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~ ritratti di persone e paesaggi del mondo

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Archives Mensuelles: janvier 2014

Mi posso ricordare III/III (Testamento immorale III/III)

26 dimanche Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Testamento immorale

001_signore 180

Mi posso ricordare III/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale III/III, Manni 2006)

13.
Fu un colpo
traslocare
(a nove soli anni)
dalla casa vecchia
alla casa nuova
sul camion il comò
il buffè, la tualèt
lo specchio nero
la cornice svolazzante
il servizio di Ginori
le opere di Leopardi
i nostri sguardi
dal viale salutante
(non troppo indulgente)
al viale aspettante
(non tanto accogliente).
Poi tutto quel bianco
quelle scale e scale
quel fango sulla via
quel cambiamento
da piccolilord
a ragazzi di strada.

14.
Ci fu poi lo smarrimento
per le aguzze parole
portate dal vento
o da voci sgraziate
ostentate, spietate
corrotte e rotte
(pur ancora bianche)
già vecchie e stanche.
Subito non capivo
(non osavo chiederlo)
che vuol dire paraculo
e perfino vaffanculo
vacce e stacce
e prega dio
che te ce manna.
E ingoiavo i mortacci
le cantilene scurrili
tra scalette e cortili
obbligato,
a fare il terzino.
Imparai la lezione
diventando garzone
ruvido e strafottente
con la bimba innocente.

002_delusa 180

15.
Per un po’, crescendo
mi concentrai, correndo
su ogni sorta di pallone
come sola fissazione.
Ma ben presto
il calcistico contesto
(con tutto il resto)
divenne un ingrediente
del tutto indifferente.
Mi misi a guardare
le donne passare
e cercai di capire
(senza mai domandare)
quel corteggiare
(e femminil fuggire)
dove andava a finire.
« Si fa ma non si dice »
canta Milly la fatale
attaccata a un fanale
al Varietà La Fenice.
« No, si dice e non si fa »
ridacchia zia Augusta
sé fingendo filibusta :
« Ci son tante varietà
per tutte le età,
chi si vuol scandalizzare
lo può fare.
Ma non è poi fatale
che debba finir male ! »

16.
Le smanie mie più rare
forse potrei pittare
col pennello secco
(o inchiostrato rosso-e-blu)
col pennello impazzito
selvaggio, primitivo
che ne fa di tutti i colori.
Finirò per rivelare
la pazzia controllata
dei piedi nudi
sul marmo freddo
l’Arianna che si spoglia
fin lì, solo fin lì
fino a gettarmi
il grembiuletto sull’occhio
della serratura.

003_guadino 180

17.
Dopo i fuochi dell’adolescenza
provai a fingere
una sobria esistenza
(senza pestare i piedi)
ma, passati i tempi duri
(senza sfondare i muri)
ho contratto la demenza
per la donnesca assenza.
Giovane angosciato
fuori tema ho osato
piccole poesie senza senso
sorrette da un sonetto
nascosto, poesiette
azzardate e incomprese
incollate, come caccole
alla rete del letto.
Non ci sta nient’a fare
sono un inetto
o piuttosto un bamb-inetto
propenso a cicli
di umore alterno
senza sfogo di sangue
propenso alle cause perse
alle mezze stagioni
alla vita di città, alle fantasie
ai lunghi corteggiamenti
senza veramente sperare.
A che serve ricordare
che quel giov-inetto
sapeva assai bene parlare ?

18.
Conoscevo un trucchetto
per riempire
di ossessive parole a braccetto
la carta del gabinetto
ma non amavo rivelare
come si fa a sporcare
un muretto col gessetto.
Ma son io quel giovane
pallido e oblungo
appassito dalle passioni
che va di lungo
passeggiando sul lungofiume
prendendo a calci nel sedere
le foglie?
Sì, come no, mi ricordo
sono io quel malintenzionato
che con cura bislacca
infilava la penna
in sette boccette
di sette colori.

004_guadetto 180

19.
Quarant’anni.
Facciamo danni e il mondo
cambia del tutto : poco fa
di assorbente c’era solo
un pensiero furente.
La carta oleata non la trovi
neppure dal salumiere
finito impacchettato
precotto e premangiato
al supermercato.
Anche la penna
del signor Biro
si rattrappisce
come il gambo di un fiore :
la consunta matita
sopravvivrà alla dipartita
di un’intera partita
d’inchiostri senza vita.
Non mi servono più
sulle malconce ginocchia
mentre picchio con foga
nei tasti avana della pancia.

20.
Poiché di Roma son nativo
non mi scordo l’artre vòrte
che ho sconfitto la morte :
Tiè ! il meraviglioso
stato di grazia
della provvisoria certezza
di essere sano, scampato
scampato e sano,
le altre volte
che ho pianto perché lei
perché io… le altre volte
che un tonfo d’amore
mi ha sprofondato il cuore.
Laggiù vengo,
tra illusorie partenze,
spietati arrivi,
interruttori a mezz’aria
che spezzano i nervi,
tagliano le ossa,
rimbalzano il sangue
tra la testa e il cuore,
vengo, vedi, a cercare
anche te, ultima tonfatrice
ancor più di me sgomenta
nel letto gelato
di inadeguate parole.
Ma non vedo ora scorno
nel confessare
(con in testa il tricorno
regolamentare)
che ho lasciato
il lavoro apprezzato
e l’affettuosa città
per amor d’una donna
spaccata a metà.

005_terrazzino 180

21.
Né avrei potuto campare
pensare, camminare
senza gli amici,
cercati e trovati
dentr’e fuori il Mamiani
la scuola dove non ho
imparato : i compagni
le compagne, le pizzette
lo sciopero dei termosifoni
la geografia senza storia
la lezione d’italiano
senza nulla di arcano
(Petrarca Francesco
mi sembrò libresco ;
Tasso fu mutilato
del suo Amor tormentato
e di Foscolo fu spento
il sepolcrale lamento).
Dalla vita (meno male)
tutto ho appreso,
ma sfacciato m’ha reso
quando, giovin supplente
al liceo Castelnuovo,
proprio non ho insegnato.
Ecco, scorre il filmato :
gli alunni le alunne
le prime occupazioni
i megafoni senza suoni.

22.
Ho creduto, votato
sperato e perfino imparato
a parlare in pubblico
ed il tempo biblico
ha via via snocciolato
il partito, il sindacato
la strage di stato
il corpo mutilato
e la folla sconvolta
(si fermava ogni volta
la pachidermica gamba
dell’Italia in rivolta).
Ma un destino privato
inglorioso, stralunato
si è per me disegnato
nella gran confusione
di lunghissimi viaggi
attraverso le stazioni
e i telefoni assordati
dagli avvisi dei treni
(in ritardo sul terzo binario
piazzale Ovest).

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 26 janvier  2014

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Mi posso ricordare II/III (Testamento immorale III/II)

25 samedi Jan 2014

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Testamento immorale

001_severini l'aia 180

Gino Severini, Gemeente museum, L’Aia 

Mi posso ricordare II/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale III/II, Manni 2006)

6.
So a memoria i colori
i dadi e i muri per fare
uno strambo castello
e una casa squinternata
macchiata d’inchiostro blu.
Non scordo le città
le case le strade
i pali della luce
il buio che seduce
quando da bambino
inscatolato e nababbo
viaggiavo, principino
nella macchina del babbo.
E son vivi gli odori
della casa della zia Maria
il corridoio fresco, la cantina
giù dalle scale, fuori i grilli
e le stelle bonarie di Romagna.
Non è meno fatale
pensare ad un sabato
nella casa natale
(cascasse il mondo
c’eran tutti, intorno
al tavolo tondo).
Né mai più ci ritorno
al sapore speciale
della sugosa pastasciutta,
sollievo per lo stomaco
guizzante e piagnucoloso
costretto, di solito
a ricacciare nel fondo
il vomito affiorante
della pasta ripassata
del refettorio.
Coscienzioso
imparavo a ingoiare
le molliche di carne :
guai al mondo a lasciare
sul piatto il boccone
della buona creanza
mentre intere famiglie
vivono di solo pane
(né c’è altra soluzione
per la nuda figliolanza).
002_lido dei pini mimma romoli 7407.
Mi portavano
(per scrupolo, con dedizione)
a visitare le case
asettiche, ordinate
d’inarrivabili persone civili
capaci di foderare perfino
con la carta fiorita i cassetti.
Ma in ogni occasione
somigliavo all’idiota
incapace di veri progetti
paralitico e muto
(davanti a quei capelli ricci
che non facevano mai pasticci)
(mentre quel Superbone
era una vera eccezione)
(ce n’erano poi vari
perfetti, dei veri stradivari).
Così diceva, piegando il dito
l’insindacabile moglie al marito.
003_palais royal 1808.
Osservavo, rumoroso
l’esempio silenzioso del babbo
la reverì sciantosa di mamma
sempre allegra mai pigra
quando faceva lezione
(per ore e ore)
di italiano e latino.
Mia madre
era anche seria
(mai parlava di miseria
sempre di povera gente)
mentre imburrava
il pane abbrustolito
e per le feste ci conciava
(d’improvviso i calzini
erano stretti
i pantaloni larghi
i capelli ribelli).
E viva le luci accese
le stelle filanti appese
le maschere di carnevale
e ogni scherzo vale
e ogni bel gioco
dura poco, e tutti zitti
che il-papa-fa-pipì ;
(fui un folletto rosso
un cauboi con la pistola
un siù con la freccia).
004_macchina da scrivere 1809.
Nel mio orizzonte
spaventato, ben ci stava
il castagnaccio
il burro nell’acqua
la maestra buona
la maestra cattiva
e la Teresa
dalla chioma permanente,
sanguinante romagnola
col respiro sempr’in gola
(per la corvé stridente
di portare a più riprese
a villa Borghese
i tre figli d’avvocato
sapendo che sul prato
l’aspettan le pretese
del soldato abruzzese
di nome Fidanzato).
Un bel giorno arrivò
(brun brun bruuuun)
la quindici-cinquantatré-novantaquattro
giardinetta eroica
che squarciò la tenda
di pelle d’asino
illuminando la visuale
del mondo inusuale
con un solo fanale ;
la rivedo elegante
correre tremante
(bisognosa di spinte
ma con piglio ardente)
dal ponte alla fonte
da Segesta a Selinunte.
005_dodo antonia cortina 18010.
Sto a bocca aperta,
ancora a guardare
i padri e gli zii
che hanno vinto
sommessamente la pace
a lor volta increduli
di fronte al miracolo
di poter finalmente parlare
liberamente amare
rotolarsi nell’erba
sotto i pini
fuori dai rifugi alpini
della Resistenza.
Dentro me li ho racchiusi
come mazzi di fiori
come preziose mercanzie
i racconti confusi
dei miei genitori
le mille peripezie
per trovare l’olio, il pane
le risate di notte
nel coprifuoco
come se  fosse un gioco
la guerra
(il loro sacrificio
non fu sbandierato
la loro felicità
non fu nascosta).
11.
Ce l’ho qui dentro
(da qualche parte
del corpo animale)
lo stesso spiccicato
delirio di impotenza
la stessa forza
di sopravvivenza
che mi fa sopportare
il dolore dell’assenza
per i morti spazzati
per i vivi esiliati
via da me
per tutto l’universo
di stelle uniche e rare
che con me
non ci vogliono stare.
006_separé NB 18012.
Forse posso scavare
nella piega cruciale
del sussurrare lento
misterioso, colpevole
dei grandi, sul conto
di quello e di quella
che fanno all’amore.
« Sono amanti »
rideva mia madre
con nitriti da leonessa.
Così nacque
la mia idea del destino :
un giovane padre
(vestito da uomo
magari con le tasche
piene di fazzoletti)
si lega a una giovane madre
(vestita da donna
magari in taièr);
la natura ficcata in ognuno
fa il resto
(subivo ahimé l’armistizio
tra la strana verità
delle poltrone a fiori di mammà
e il fotoromanzo, gran supplizio
delle donne di servizio).
Avrei giurato
e spergiurato
che l’amore è un prato
senz’ombra di peccato
o meglio è un inseguirsi
di tristi passeggiate
sul limitare del buio
oppure è una parentesi
un nido di fresche-frasche
il cilicio di un ristorante
(freddo e elegante)
dove, seduti
quant’è difficile parlare
e lo stesso mangiare.
007_separé 2 NB 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 25 janvier  2014

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Mi posso ricordare I/III (Testamento immorale, III/I)

24 vendredi Jan 2014

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Testamento immorale

001_mi posso ricordare 180

Mi posso ricordare I/III
(Giovanni Merloni, Testamento immorale III/I, Manni 2006)

1.
Diciassett’anni era la mia età
speciale o normale. Da allora
son già quarant’anni passait
esalati goduti risaputi
sconosciuti, che vorrei
vomitare, sputare
ma non proprio regalare
al cassonetto.
Piuttosto li metto
in uno stiletto
sotto il letto.

2.
Quarant’anni, cosa più
posso fare
di speciale o di normale
per riuscire a evitare
di farmi impiccare?
Sarei stanco o stufo
di governare sovrano
un’isola esclusa dalle rotte
senza bigotte né mignotte;
esausto di impennacchiarmi
a ogni perlustrazione
a ogni fucilazione
a ogni processione.
Ne ho pieni i coglioni di fingere
di reclutare
di addestrare
di irreggimentare
‘sti avanzi di galera
che non sanno
neppure inciampare
e mai impareranno
a sapersi districare
unó-dué nella vita.

3.
Se s’inabissa l’isola
se quel gorgo
atteso e inevitabile
inghiotte tutte le scatole
le lettere, le pratiche
i permessi
le chiacchiere al bar
il profumo unico
della bella Irene
se nonostante ciò
sopravviviamo tutti
e anch’io sopravvivo
cosa potrò più fare?
Come potrò evitare
di nuovamente sbagliare?

002_mi posso ricordare 180

4.
Proverò a traslocare
a emigrare
a ricominciare
senza ricercare
il giusto mezzo
la maestria o l’armonia
(tanto nessuno se l’aspetta).
Uscirò/ senza mai rientrare
mi abituerò
a sfidare la morte
e op-là
(dopo il salto mortale)
mai più rinuncerò
ai miei nascosti bisogni
ai miei son-fatto-così.
Sarò felice di accorgermi
di aver dimenticato
questo strano
obbligo ancestrale
di dimostrare-o sennò-di rinunciare
(è questo il mio
prendere-o-lasciare):
entusiasta
e rinato alla vita
se potrò scansare
la cupa condanna
di conservarmi
sensibile-e-speciale
tormentato-ma-originale
marginale-ma-dotato
fresco -ma-surgelato.
Mai più mai più
un tale volume di gioco
in cambio
di una sopravvivenza triste.
Formica o gigante
non avrò più ostacoli
sarà ormai indifferente
tacere o parlare
scrivere o cancellare
inventare o ricordare.

003_mi posso ricordare 180

5.
Mi posso ricordare
di essere stato un attore
un fine dicitore
un allibratore
un rilegatore
un acuto osservatore
oppure un trombettiere
un granatiere
un contrabbandiere
un ladro di bandiere
un postino
un fantino
un bevitore di vino
un divino amatore
un conquistatore
un personaggio saggio
dotato di coraggio
un ostaggio
di grande lignaggio
Titiro sotto il faggio
e persino Caravaggio.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 24 janvier  2014

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Io e il mondo non ci capiamo (Testamento immorale II/II)

11 samedi Jan 2014

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Testamento immorale

000_coppia 180

Io e il mondo non ci capiamo (seconda parte)
(capitolo II/II, Testamento immorale, Manni Edizioni, Lecce 2006)
(testo precedente)

9.
Non mi piace
un mondo così :
insieme alle parole rare
spariscono le persone
con cui si può parlare.
Me ne devo andare
rompere lo specchio
della vita pendolare
tra un me vero e uno finto
tra un me frenato e un me spinto
vincitore e vinto
pittore dipinto
scrittore scritto
conquistatore sconfitto.

009_foro romano per blog 740

10.
Montando forse
su una rocca buia
irta di sterpi
capirò il motivo
di questa imperscrutabilità
di questa inavvicinabilità
incomprensibile.
Spargendo colla, forse
sulle ciglia grigie
dimenticherò i bagliori
dei viali della periferia
cancellerò dalla testa
gli affanni di voci
le piccole dolcezze rubate
le staffilate crudeli
inghiottite ridendo.

010_foro romano 180

11.
Rarefatto nel silenzio
(dormono tutti
anche i fantasmi e i morti)
spiazzato e incerto
ascolto una per una
le parole mozze
scomposte, farneticanti
lente come un funerale
veloci come uno scioglilingua
(non le riesco a fermare) :
«Tu, tu hai sbagliato
nell’errore hai perseverato
non hai fatto questo
né quello». «E lei?
Dov’era lei?
L’avete vista?»
Mi ricordo
l’onda sgraziata
della folla, l’onda
inconfondibile
dei tuoi capelli quando
mi venivi incontro.
È così,
proprio così, come dici tu :
tutto spariva.
Bella o brutta
ci svolazzava intorno,
leggera, la spiegazzata
coperta del mondo.

012_foro romano

12.
Nel fondo buio del cielo
che mi fa da specchio
si perdono le nostre parole.
Non trovo quelle parole
ma sempre altre parole.
Sono persone vive
quelle che cerco
tra loro ci sono
addirittura
coloro che mi hanno
insegnato a parlare
a scherzare, a rinchiudere
le parole nei gesti.
Sono ancora qua dentro
lampeggianti e mortali
le antiche corrispondenze
d’amorosi sensi
le vecchie carte strozzate
da fiocchi profumati.
Oppure le ho perdute.
La mia vita trapassata
torna a penzolare
tristemente
in un gelido secchio
dentro un pozzo lunare.

013_foro romano 180

13.
Almeno un occhio
lo devo chiudere
se voglio vederle
affiorare repentine
oltre la ringhiera cieca
le voci chiamanti
lontane, sfuggenti
eppur chiare e immortali.
Sullo schermo impolverato
del film riesumato
una passerella di parole
con fattezze di persone
attraversa il castello diroccato
di un cervello sorpassato
arrivato, andato.
Il mio.

015_foro romano

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 10 janvier  2014

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Io e il mondo non ci capiamo (Testamento immorale, II, I)

10 vendredi Jan 2014

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Testamento immorale

001_testina per testamento 180

Io e il mondo non ci capiamo (prima parte) 
(capitolo II/I, Testamento immorale, Manni Edizioni, Lecce 2006)

1.
Io e il mondo non ci capiamo.
A turno arriviamo tardi
o io o lui
agli appuntamenti.
Non facciamo alcuno sforzo
forse. Di certo
non sappiamo ascoltare.
Non troviamo
una strada sicura
per le nostre diverse
contrastanti parole.
Così non c’è
campo di battaglia
per vittoriose sconfitte
per onori al merito
o degradazioni solenni.
La storia non registra
nulla, preferisce
mettere a tacere, oppure
non si accorge nemmeno.
Soltanto sole e pioggia
vento e aria che a malapena
si respira.

002_foro romano 180

2.
Inco-muni-cabi-li-tà
questa lunga parola
sembrava uno scherzo
un gioco di società
quarant’anni fa.
Michelantonioni
perlustratore solista
dei paesaggi urbani
di Sironi  e Vespignani
s’inventava una lista
di personaggi strani:
il moribondo
che non riesce a parlare
il morto
che non sa camminare
il resuscitato
sbattuto in prima linea
che non sa più
ascoltare
la moglie tradita
la figlia smarrita
l’amica avvilita
e nemmeno la vita.

003_bis foro romano 180

3.
Un’onda di tristezza
percorreva le storie
del Bergman italiano
impegnato e strano.
E così dalla notte
di Antonioni, all’effetto notte
di Truffò, tutti a dire :
« Stiamo disimparando
a parlare, attenzione
alla dis-assuefazione ».

004_foro romano 180

4.
Il mondo globale
ha inglobato
in un unico supermercato
rionale
l’artista impegnato
e l’artista impelagato.
Il colloquio si è inceppato
e l’ascolto, violentato
pre-pensionato
come straccio strizzato
è preso a calci
in un prato.

005_foro romano 180

5.
« Non è tempo d’Antonioni
né di giovani leoni »
dicono sornioni
i caporioni delle televisioni
i metrappensé
delle case editrici osé.
« Diceva giusto Svevo
non siam più
nel medioevo
e Palazzeschi, quando
lo ripeschi ? »
Quanti vivi e quanti morti
per anni e anni
fiumi e marine
grigie pianure
e tristi colline.
C’è stata forse
una titanica
invisibile guerriglia
sparita dai giornali.
Uno scontro disperato
all’ultimo fiato. Ma
ha vinto la censura
la  vita per procura
l’usura, l’abiura
ha vinto il tecnocrate
il fine dicitore
l’arguto commentatore
il finto cavaliere
il vero cafone
l’imbroglione
il pieno di sé
il vuoto di parole vere
di quelle sole poche parole
che servon davvero.
Non una di più bianco
non una di più nero.

006_foro romano 180

6.
Non ci capiamo
io e il mondo.
Lui non mi perdona
i tappi alle orecchie
la televisione spenta
i libri immortali
l’ingenua ostinazione
nel dir-ciò-che-penso.
Io non gli perdono
il rumore di fondo
le frasi fatte
il perenne omaggio
ai vincenti, l’impunito
oltraggio ai deboli
a color che non sanno
tramutare in ficscion
una povera vita.

007_foro romano 180

7.
In-capace di comunicare
in-sistente il mondo
ci fa scorrer davanti
assai ripetitivo
un film vuoto
popolato di automi
pieno zeppo
di gente finta
stravolta nel corpo
e nel volto
ma che urlano affare
se tanto
nessuno sente
nessuno vede
nessuno parla.

008_foro romano

8.
Inco-muni-cabi-li-tà
non scherziamo
c’è qualcuno che ci marcia
c’è sempre almen uno
che ci campa. Un tipo
come me, forse.
Ammutolito, non capito
ha rinunciato ad amare.
Ora si vuole sistemare
e poi arricchire
e poi non saprà rinunciare
e poi dovrà tradire
uccidere, condividere
eseguire.
Per arricchirsi di più
per non impoverire più.
Ecco l’identi-kit
del  verme solitario
che cresce
dentro di me e si mangia
le mie parole
me le rivolta contro
me le confonde
me le uccide stravolge
tortura, svuota
oppure copia
rubandomi anche la penna
o il pennello
per ridisegnare
a suo compiacimento
la storia cancellata
del mondo.

011_foro romano

(continua)

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 10 janvier  2014

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Sono qui, sotto Roma (Testamento immorale, I)

09 jeudi Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Testamento immorale

001_cappello verde 2006 180I. Sono qui, sotto Roma (capitolo I, Testamento immorale, Manni Edizioni, Lecce 2006)

1.
Son morto e seppellito
giù giù sotto tonnellate di terra.
Una coltre di vetro trasparente
(un fondo di bottiglia,
una lente Zeiss),
sotto cui la morte
libera dalla claustrofobia
serpeggia felice
e dichiara alla stampa
la sua putredine eterna.

002_aventino 180

2.
Sono qui, sotto Roma
in un ramo di catacomba
dove non passa, finora
la metropolitana. Per
qualche secolo le mie carni
avranno tutto il tempo
per sparire, le mie ossa
potranno ammucchiarsi
franando dolcemente,
avvicinandosi tra loro
con lentezza di pietre nella sabbia.
Le mani, continuando
a somigliare a mani
terranno su la testa
tonda liscia, senza più
occhi né labbra ; tra le dita
il volto riempito di terra
avrà a disposizione
tutto il tempo dell’eternità
per ricordare e vivere
quietamente la morte
la solitudine impraticabile
dove l’anima affonda.

003_lungorevere 180

3.
Sono qui,
morto in poesia
invece che in prosa
condannato all’eterno stato
di andare a capo.
Fu per questa circostanza
fisica e mentale
che trovai questa morte
davvero originale.
Indeciso fino alla paranoia
se il mio verso dovesse
cadere sulla rima, restare
saldamente in prosa oppure
eternamente camminare sul filo
decisi di andare, di notte
ma ero stanco, agli scavi
di Cecilia Metella.

4.
Camminavo da solo
col raggio di luna alla nuca
recitando in cento maniere
lo stesso verso. Alla fine
(due volte la gamba aveva ceduto)
restarono Penna e Caproni
Pasolini e Amelia Rosselli
Volponi e Bertolucci
Bellezza e… Era buio,
il mio cerchio sformato
barcollando cercava
un tugurio quadrato
quando il tempo è spirato.
Ho sentito addossato
silenzioso un boato
(la mia gola già spenta
adagiata sul prato
stava invano chiamando
come il corno d’Orlando).

004_panorama 180

5.
Il destino mi ha regalato
uno smarrimento speciale
(nessuno può trovarmi
la mia fiat senz’armi
è parcheggiata strana). Il fato
mi ha progettato
un pozzo sfondato.
E ci sono proprio cascato
anzi colato
come un gelato.
La morte mi ha stecchito
e così sono finito
sotto un masso di granito
senza fioriere seccate
né bandiere di partito.
Sono morto in poesia
invece che in prosa
condannato all’eterno stato
di andare a capo.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 9 janvier  2014

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E non sentiremo più niente (Nuvola, 1971)

07 mardi Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

166_et je ne sentirai rien 03 bis

E non sentiremo più niente (1971)

I
Non voglio più parlare di me
scavando dalla memoria o dal resto
né scucire e rifare le persone
come fossero oggetti
la carne come fosse carta.
Non voglio più annientare
le cose che esistono
la tua paura e il mio vuoto.

166_et nous ne sentirons rien 01

II
Poco fa, ieri, si sono sposati
lui già ne soffriva
qualcosa moriva per sempre di lui
nel possesso
e nella confusione di quel giorno
si ostinava a volerti
ma tutti lo riconoscevano
mentre posava per sempre
i piedi
sulla pietra tombale
dei sacramenti
dei paramenti
della noia.

166_et nous ne sentirons rien 02 III
Entriamo a far parte di un mondo
di uomini e donne d’azione.
Le nostre pene sono d’ora in poi
postribolari.
Le nostre vene gonfie d’ora in poi
lavoreranno
per i sensi…
e non sentiremo più niente.

004_il matrimonio dei miei 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 20 juillet 2014

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Un paesaggio soffocante (Nuvola, 1971)

07 mardi Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

001_paysage suffoquant 001 NB 180

Un paesaggio soffocante (1971)

Io mi lego al passato.

Il passato mi tira
per la manica,
mi immobilizza.

Nella coltre del mio cappotto
un tempo lunghissimo
si è addormentato
con tutto il suo peso
e continua a galleggiare
intorno a me, prigioniero
di una scatola da scarpe
pullulante di ricordi
come uccelli spaventati
che volano bassi
sopra una terra smossa,
sfiorando le siepi
e i fili spinati
i campi arati
e i pupazzi di neve….

002_paysage suffoquant 002 NB 180

Questa è la storia
maldestra
di un solitario sognatore
convinto di passare inosservato
che è stato, invece,
accerchiato
e perfino viziato
perché non vedesse,
perché non scavasse
nel fondo del pozzo
col suo sguardo
scandaloso e concreto.

Questa è la storia
di uno squattrinato
abbastanza dotato
che ha sempre trovato
qualche aiuto svogliato
che nessuno, peccato
ha veramente ascoltato..

Nel cliché
che fu coniato per me
le mie dure sofferenze
non erano sincere
o erano un lusso.

E se invece
si trattava di gioie
prese al volo, assai rare
ero, allora,
sempre pronto
a fare il comodo mio :
« Non è mai contento
di quello che ha »,
si diceva in città.

Io sono come un arnese
che non volerà mai
i miei legni marciranno
incrostandosi
di ruggine e viti
le mie eliche dure
e contorte gireranno
a vuoto, aspettando
stupidamente
la morte.

003_variante 180

Ma che bravo il nostro
Giovannino
che sa parlare così bene
così piccolo
ma che tipo,
vedete, un artista,
ma un po’ troppo
originale
ancestrale
diverso.
Ha sporcato il muro
con questi pupazzi
ha fatto un disegno
interessante,
ma un po’ strano,
senza capo né coda.

Nessuno mi ha pagato
per parlare
per disegnare parole
sui muri
per descrivere la sospensione
di ogni uomo
l’ambiguità eroica
di questa società.

004_paysage suffoquant 004 NB 180

Del resto
non potrò mai sfuggire
al mio strambo destino.
Fino all’ultimo giorno
se ridurrò i piaceri
accumulerò i doveri

E più mi sforzerò
di essere coerente, leggero,
distaccato,
più mi troverò assediato,
costretto nei goffi vestiti
di un paesaggio soffocante.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 19 juillet 2014

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Senza fissa dimora, 1975 (Ossidiana n. 26)

07 mardi Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ossidiana

001_sansdomicile def_modifié-1

Senza fissa dimora

Cercare l’identità
o la felicità?
la normalità
o il dubbio?

Schierarsi
almeno per qualche anno
sembra una buona ricetta
(dando e prendendo
dal partito
dalla società
come da una donna).

Ma poi, accolto
dal ritmo indolente
di una nuova città
e dallo strano linguaggio
di un’innamorata
(senza più nulla
da contestare
né da costruire)
il poeta s’inaridisce
come in una prigione
nella fissa dimora
delle sue facili
suggestive
epiche
colorate
ma vuote
parole.

002_domicile fixe NB

Un poco di me
rimane ben saldo, ficcato
in fondo a una tasca
nella curva di un riccio
nel raro capriccio
del cuore di un altro
o di un altra
o di te.

Un poco di me
resiste attaccato
al cordone sfilacciato
che vola trasandato
nel ricordo svogliato
degli altri
e le altre che,
di giorno in giorno,
ho sfiorato
ad ogni stazione
ad ogni gelato
ad ogni prato.

Giovanni Merloni

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Mi innamoravano, ricordo, 1964 (Ambra n. 36)

07 mardi Jan 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ambra

001_bus 000 180

Mi innamoravano, ricordo

I
Mi innamoravano, ricordo
— su e giù negli autobus
stipati di donne brune
tra forte odore di ascelle —
le lugubri vie di ogni giorno,
dolenti come brutti sogni
oppure ridenti
negli sprazzi inattesi
di una semplice vita.

Storditi dalla luce di metallo,
aggrappati a gente
senza equilibrio
sconvolti dai bruschi arresti
non volevamo svegliarci,

002_bus 002 480 NB

In quella scatola
di sardine verticali
c’era sempre qualcuno
che rivoltava paziente il giornale
ostentando un partito
diverso dal mio.

Ma quale conforto trovarmi
nel fitto ammassarsi di corpi
diversi, pur sentendo
in cuor mio
di esser diverso da loro!

003_bus 003 480 NB

Mi piaceva davvero,
ogni giorno,
ascoltarli parlare
di che non importa.

004_bus 004 480 NB

II
Se salivi anche tu,
piccola, saltellante
sulla piattaforma traballante
col tuo fiato da dentifricio,
ti aggrappavi ai miei gesti,
ma poi, indocile
accaparratrice di sguardi,
ti sporgevi anche troppo
lontano.

Quando c’eri tu, il mio collo
diventava un periscopio,
le mie braccia
una mesta transenna,
uno sparuto sfollagente.

005_bus 005 480 NB

« Non siamo, anche noi,
come loro ? »
dicevi seccata, guardando
le mie mani sperdute.
Non mi sopportavi
— su e giù negli autobus
stipati di uomini biondi
che inforcavano strani occhiali —,
ma io, parlatore indefesso
speravo lo stesso
di vederti cambiare
riconoscendomi (almeno)
un progresso
nel mio argomentare :
« Non so che farei
per potere incontrare
ogni giorno
queste stesse persone
non so che darei
per trovarmi schiacciato
nell’abbraccio mortale
tra un ciccione
che legge il giornale
e una suora spagnola
che mangia un gelato ».

Ricordo che non mi credevi.

006_bus 006 480 NB

Giovanni Merloni

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