
Di che parlava, il film della tua vita ?
Caramella,
le lettere sono andate perdute. Scusami questa espressione « napoletana » per dire che il nostro epistolario è sparito. Come se non fosse mai esistito. Perché, se è vero che il disco rigido del tuo computer non dà più segni di vita, nel mio caso è successa una cosa ancora più grave e definitiva. Mi ero illuso che i nostri messaggi sarebbero stati eternamente conservati in quella specie di biblioteca virtuale dove andavo a cercarli. Ma avevo sottovalutato l’infernale meccanicità della macchina : sono bastati sei mesi di inattività… perché « quelli » mi cancellassero tutto! Mi sembra la tragica storia di mia sorella, a cui mancavano solo tre esami per laurearsi in giurisprudenza. Aveva passato tanti guai, si era ammalata… finché un giorno ricevette una lettera in cui le dissero piuttosto seccamente che ormai tutti gli esami che aveva fatto non valevano più un fico secco. Era come se non li avesse mai fatti… Ma anche noi, Caramella, nello scrigno spezzato della nostra corrispondenza avevamo riversato tante lacrime insanguinate…
Potrei decidermi a prendere l’aereo. Si tratta solo di due ore di volo, in fondo. Per di più, a Fiumicino, posso affittare una macchina… Mi darebbero, se gliela chiedessi, quella Nuova Fiat 500 che finora ho visto solo da fuori. Poi, dall’aeroporto, se ben mi ricordo, c’è la scorciatoia… di via della Scala! Una via lunga, abbastanza trafficata ma confortevole che costeggia lo specchio d’acqua esagonale dell’antico porto di Traiano, poi l’abitato di Isola Sacra, per attraversare alla fine il Tevere sull’ultimo ponte prima della foce…
Caramella, quante emozioni mi evoca la sola idea di questo viaggio da un aeroporto a un bivio! Ma ti devo confessare, se non fosse per la macchina a nolo e il timore di strusciarla contro qualche paracarro, che non resisterei all’imperioso richiamo della gita al Faro più squallido che si possa immaginare, o alle quattro casette sbilenche della via del passo della Sentinella… Questi soli nomi, pur attirandomi come una specie di calamita, mi fanno rabbrividire, riportandomi dei ricordi in cui la piccola gioia di essermi sentito vivo si fonde a un’angosciosa sensazione di pericolo. Genio e sregolatezza, terrore e attrazione, sotterranea paura e coraggio insensato… Passato il ponte, la strada diventa più anonima, fino all’Ostiense ovvero la « via del Mare ». Sarei ormai quasi arrivato a casa tua.
«Ho avuto molti problemi fisici e sono stata molto triste. Non mi sentivo all’altezza di raccontare niente che ti potesse interessare. Non avevo neppure più il mio habitat.: la bella scrivania di cristallo e bambù… la mia poltrona, dalla quale vedevo fuori la campagna. Avevo lasciato la mia villetta e mi ero trasferita nell’appartamento dove vivo tuttora. È carino, dentro, anche se piccolissimo, ma situato in un palazzo squallido…»
Arrivo, arrivo… Ma prima, permettimi di fare una piccola deviazione, devo correre a via dell’Idroscalo per fare una breve visita a Pasolini… Qui in Francia si parla tanto del suo genio straordinario… Se non colgo la palla al balzo, rischio di by-passare per sempre questo luogo così angosciosamente « pasoliniano », dove il grande regista-filosofo è morto quarant’anni fa. Eh sì, Caramella, è passato già tanto tempo da quella notte di cupi presagi che passò come un’ombra gelida in mezzo ai nostri entusiasmi. Nessuno aveva voluto credere al Tiresia contemporaneo che aveva capito tutto in anticipo, sulla sua pelle, mentre noi, nella nostra giovanile incoscienza, non sapevamo di essere così presuntuosi e astratti. Abbiamo voluto continuare a illuderci sulla capacità del nostro paese di uscire da solo dalle innumerevoli imboscate che lo facevano vivere in una eterna agonia. Niente mi sembra cambiato, in questa località che ho già visitato una volta : un luogo senza personalità dove si è consumato un efferato delitto, impunito, contro l’umanità. Ma vorrei lo stesso andarci, scendere un attimo dalla macchina nuova di zecca e… chiudere gli occhi per ascoltare le grida dei gabbiani in transito su questa via derelitta e risentire la voce stridente del poeta mentre scandisce una delle sue disperate ribellioni…

Forse, in quel momento irripetibile, mi piomberebbero addosso, come in un film di Pasolini, le frammentarie visioni dell’acciottolato romano di Ostia antica, il silenzio dei pini contro il cielo spensierato… insieme a un’altra voce inascoltata, quella del mio amico Ascani. Chino ore e ore sul suo incredibile pachwork di foto aeree in fotocopia, Ascani aveva ricostruito pezzo per pezzo le tracce dell’antica città di Portus, che sorgeva lì vicino, oltre il vecchio Idroscalo, in un territorio che non esiste più, enormemente cambiato anche per il sensibile arretramento della linea costiera. Duemila anni fa, tra l’Isola Sacra e il mare, esisteva un’immensa Rotterdam donde partivano le temibili flotte dell’antica Roma… Ma nessuno ha mai voluto dare retta ad Ascani né esaminare qualcuna delle sue scoperte…
Caramella, tu forse sei gelosa di questa mia tendenza a rifugiarmi in digressioni e in giri viziosi da cui tornerò annichilito e stanco. Ma questi pensieri hanno dato uno scopo alla solitudine delle mie corvée su e giù per l’Italia, generando dentro di me questo mio tipico bisogno di raccogliere le sfide, anche quelle più difficili. Col tempo questa mia seconda natura è diventata una compagna di viaggio fin troppo esigente, ma sempre pronta a perdonare le mie fughe… Spero che mi perdonerai anche tu, quando busserò, un giorno, alla tua porta…
«I primi mesi, ogni volta che percorrevo il lungo corridoio che portava alla mia porta e finiva in fondo con una portafinestra con una tendina, piangevo. Sia nella vendita della vecchia che nell’acquisto della nuova casa, avevo avuto tanti problemi. C’è molta gente disonesta e quando si fanno dei cambiamenti si rischia di imbattersi in qualcuno che non si vorrebbe mai aver conosciuto, compresi i professionisti che ti assistono. E poi sono sola. Il cambiamento di zona mi aveva allontanato dai miei amici. La mia famiglia era ormai andata in pezzi. Nel 2011, anche la mia dolce cagnolina era morta.»
Ho bussato alla porta. Nel silenzio prolungato dell’attesa, vedevo Pasolini come un padre, ucciso a tradimento da una masnada di figli ingrati, proprio come Cesare… quando la tua porta si è aperta da sola e ha preso a ruotare verso sinistra, rivelando un pavimento luminoso, un grande divano e, in fondo, una portafinestra dietro cui si indovinava un balcone. Schiacciata dietro la porta spalancata, trattenendo il respiro, aspettavi che entrassi e mi avvicinassi alla luce naturale.
— Siediti.
— Caramella…
— Lo vedi, è molto piccolo. Ma mi sto abituando.
Ricordo che abbiamo parlato delle lettere. Tu ne avevi conservata una, scritta da me nel febbraio 2011. La lettera parlava di Manacorda, il nostro amato professore di storia e filosofia… quello che ci sorprese mentre stavo abbottonandoti il grembiule.
— Ma quanti bottoni, Caramella!
— Un vero e proprio strazio, se si pensa che a quei tempi Catherine Spaak andava in giro in minigonna!
— Caramella, sono passati più di cinquant’anni… e tu continui a vagare nella mia testa…
— Solo nella testa?
— No, dappertutto… Ma la sabbia di Ostia è ancora nera?
— Sì, è nera, c’è il ferro!
— Trovo inquietante questa « cosa » che si incolla ai piedi, alle mani e finisce per cambiare il nostro aspetto!
— Invece… avevi replicato, questo lato selvaggio ci rende più umili e concreti. Nei film di Pasolini che tu ami tanto, non troverai mai la sabbiolina invisibile dei serial televisivi, ma la sabbia nera che abbiamo qui.
— Durante la mia lontana parentesi a Ostia, la sabbia nera, pesante e pungente, mi sembrava quasi scandalosa… Era la fine dell’estate del 1962, cominciata con la nostra famosa passeggiata nei prati di Villa Borghese… Tornando da Cesenatico, non ero andato subito a casa, ma avevo raggiunto qui mia madre e mia sorella.
— Ostia fu una delusione, vero?
— A Cesenatico avevo finalmente baciato una ragazza e, per mantenere il ricordo, avevo smesso di farmi la barba e di cambiare maglietta… Alla stazione di Cesena, mio padre mi aveva preso in giro, mentre mia madre, appena arrivato a Ostia, mi aveva portato dal barbiere.
— Ma tu ci sei venuto anche qualche altra volta, birichino che non sei altro! Sempre con tua madre e tua sorella… o con qualche altra donna ?
— Pochissime volte. Di corsa, in macchina, per allontanarmi un po’ da Roma, per assaporare l’ebbrezza dello sradicamento…
Avrei voluto parlarti della lentezza incredibile dei miei progressi, della mia graduale emancipazione attraverso i piccoli gesti della vita quotidiana, quando ero ancora molto lontano dai grandi gesti dell’amore. Quanto tempo ci avevo messo prima di trovare il coraggio di spezzare i cordoni che mi legavano come liane robuste o serpenti! Avrei voluto raccontarti che, durante l’ora di ginnastica, facendo comunella con due dei nostri compagni, Bodo e Cassetti, mi nascondevo negli spogliatoi in mezzo ai cappotti. Cassetti si puliva le scarpe con la sciarpa di qualche compagno distratto dalla palla a volo, Bodo leggeva un libro di Faulkner o di Steinbeck mentre io sgattaiolavo fuori dalla porta posteriore e, come un cospiratore — il cancello era sempre aperto —, uscivo dalla scuola. Ma non osavo andare oltre il nostro bar-chioschetto e l’annessa fontanella presso il glorioso platano dove si formavano sempre gruppi e capannelli. Solo una volta, tutti e tre, osammo spingerci, durante l’ora di ginnastica, fino al muretto che si affaccia sul Tevere in piazza delle Cinque Giornate!
Ironia della sorte… esattamente in quel punto là ti avevo incontrata, qualche anno dopo l’uscita dal liceo. Quel giorno tu eri con delle amiche, presa da un’animata discussione. Nonostante ciò, prima di lanciarti sul ponte in direzione del Ministero della Marina, tu mi regalasti uno smagliante sorriso che mi fece venire la pelle d’oca. Vedi, avevo dimenticato questo saluto fuggitivo e la benevolenza del tuo ultimo sguardo. Ma questo sorriso nella luce complice di Roma si perde, ormai, nella notte dei tempi. Ora…
A questo punto, levandomi la parola, tu hai detto, bruscamente: — stavamo parlando di Ostia, una piccola « colonia sprovvista di volontà propria » come tu dici… Ma davvero conosci questa « colonia » soltanto dal di fuori, superficialmente, come una pura e semplice cartolina? Devo crederti?
— Be’, se ci penso meglio… un ricordo affiora. Ed è piuttosto intenso. Alla fine di una passeggiata sul lungomare di Ostia con una persona che ti somigliava, insistevo per andare in un alberghetto che avevo adocchiato. Un posto anonimo, senza altro che una scritta sbilenca fatta con in neon blu. Seduti in macchina, lei mi rimproverò a lungo, dicendomi che con il mio amore assoluto, sconfinato e premuroso, non le lasciavo il tempo di prendere lei stessa un’iniziativa qualsiasi…
— Perché me ne parli ? dicesti.
— Perché anche poco fa, quando sono arrivato, avrei voluto abbracciarti come se fossi tornato dalla guerra. Ma mi sono imposto, come in quell’episodio che ti stavo raccontando, di calmarmi, di aspettare che tu ti abituassi a questa… sorpresa.
— Non mi sono abituata e non sono affatto tranquilla !
— Allora stiamo ancora un po’ qui, seduti in poltrona, senza dire una parola, aspettando che la tensione si calmi prima di stringerci affettuosamente la mano!
— Ma quella tua fuga, come è andata a finire ?
— Lei mi sgridò. Più insisti, mi disse, più mi chiudo nel mio guscio! Rassegnato, allargai le braccia, mi accasciai sul sedile e dissi: Va bene, hai vinto tu, andiamo via!
— Ma, subito dopo questa rinuncia clamorosa e definitiva, tu scendesti dalla macchina e ti avviasti verso il neon blu della scritta, vero?
— Come fai a saperlo?
— Io so tutto.

Ora, da quest’altissima poltrona solitaria che mi riporta alla mia realtà, mentre osservo il mare dietro l’ala argentata del Boeing 707, cerco invano di ripercorrere i fili e i suoni di quel colloquio lunghissimo in cui, la mano nella mano, io e te eravamo riusciti a sconfiggere la banalità del tempo…
Guardando fuori dalla finestra come si fa quando ci si parla in macchina, come due vecchi-adolescenti, avevamo lasciato finalmente scorrere delle vere parole, insieme a vere lacrime di gioia, scoprendo che quelle lettere erano rimaste indelebili su una pellicola invisibile che scorreva davanti ai nostri occhi, alle nostre bocche, alle nostre mani.
— Di che parlava, il film della tua vita?
Giovanni Merloni
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