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Mi parli in inglese
Guardiamo insieme il cielo di cenere
e viene da molto lontano la nostra voce.
Tu parli inglese
un bambino-lancia-razzi rasenta
pericolosamente il treno.
– Una volta ci venni con mia madre
e la terra era più scavata e smossa
giocai a nascondermi dietro i mattoni
e lei che mi inseguiva, ridendo… –
È davvero penoso quello che ci tacciamo
mentre già ondeggiano – come nuvole
tra le cime tempestose – i presentimenti:
– I like the spring, of course… –
come se questi bambini ci guardassero
e il nostro corpo pesante non riuscisse
a muoversi…
È ben triste un cielo di cenere
steso senza cura tra baluardi di cemento.
Laggiù si riescono ad acciuffare
i pini nel vento:
– Non so più cosa guardare. –
Hai una riga tra gli occhi e la fronte
il mento in su. Adesso esprimi
quello che prima
non riuscivi a spiegare
nemmeno in inglese.
Il cielo sprofonda nelle zolle
in un disperato luccichio.
Non avrei mai pensato
che la mia carne
mi fosse così indifferente
e i miei stessi occhi odiosi
e tu… tu inutile!
– Quando arriveremo
a piazza di Spagna
non badare ai negozi, alle luci
alle braccia e gambe
tra i tavolini. Va’ dritta,
non voltarti
e portati dietro il mio amore profondo
eppure volatile
provvisorio o eterno
come quella cenere tra i pini
Addio… –
Camminiamo verso il centro
estrema periferia
di un grande amore. Le luci
balzano alle finestre
sempre più pungenti
e ossessive.
Poi la sera si arresta.
è vuota la piazza
Sono solo.
Evviva!
Evviva la nostra giovane morte!
Giovanni Merloni
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