessi
presa da un pò
la grave decisione
(a suon di forbici)
di tagliare Roma
e il suo amore ingabbiato
e incollare Bologna
(a strati di coccoina)
il mio amor prolungato
era già ricambiato.
15.
Poi più spesso
poi senza accompagnatori
poi solo e pensoso
poi ardimentoso
poi mille e mille volte
presi quel treno che
(unico coraggio richiesto)
ci si sale su
si sistema la valigia
o la borsa
o il libro
o il giornale
e ci si trova in viaggio
in un molle cabotaggio
tra polvere e catrame
erba medica e liquame
voci intime e amorose
grida acute e fastidiose.
Certo, il treno è costrizione
concentramento, prigione
ma è anche il gran portento
di pensare in movimento
di guardare come in gita
i paesaggi della vita.
Giovanni Merloni
écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 12 février 2014
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