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Zvanì (pit n.2)

24 vendredi Mai 2013

Posted by giovannimerloni in il ritratto incosciente di una tavola

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Bologna, Cesena, Dario Fo, Giovanni Pascoli

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Foto : Collezione Fratelli Merloni. Riproduzione vietata

« Dalle parti di Schwann»… Quando si voleva vezzeggiare Zvàn, mio nonno,  lo si chiamava  « Zvanìn » o « Zvanì »…

Con la musica  accattivante di questo nome nel cuore, ho la sensazione che la Romagna si sposti come la zattera di pietra di Saramago e che vaghi a lungo  prima di fermarsi, in un luogo molto remoto, nella geografia dei miei sogni. Potrebbe chiamarsi altrettanto bene Samarcanda o Damasco o, anche San Pietroburgo. Io non  sentirei il peso della distanza, dato che questo luogo sarebbe sempre presente nella mia mente come i lunghi singhiozzi di Verlaine e i parapetti d’Europa di Rimbaud, vicini come questa tavola allegramente sparecchiata dove questo signore dall’aria intelligente è privilegiato dalla distribuzione, fin troppo complice, della luce.

D’altronde Zvànin è tutt’uno con gli altri partecipanti alla vigilia, a cui si rivolge  — mi sembra di sentirlo –  con una voce calma, convincente, nella loro stessa lingua cifrata, del tutto incomprensible per me. Zvànin è lo stesso di Jean, o Jan o John. È un modo di abbreviare la parola, di rendere più vicino e intimo un nome solenne come Giovanni o noioso come Johannes. Une specie di frenesia dell’abbreviazione e della variazione.

Quanto al suo linguaggio, è difficile tracciare dei confini. Certo, tutti dobbiamo, d’ora in poi,  condividere l’idea di Dario Fo di una grande, antica e originaria mescolanza delle lingue — la francese, l’italiana e anche la tedesca — che ha generato ciò che egli chiama « grammelot », un  miscuglio linguistico che concerne tutte le popolazioni della valle dal Po, da Milano al mare Adriatico. Tuttavia, si potrebbe tagliare verticalmente questa grande regione — la Val Padana —  che costeggia la riva destra del Po, il più grande fiume italiano, tracciando un’invisibile frontiera tra Piacenza e Parma. Infatti, in un certo qual modo, la Lombardia comincia a Piacenza, mentre Mantova, al di là del Po e sotto il dominio milanese, è una città senza dubbio « romagnola ». C’è qualche cosa di eccezionale in questa regione a sud del fiume. Basterebbero forse tre nomi per evocare un po’ lo spirito della sua prodigiosa cultura : Ariosto, Verdi e Fellini. Ma non si può sicuramente dimenticare Giovanni Pascoli — Zvànin, anche lui—, questo grande poeta a sua volta classico e intimamente impregnato di questa lingua musicale, di questo canto orgoglioso e « naïf », la cui eco si propaga, mescolata,  nei suoi versi.

Non bisogna neanche dimenticare l’inimmaginabile Rossini, colui che ha apportato a Parigi  la sagacia derisoria dello spirito romagnolo.

Questa lingua profondamente amata è stata la forza primordiale, il legame intimo che ha dato forza all’unicità e diversità dell’Emilia-Romagna. Una regione dove si è sempre difeso e al tempo stesso esaltato il rispetto per la cultura, la scienza, il diritto.

[Io amerei parlare in questa sede di Bologna, la più antica università d’Europa, e di ciò che sembra accadere oggi, in questo momento di riflusso  e di gravi difficoltà che turbano il mio paese…]

[In ogni caso, ancora oggi la lingua di Zvànin sembra salvarsi sotto i ciottoli degli affluenti del Po, dentro piccole grotte che la proteggono ancora per un po’di tempo  dai terremoti della terra e dalle ondate di cambiamenti e di oblio.]

La Romagna è un triangolo di campi e di pietra  dove numerose civiltà e poteri – gli imperatori, i papi, i comuni, le signorie –  si sono affrontati, senza rispetto né concessioni. Tuttavia, i vortici della Storia non hanno lasciato che delle tracce gentili in questa terra fertile, nutrita di genti naturalmente portate al lavoro e alla felicità. La strada che perfora più facilmente gli Apennini, unendo Roma a Venezia, incrocia proprio qui, poco lontano da questa riunione notturna, l’Emilia,  un asse stradale  tanto importante quanto il Reno per le popolazioni della Ruhr, che  discende perfettamente rettilineo da Piacenza, luogo molto ricco e  promettente, fino a Rimini… Non si finirebbe mai di decantare le meraviglie di questo triangolo che si disegna tra Imola, già romagnola, e Rimini e Ravenna, capitale quest’ultima dell’antico Impero bizantino… Questo triangolo esiste ancora.  Sulle sue coste  brillano a lungo, durante la notte, le voci di città dai nomi suggestivi come Imola, Faenza, Forlì, Forlimpopoli, Cesena, Rimini, Cesenatico, Cervia, Ravenna, Lugo, Bagnacavallo…

 A monte di questo triangolo  — che la nebbia avvolge in autunno e dove il calore s’installa senza muoversi per un’intera e interminabile estate  —, gli Appennini hanno un aspetto scosceso, talvolta minaccioso con quella alternanza di colline spoglie e di campagne simili a onde blu picchiettate di cipressi. Quando vi si sale – in auto o in moto, mentre  in passato vi si affanava un corriere titato da quattro cavalli — si è spesso  invitati a fermarsi, ad affacciarsi sui muretti per tentare di scorgere San Marino, o San Leo o Gradara, città fortificate collocate proprio in cima delle colline più aguzze e lontane. Tutto ciò fa paura e io credo che l’unicità della Romagna, il suo fascino sempre più avvincente, nasce dal contrasto tra questi mostri isolati e ben visibili e la popolazione invisibile, votata a questa terra… Da un lato, un potere minaccioso  — di uomini cattivi o di una natura talvolta temibile — , dall’altro lato un temperamento spontaneamente portato verso la vita.

Ma che differenza tra la Romagna e la Toscana ! In questa terra dove i confini non sono mai stati delle frontiere, la lingua è stata continuamente storpiata al passaggio dei numerosi invasori – provenienti da nord e da sud, ma anche dal mare, che non è mai stato un vero ostacolo – mentre l’accesso alla Toscana, circondata dalle montagne, era difeso a ovest da un mare sempre scosso dal vento, e,  a sud, dal Monte Amiata e dalle paludi malariche della Maremma.

Sia maledetta Ma-remma, Ma-remma/ Sia maledetta Maramma e chi l’ama./ L’uccello che ci va perde la penna/ Io ci ho perduto una persona cara…

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Foto : Collezione Fratelli Merloni. Riproduzione vietata

Ma, perché ho parlato della Toscana e alla fine della Maremma ? Che cosa ha a che vedere con mio nonno Zvànin e quella cena ? C’è un legame, perché io situerei questo raduno nel novembre 1913. Questa tavola non unisce due sposi e i loro invitati. Non ci troviamo alla vigilia del matrimonio di Zvànin con Mimì, che ha avuto luogo proprio all’inizio del secolo. Infatti nel 1913 la sua primogenita ha già unidici anni, la secondogenita  ne ha otto e il più piccolo, quello che porta il nome di suo padre garibaldino, ne ha sei.

Basta guardare con un pò più di attenzione questa foto per accorgersi che in questa riunione, oltre i parenti stretti di Zvànin— sua madre Cleta, al suo fianco già sofferente (sarebbe morta tre anni dopo) ; sua cugina Luisa, di cui si percepisce appena il viso affiorante dall’ombra ; Maria, la sua cugina più giovane, seduta alla destra del marito, il notaio di Sogliano e tre altri abitanti della casa, in piedi davanti alla credenza —, ci sono altri due personaggi. Si tratta probabilmente del sindaco e del parroco che non nascondono la loro estraneità alla scena.

Che cosa succede, allora? Questa sera, sul far della notte, Zvànin è il figliol prodigo che rientra all’ovile. Dopo anni di battaglie accanite e di sforzi mentali non indifferenti, non potendo i socialisti in Romagna ottenere abbastanza voti, essendo molto forti i repubblicani, egli è stato  appena eletto  nel collegio di Siena-Arezzo-Grosseto, in Toscana…

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 24 mai 2013

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