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Archives de Tag: Solidea

Mi manca la donzelletta (Roma, 2005)

27 lundi Juil 2015

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Solidea

001_la chimère iPhoto 180

Giovanni Merloni, La chimera gialla, 2015

Mi manca la donzelletta (1)

Mi manca la donzelletta
nata in provetta
che si arrangia poveretta
a fare la staffetta
tra il discount e la stanzetta.

Chissà dove si è chiusa
la povera illusa
discendente del fabbro.
Per sembrare una musa
ha dipinto il suo labbro
ma il rosso l’ha delusa.

Mi manca il dì di festa
il girotondo della testa
e una donna indigesta
che feroce mi contesta
nella giornata disonesta.

Nessuno si accorge della sera che cala.

Mi manca il villaggio
lasciato in quel viaggio
che fu solo un assaggio
un tardivo volantinaggio
traversato da un raggio.

La piazzuola è un buco nero
e i ragazzi sono in rotta
nella casa malridotta.

Nessuno si accorge delle amanti
che nel giorno per loro sgradito
deluse ritornano al trito e ritrito
loro marito.

Nessuno si accorge degli amanti
che con arie incostanti
si fingono ambulanti
perfino importanti.

Mi manca ogni sabato
questo villaggio informe
dove di rado si dorme
tu pescatrice io pescato
in un acquario informe.

Giovanni Merloni

(1) Piccola dissacrazione de « Il sabato del villaggio » di Giacomo Leopardi (1798-1837) e della sua città natale, Recanati, dove si può visitare il palazzo-museo dove il Poeta abitò.

Questa poesia è protetta dal ©Copyright. 

TESTO IN FRANCESE

Sono passato senza essere visto (Solidea n. 25)

27 mardi Jan 2015

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_monica iPhoto 180

Sono passato senza essere visto (1)

1. Dal pessimismo

Sono passato, per vedere
ed essere visto
nei luoghi e nei volti
che non ho rimosso.

Sono sceso appena
nell’altra dimensione
che fu mia.

Schizofrenicamente ritessendo
trame di affetto
che il treno spezzerà
renderà vane.

Ho visto come sono visto:
come un ex di cui ognuno
ha un brandello privato
forse importante;
ma nessun ricordo
unico ed vero per tutti.

Oggi sono cambiato,
vorrei che la città lo sapesse.
Ma forse non lo saprà.

Sono passato senza
essere visto.

002_jim 180

2. Dall’ottimismo

Mi trascina a Bologna
una corrente sicura
il benefico pathos
dell’amor filiale.

Una madre sbrigativa
ma pur sempre affettuosa.

Un mondo in cui
tante cose di me importanti
sono nate
e qui
non altrove
possono sopravvivere.

Sia pure lottando
con fratelli gelosi.

003_jeanne et les pinceaux 180

3. Dal viaggio

Resterei a Bologna.
Resterei a Rimini, a Imola, a Casalecchio
o a Terra del Sole
in una casa come questa
in una via come questa.

Nella malinconica incertezza
di un mondo di affetti
da ricreare, di vuoti inaspettati
da riempire.

Nella imbambolata certezza
di un proprio “dovere”
più limitato, più regolare
meno spropositato e avventuroso.

Resterei qui.

004_jeanne et jim iPhoto 180

Giovanni Merloni

(1) Viaggio a Bologna, 1989.

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 4 janvier  2015

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Figlio, figlio (Roma, 1993)

03 dimanche Août 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_figlio figlio 180

Figlio, figlio (1993)

Figlio figlio
amoroso giglio
un’onda di schiuma gialla
mi annega e mi lega
i capelli e gli occhi;
un blocco di cemento
tra gli squali
mi trattiene e mi rivolta
verso il fondo.

Rassegnato mi arrovello
nell’impossibile decifrazione
di parole a ritroso.

Figlio figlio
mi aspetti spensierato
lassù sul molo di legno.
Addirittura fumando
masticando, sputando.
Ma sei proprio tu? Figlio mio
ambulante senza collane
piccolo Gobetti senza libri
sottobraccio.

Mentre io affogo
tu appena galleggi.

Figlio figlio
il sole ti ha regalato un sorriso
e anche tu hai ostentato
il labbro tremante
i denti bianchi
lo sguardo attento.

Una enorme prua di ferro
ha spezzato le mie catene
troppo tardi forse.

Troppo presto affioro
semimorto paonazzo
gonfio tra le ossa e il vestito.

Figlio figlio
mi portano con leggerezza
in un angolo sabbioso asciutto
dove è arrivato chissacome
il profumo di barche
delle vacanze, il ricordo
delle nostre dolci e goffe
passeggiate. Una canzone
ci carezza le ciglia
un improvviso sollievo
ci riempie le tasche
una piccolissima parola
ci ha salvato ora
si prende cura di noi.

La vita per noi
è un duro esercizio
un laborioso assedio
a roccaforti ben munite
è l’immenso sforzo
per cavarcela
dopo insopportabili
e incomprensibili
giorni di festa.

É il probabile rischio
di essere depredati denudati
rigettati indietro
oltre il bianco orizzonte.

Figlio figlio
però ci sorregge
l’affannosa rincorsa
verso isole leggere
lambite dal lento
materno sciacquìo
di un mare d’autunno
la bruciante rimossa attesa
di un invito al ballo
tra corpi ombre musiche
e viscerali silenzi.

Schiacciato rinnegato
vorrebbe rivelarsi
un disperato grido di rabbia
un gesto estremo
un geometrico balzo
che stracci i mille strati
di stoffa i mille vestiti
messi e smessi
rammendati ereditati educati silenziosi.

Ma sopportiamo la consapevolezza
forse eroica di dovere
affrontare
dopo i fuochi d’artificio
i rimproveri
dopo le goffe cadute
le minacce d’abbandono
dopo le esagerate parole
il ricorrente destino di umilianti
purgatori
fuori, al buio
dentro una inospitale
brutta e angusta
stanza di periferia.

002_figlio figlio 001 180

Figlio figlio
senza altre incertezze
gettiamoci, insieme
di nuovo
in questo mare di saliva
di vomito e plastica.
Oltre quella scorza rivoltante
potrebbero svolgersi
azzurrissime distese
silenziose sirene
grotte verdi e rosa
in cui soffiare.

Figlio figlio
amoroso giglio
chi va a fondo può risalire
chi soffre avviluppato alle coperte
può almeno decifrare
i misteriosi segni sul muro
chi giace immobile confuso
può lentamente riprendere
a camminare
nelle cupe e leggere
linee della mente
graziosamente
uccidendo il tempo
con ostinata
dolcezza.

E riprendere a contare senza sosta
deux et deux quatre
quatre et quatre huit
huit et huit font seize
purché si riescano a eludere
i fastidiosi ragionamenti
i pomposi inganni i prevaricanti
squallori.

Con passo militare
con strisciante movenza di pantera
con traballante andamento di lumaca
con occhi stralunati orecchie
tappate, naso che gronda
moccio e sangue,
attenti a non inciampare
andiamo avanti, indietro
lungo un cerchio
un’ellisse
una spirale
ripetendo, quasi per gioco
la dolce-ossessiva
cantilena
della vita.

Figlio figlio
imparerò a tacere
a rispondere solo se
interrogato.

Con improvvisato coraggio
eserciterò il mestiere di padre
e lascerò scivolare
questi bianchi fogli moribondi
tra mani ferme e tremanti.

E lascerò che tu cresca che tu
diventi uomo, senza oppormi,
con sorridente rassegnazione,
figlio mio.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 3 août 2014

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Nella mattina già stanca (Roma, 1993)

07 samedi Juin 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_disegno signora 180
Nella mattina già stanca (1994)

Nella mattina già stanca
la mia fragile anca
si trascina. Mi rinfranca
l’esile fumo che arranca
ingiallendo da manca
l’orizzonte che imbianca.
Lì, buttata su una panca
una donna nera e bianca
mi rivela una cianca.

Ho fermato il motore
chiuso a chiave il rossore
annusato l’odore
aspettando il bruciore.
Non si parla di onore
o di sfogo al languore.
C’è soltanto stupore
per siffatto splendore.

002_campo de fiori anni 80 180

Entra dentro la vigna
la ferraglia matrigna
sorprendendosi arcigna
nell’afrore di pigna.
La ragazza ferrigna
mentre il corpo digrigna
desolata sogghigna
ricordandosi niña.

Silenziosa campagna
dolcemente accompagna
forse nenia o anche lagna
l’ispirata compagna.
Calda pioggia ci bagna
mentre il corpo guadagna
una danza di Spagna.

003_campo de fiori anni 80 180

Son tornato correndo
vomitando, ridendo,
sorprendendomi orrendo
nel piacere tremendo.

Non mi sembra più stanca
questa faccia ormai bianca:
giovanil si rinfranca
la mia voglia che arranca.

E correndo da manca
io ritorno alla banca.
Qui, premendo sull’anca
con la voce che sfianca
urlo: “L’ho fatta franca!”

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 7 juin 2014

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Canzone pendolare (Roma, 2005)

24 samedi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_chanson pendulaire 001 180Canzone pendolare (2005), al ritmo di Io ho in mente te, dell’Equipe 84

Ogni mattina
uoo uoo
transito sotto gli archi
esco da Roma
entro nel tunnel di luce
di Cristoforo Colombo
di Bavastro, di Giorgione
e Caravaggio.

Nomi di via di piazza
di slargo
dove transita il tuo miraggio
o un cargo
o un gruppo di pedoni
o un mercato improvvisato
o un prato desolato.

002_chanson pendulaire 002 180

Anche oggi
uoo uoo
vòlto assai prima
di perdermi
per distrazione
nel flusso obbligato
nella corte infinita
che transita impunita
sul tapirrulan della vita.

Vòlto prima
di restare calamitato
dall’abitudine del tuo nome
dal richiamo imperioso
delle tue gonne
prima di fermarmi, confuso
di fronte al tuo viso
che guarda stupito
dal bancone del bar.

Vòlto prima
(quasi una curva a gomito)
(ingoiando il vomito)
(sospirando il fremito)
(trattenendo il battito)
e mi ficco
minimale e strano
in un vialetto sporco
dove transitano zoppi
gli amanti delusi
i giovani diventati vecchi
le donnette vestite di specchi.

003_chanson pendulaire 003 180

Mon amour
a due passi dal mare
la città gioca
si finge speciale
direzionale lavorativa
attiva. Invece tutti si perdono
si mescolano si guardano
si snobbano si sfottono
cincischiano
uoo uoo
sudano
uoo uoo
dicendo bugie
sospirando magie
consapevoli o no
di dividere te da me
ancor più di quel muro bucato
che entra ed esce
da Roma.

004_chanson pendulaire 004 180

Ora lascio la macchina
(un parcheggio
lontano da te
si trova sempre)
o ancora un pò
mi fermo a sentire
il disco rotto ininterrotto
uoo uoo
che non si sa
rassegnare.

005_chanson pendulaire 005 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 24 mai  2014

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Vi racconto una storia (Roma, 2005)

22 jeudi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_je vous raconte une his NB 180

200_Vi racconto una storia (2005)

Per farmi perdonare
vi racconto una storia.

Una storia fastidiosa da raccontare
o soltanto un percorso sfortunato
assediato dagli alti e dai bassi.

È la storia logorante di un’impresa
trascinata con incoscienza o fatalismo
lungo la lama sottile di modeste occasioni
di scarsi riconoscimenti, di inesistenti premi.

È la storia affannosa di un corpo
sottratto ai suoi ritmi naturali
consegnato ai malesseri ai malumori.

È la storia del sogno o del mito
di una società unita e serena
dove tutti prima o poi se ne vanno
a vivere altrove.

È la storia di persone vicine
fisicamente, ma mentalmente lontane.

È la storia di uno squattrinato
costretto a fare il funambolo
camminando sul filo
con mille assegni a vuoto.

È la storia paziente degli ami lanciati,
delle reti e trappole piazzate con cura
la storia di una totale assenza di strategia.

È la storia che annega nella pigrizia
e nel disordine, ma non può
consegnarsi alla noia.

È la storia di mille raptus immaginati
di mille fughe dal giro vizioso
di tante insostenibili responsabilità.

È la storia di secoli di disperazione
che, d’improvviso, con una invisibile
rottura interna, egli avrebbe potuto
riscattare nella riscoperta
di vecchie attitudini amorose
rimosse.

002_richard lenoir soleil 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 22 mai 2014

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Irene (Roma, 2005)

17 samedi Mai 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_irène 180

Irene
(pace dopo la sconfitta o alla vigilia di una grandiosa vittoria?)

Qualche volta
ti vedo arrivare
o piuttosto spuntare
dall’ombra del grande viale

ti vedo piroettare
sorpresa
da un suono interno
da uno squillo d’inferno.

Allungo il passo
tagliando l’asfalto
con affannate diagonali,

ti semino, mi superi
mi ficco nel bar-del-caffé-hag
tu Irene prosegui elegante
interrogativa, esitante
fino all’insignificante portone

Angoscioso, l’ascensore mi porta
al breve corridoio.
Davanti al gabinetto
(dei maschi)
una barbara trascuratezza
ha sopportato che lì
proprio lì, elegante come una star,
sedessi sospesa
su un trespolo d’aria
proprio tu
la nera Irene
dalle bianche mani.

002_terminal ostiense quadro 180

Passa almeno mezz’ora
[Elena non è arrivata]
[c’è sempre una pausa]
[uno scambio di rumori]
[forse io ascolto i tuoi «Ciao»
i tuoi sospiri]
[forse tu ascolti
svogliata i miei ripetitivi
e ripetenti
stessi discorsi
di ogni anno]
[forse io udibilmente
inghiotto il rospo
se m’accorgo che tu
innocente e ardita
sguinzagli gemente
tra i tonfi della mente
sospiri di giovane vita]
[forse tu sbuffi
silenziosamente
se io grido sgrido
qualcuno o l’aria
se rido, gracchio
o dico «Cacchio!»]
[intanto è arrivata Elena]

003_fontanella 180 antique

Son passati cinque mesi
e ancora parliamo di lavoro
soltanto nelle pause di lavoro.
A volte, incauto
o fatuo
(quando Elena non c’è)
senza un pretesto
(di legge o delibera)
piombo nella stanza di là
senza le attenuanti dell’età
(non ho più l’età).

All’angolino del ring
ruotando l’occhio smarrito
pur sempre gentile
ti sorbisci le mie
confusionarie parole:

PIÙ TRASPARENZA
MENO CERTEZZA
MENO BUROCRAZIA
PIÙ VITA

Entra ed esce la luce
invade oppure evade
dalla stanza-scrivania
(Elena impercettibilmente
registra e segnala
il passaggio climatico).

Carezzata dal sole
Cher stregata-dalla-luna
scuoti i capelli
e assecondi l’onda
del lieto fine: appallottolata
e fotogenica scivoli beata
sulla barca che se ne va
dell’AUTORITÀ (1).

Oppure, rannuvolata
ti rintani
nell’angolo più buio
abbracci la pianta grassa
e diventi la polena di prua
del Titanic-ÀTIROTUA
che affonda già.

Ti aspetto, Irene
pacificatrice bellicosa,
costretta a tirare di scherma
per scansar la caserma
indisciplinata e rafferma
come un pane popolato
di mosche.

Ci vuole, per tutti noi
una diversa trincea
un luminoso palcoscenico
un armadio guardaroba
un cesso lontano e discreto
un telefono segreto
e un mondo rovesciato
dove si possa leggere:

AUTORITÀ

parolina che porta bene
il cui significato conviene
domandare a Irene.

Giovanni Merloni

(1) Nella parola AUTORITÀ si condensa e si riassume il lavoro di sette anni, dal 1999 al 2006, da me svolto in un ruolo di responsabilità. Non è certo il caso, qui, di avventurarsi un una cronaca qualsivoglia, che richiederebbe del resto un minimo di inquadramento storico. Lasciamo a questa «poesia di un giorno» la libertà dì esprimersi.

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 17 mai 2014

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Il pro-filo di Arianna (Roma, 2004)

28 lundi Avr 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

001_le pro-fil d'ariane NB 180

Il pro-filo di Arianna (2004)

Arianna
Sali e scendi.
Il tuo corpo mascherato
(avviluppato, appena
accennato)
entra ed esce, repentino
(insieme all’omonimo filo)
attraverso lo speciale
sguardo azzurrino.

Arianna
ti confidi e ti conficchi
poi, assai presto
senza pretesto
– con un leggero sempr’elegante
tourbillon – sparisci.

Arianna
(bisogna ammetterlo)
tu mai cancelli
forever
i conquistati che dondolano
impiccati al tuo filo.

Teseo sì, rovesciando le convenzioni
e (addirittura) stravolgendo il mito
l’hai lasciato
sedotto e abbandonato
a farsi divorare
dal divino rimorso.

Con gli altri
sei benigna e presente:
dalle tue odissee a ritroso
mandi grandi cartoline
dove ti incastri piccola
appena percettibile
nelle spesse linee del mondo.

Fiducioso aspetto i tuoi ritorni.

002_ariane 01 180Anna.
Madre e sorella di Maria
sei disposta a qualsiasi avventura:
laveresti Gesù;
accompagneresti un cieco
oltre il mare;
volentieri gli racconteresti
le insidie patite
dalla nave pirata
gli scogli che potrebbero spezzare
(da un momento all’altro)
la chiglia nera, nascosta
sotto le scie grigie;
crederesti al cieco
che dice di chiamarsi Omero
o Tiresia o Ray Charles;
crederesti che quelle voci
dilatate, vaticinanti
possano far volare il mondo
fuori dalle orbite.

003_ariane 02 180

Anna samaritana
Anna sogno a occhi aperti
Anna luce che scivola
sul dorso del mare.

Anna patrona degli innamorati
che perdono il senno
per potersi salvare.

004_ariane 05 180

Nella tua forza vitale
c’è una strana dolcezza
senti-fisica
e senti-mentale.

Una risorsa nobile
generosa, argentina.

Marianna fontana
grotta preziosa
tagliata a picco
(come un diamante)
nel mare.

Marianna onda marina
che si rotola
(dolce ansiosa
morbida silenziosa)
nella spiaggetta intima
di un’isola.

005_ariane 04 180

Marianna madre e figlia
santificatrice della gioia
santuario della verità
albergo della vita.

Marianna dentro e fuori
(riso e pianto)
Marianna saliscendi
(leggerezza e peso della vita):

Marianna
tra tutte le donne-città
potresti essere Genova
tra tutti gli oceani-femmina
il Mar di Liguria.

Marianna
grotta, spiaggetta, ninfa
vestale, ambasciatrice
piuma senza cappello
amica come
solo lei sa.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 28 avril 2014

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Io, narrante (Roma, 2005)

04 vendredi Avr 2014

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

000_moi narrateur001 180

Io, narrante (2005)

Io, narrante
stanco ambulante
incerto svicolante

ne ho viste tante
tante ne ho piante

001_amsterdam 1 180

Io, errante
tra amore e guerra
tra invidia e gloria
:

scavai monti di terra
bevvi fiumi di storia.

002_amsterdam 2 180

Io, narrato
sempre spiantato
sempre assillato

da creditori di favori
(che non so fare)

da negatrici di amori
(che non so rubare).

In fondo al treno
che m’ha divorato
men che sereno
sono angosciato.

003_amsterdam 3 180

Ho scritto in una scatola
ficcata in una botola
che rotola.

Ho scritto di getto e di piscia
trasformandomi in biscia
che striscia.

Ho scritto dalla culla
minacce a una fanciulla
sparita nel nulla.

Ho scritto sulla sabbia
che mi attaccasti la scabbia
con rabbia.

Ho scritto sulla cometa
un pensiero d’asceta
che mai si disseta.

Ho scritto la trama
di un’entusiastica brama
che mai si sfama.

Ho scritto sul foglio virtuale
il mio incubo ancestrale
spirituale e animale.

004_amsterdam 4 180

Ho smesso di scrivere
perché tanto è uguale:

a che serve la fama
se la pena non si cheta
se il dolore m’ingabbia
se sparisce la fanciulla
che un altro s’alliscia
dentro una botola?

005_amsterdam 5 180

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 3 avril  2014

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L’arte del non incontro (Solidea n. 15)

26 dimanche Mai 2013

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Solidea

l'art de la non rencontre_def_740

L’arte del non incontro

Che c’entri tu
coi tuoi grandi occhi
che trapassano nuvole e pietre?
Perché proprio addosso a te
deve infrangersi
l’onda spropositata e sgonfia
del mio sconosciuto naufragio?
Quale parolina dolce
o sferzante o misteriosa
trapelò dalle tue labbra viola?
Chi sono io che mi aggiro
sotto la tua casa?

Come potrei giustificare i miei versi
le mie zoppicanti serenate mute
le mie più intime agitazioni ?
Come spiegarti
che succede talvolta
(almeno una volta nella vita)
di scoprirsi perfettamente scolpiti
l’uno per l’altra
per poi restare lì, immobili
a guardare dentro l’onda
di quei corpi che non si abbracciano
di quelle mani
che non si mischiano
e di quelle bocche
che mai si sfioreranno ?

Niente. Non è successo niente,
Il silenzio ci assordava
il chiasso ci calmava,
non cercavo fortuna
nella tua testa bruna,
e tu non hai visto che difetti
nei miei modi circospetti.
Restammo al non-detto
al non-sentito
imbambolati davanti all’onda mortale
che precipitava
davanti a quella tavola sparecchiata
in attesa spiritata
che un altra coppia si fosse accomodata.

002_che c'entri tu 740

Foto : Collezione Fratelli Merloni. Riproduzione vietata

Resto qui, oggetto imbarazzante
sotto gli sguardi arrossati
e non lascio più le case gialle
i marciapiedi  invasi di fantocci
gli stomaci ingombri di resti
di mille cartocci.
Non scendo e non salgo.
Non ho altro progetto
che scrutare il riflesso
della mia vergognosa sconfitta.

In un certo senso tu mi ospiti
mi concedi un tetto
un non luogo vicino a te
dove io possa
abbandonarmi a questo treno immobile
alla sua onda invisibile
paralizzante
e interrogarmi sul non senso della vita.
Non ho neanche avuto il tempo
di dirti che ero un marinaio
un vascello colmo
dell’acqua della vita,
mentre ora divento
un fiume in secca.
Non ho potuto dirti
da dove sono sbarcato.
Quando ti sei affacciata
sorridente e irresistibile
ho proprio dimenticato
come si fa a parlare
ma ho potuto leggerti
scendendo giù fino al fondo
nel piccolo libro aperto
e nel solitario concerto
del tuo mondo doloroso
e incerto.

Ho perduto la parola?
Forse sì, ma tu,
unica e rara, quasi al volo
intercetti le parole confuse
che potrebbero precisarsi
o perdere qualsiasi senso.
Ti guida il buon senso
o la paura di affezionarti
all’uomo sbagliato?

Tra le case della piazza
scivolano persone come acqua
tra le dita. Ti immagino
seduta su una qualunque poltrona
mentre ascolti i miei passi che salgono
e scendono le tue scale,
con una pianta grassa
e un giornale in tasca.
Ma io mi aggiro sempre per strada
e scivolo tra le case, disperato
per un naufragio mai avvenuto,
per un divorzio mai consumato,
per un matrimonio mai supposto
per un bacio appassionato
rimasto nell’anticamera
di un grande palazzo vuoto.

Sarei stato capace
di farti un furioso ritratto
giusto disegnando il tuo collo,
a mente, o navigando
nella pozza scura dei tuoi occhi.
Invece, da quando ci siamo incontrati
fuggiamo io da te tu da me
lasciando rotolare il tempo
senza osare afferrarlo
lasciando scivolare le cose
come acqua tra le dita.
Eppure eravamo attratti
da quello specchio di nebbia
dove si incrociavano distintamente
i nostri due labirinti silenziosi.

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Foto : Collezione Fratelli Merloni. Riproduzione vietata

Scalciando tra le rovine
– a testa bassa
mi capisco ti capisco
e cerco di ritirarmi
prima che questo leggero tormento
diventi pesante sofferenza.
Mi sogno allora di salire sul treno
per tornare in un altro non luogo
dove ti sarebbe difficile trovarmi,
dove non avrei la forza
di aspettarti, dove il treno della vita
non avrebbe proprio voglia
di rimettersi in moto.

Ma che c’entri tu
coi tuoi grandi occhi
che trapassano nuvole e pietre?
E io, che faccio qui
infelice sagoma errante
sotto casa tua ?

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 20 mai 2013

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