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Al momento della mia partenza per Parigi, nel 2006, una mia cara amica, una françese di Bordeaux, Hélène J., si transferiva, piena di entusiasmo, in Italia. Da allora, ogni tanto, ci scriviamo delle lunghe lettere un po’ strane, dove le nostre impressioni si incrociano, si mischiano e talvolta si scontrano, fortunatamente senza arrivare alla rottura.

Destini incrociati (per Hélène J.)

Hai visto, ad amare l’Italia
si affoga nelle parole
rozze e spietate.
Parole magari fatate, vellutate
scompagnate e zozze.

E’ un mondo di traslochi
e di giochi, hai visto.
Parole vocianti
di abitanti ambulanti
parole sottaciute
trinariciute, risapute
parole scanzonate
allineate appecoronate.

Sono anch’io per davvero
un italiano intero
balzano e sboccato
senza bocca e senza fiato
cui tocca parlar tacendo.

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Roma, piena del Tevere del novembre 2005

Hai visto, ci tocca
apparecchiare il mondo
di finta erba
rassegnati sederci
tra puzzolenti rifiuti
fingendo di mangiare
romanzi di marmellata
poesie all’arrabbiata
quadri invasi da foglie
in preda a velenose doglie.

Finché giunge un nuovo amore.

Mi basterebbe un piccolo
Progresso, un’aurea-e-mediocre
civiltà una sindacabile
giustizia una insindacabile
libertà.

Ringrazierei senza scongiuri
tutti questi che hanno lavorato
per noi, digiunato
per noi posteri accannati
facendosi scannare

Celebrerei con mille inchini
questi corpi evaporati
che hanno schiuso tunnel
di luce per noi ciechi.

Hai visto, Hélène
come è scesa in basso
la gratitudine : l’uomo collettivo
non è più faber
di cattedrali e di tomi.

E ora, ad amare l’Europa
incontinente continente
nudo alla mèta
un brivido corre
di freddo e di paura:
riusciremo a tenere a mente
e sotto braccio
la futura umanità
ideale
e internazionale?

L’Europa non è una passeggiata.

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Roma, via Boncompagni

I nuovi barbari dell’occidente
dimenticano i nostri ponti
sul Gard le nostre Gioconde
le nostre bighe d’oro
il sangue nei rivoli di pioggia
l’anonimo e glorioso
lavorìo dell’umano istinto
di conservazione.
E noi analfabetizzati
dimentichiamo Voltaire
mentre ingeriamo mansueti
pillole di tivú nostrana
velenosa alla mente.

Non parliamo più, tra noi.
Festosamente fummo partoriti
nel vino e nell’olio. Ben
presto ci siamo americanizzati
arabizzati, giapponesizzati
imburrati e fast mangiati.

Né siamo stati capaci
di trattenere tra le dita
questa vita inaudita. Siamo
troppi e di troppo
rassegnati, perfino entusiasti
di starcene ammassati
in babeliche città
devote alla rischiosa bellezza
di una vulcanica vita
sull’orlo di un vulcano.

Indecisi se intraprendere un nuovo amore.

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Viaggio in Francia, 1958

Hai visto, ad amare la Francia
si affoga nelle parole
fatate e vellutate.
Parole magari rozze, spietate
zozze e scompagnate.

E’ un mondo di intendenti
e di competenti, ho visto.
Parole sibilanti
di fascinose cantanti
parole concitate
gridate, confessate
parole rivoluzionate
precise, precisate.

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Blaye, vista sulla Gironda, 2006

Hai visto, ci tocca
appallottolarci
in una Géode di finta erba
rassegnati sederci
tra gli invisibili fili
fingendo di consultare
romanzi color patata
poesie sapor carota
quadri invasi da foglie
in preda alle doglie.

Si chiama Francia il nuovo amore.

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Bar Saint-Ex, Biscarrosse (Aquitania), 1998

Giovanni Merloni

TEXTE EN FRANÇAIS

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