Il mio primo «libro» in francese

Proprio ieri, 9 settembre, il giorno del compleanno di mia figlia, la posta mi ha consegnato un grazioso pacco contenente alcune copie del mio primo libro in lingua francese : « Poèmes d’avant l’amour », pubblicato dalle «Éditions des Poètes français». Sono perfettamente consapevole di quello che ciò significa. Ma sono tranquillo, fiducioso, contento di poter «trasmettere» qualche briciola di un discorso fin troppo lungo.

Giovanni Merloni

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Lo stesso entusiasmo distratto, 1975 (Ossidiana n. 58)

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Lo stesso entusiasmo distratto

Beninteso,
sono gli stessi luoghi
soggetti alla stessa ombra sorniona
con i loro vestiti da cerimonia,
con i loro sorrisi vuoti
indelebili sotto i lampi
di una stampa distratta
che sa già tutto, prima di arrivare.

Di certo,
altre fate
scherzose manipolatrici
bucheranno prima o poi
con le loro figurine carismatiche
quest’aria vecchiotta
quest’ombra cortigiana.

In questi luoghi
imbruttiti o abbelliti dal tempo
sarà sempre scolpita
la nostra voce zoppicante
ignara di vivere, pronta a morire
passando.

Ben volentieri
ci torno
anche se tu non lo farai.

Ben contenta,
tu acciufferai questo vento
anche se io non ci sarò.

Forse ogni pietra,
ogni cartello imbrattato
si ricorderà di me e di te
rivedendoci
intimamente avviluppati
nello stesso entusiasmo distratto.

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Hai un appuntamento “in centro”

Hai un appuntamento “in centro”
in una città con i negozi illuminati.
Ma c’è ancora il sole
e le mani calde
e il caldo nello stomaco
e i colori prima del tramonto
disegnano e invadono
come nebulose
le tue forme sonnolente
il tuo passo veloce
verso un punto lontano
verso di me.

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Fiorellino impigliato nella mia giacca

Fiorellino impigliato
nella mia giacca
conchiglia rosa
per i miei sassolini bianchi
ape regina
ape laboriosa
cicala vagabonda
mia carezza liberty
tra i sordi rumori
della vita violenta:
Ossidiana.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright

TESTO IN FRANCESE

Ho deciso di scriverti, 1975 (Ossidiana n. 57)

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Ho deciso di scriverti

Ho deciso
che non farò niente
per ricordarti
(tanto è inevitabile)
niente per dimenticarti
(tanto è impossibile).

Ho deciso
che chiuderò con cura
la porta definitiva
del silenzio
lasciando fuori
gli inutili bilanci
le vane elucubrazioni
su ciò che è stato
oppure
su tutto ciò che poteva
succedere
se fossimo nati biondi
come tu dici,
e più intelligenti
dotati di uno spirito libero
più perspicace e civile.

Ho deciso
che sarò forte
che non mi farò schiacciare
né mortificare
e lotterò ancora
per essere me stesso.
Lo farò per te
lo farò contro di te.

Ho deciso
che non smetterò
di guardare nella tua stanza
in mezzo al corridoio.

Certo, il mio sguardo
sarà obliquo
e il mio cuore scoppierà
vedendoti, di profilo,
intensa, pronta a esplodere.
Ma ho deciso
che, un giorno
racimolerò, te lo prometto
la forza
di rivolgerti la parola
lasciando libere
le mie frasi sghembe
di mescolarsi
alle tue folgorazioni
cupe, ogni volta
che avremo voglia
di parlare di quello che ci resta
in comune
dello strano destino dell’amore
di quanto resta in vita
nei nostri corpi dimenticati.

Ho deciso
che ogni giorno innaffierò
il fiore impetuoso
della tua assenza.

Ho deciso di spedirti
un telegramma
dicendoti che resterò solo
che non avrò più fretta
né precipitazione
che non sarò
come dici tu
pesante e maldestro,
che non mi butterò via
che mai, mai
ti tratterò male.

Ho deciso
che non crederò
ai tuoi ritorni di fiamma
né alla tua nostalgia
ritardataria
ma sarà sempre ingiusto
troppo duro per me
decidere di cancellare
d’un sol tratto di penna
il tuo nome,
perfino nel giorno
favoloso e lontano
che ti avrò dimenticata.

Giovanni Merloni

Il disegno e la poesia qui pubblicati sono protetti dal ©Copyright.

TESTO IN FRANCESE

Password : Prato

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Password : Prato

La notte scorsa, in mezzo a un sogno di ascensori che diventavano funicolari e di piastre urbane che si trasformavano in sotterranei a perdita d’occhio, mi sono detto, « PRATO », una parola capace di sprigionare, per me, la forza prodigiosa di dissolvere ogni bruttura ricacciandola sotto il cuscino.
Nel mio immaginario « PRATO » non è esattamente il « PRATONE » di cui parla Claudia Patuzzi nel suo ultimo romanzo inedito, « Non disturbare il mare ». Quando sogno un PRATO, infatti, io non muoio dalla voglia di assaggiarne tutte le erbacce né di graffiarmi le mani e i piedi al brusco contatto con le ortiche e le piante selvagge.
Il mio PRATO è un morbido tappeto ondulato, accogliente e ordinato come se ne incontrano per esempio sulle Dolomiti, all’altitudine di circa 1200 metri, lì dove comincia il bosco. Oppure una radura dove la luce ondeggia sospinta da una brezza leggera.
« Rotolarsi nei prati », ecco un piacere assoluto per me, lo stesso che « tuffarsi nella paglia o in uno specchio di mare blu ». Come « stendersi a terra » nella piazza del Campo di Siena o sui gradini del sagrato di San Petronio nel bel mezzo di piazza Maggiore a Bologna.
Che importa se nei prati dei miei ricordi innocenti ci si può imbattere nelle pozzanghere di escrementi e d’erba lasciate dalle vacche pascolanti ! Ci sarà sempre qualcuno che dirà « ecco l’oro dei campi »…
Dunque, se parlo di un Prato, è per fare allusione a un Prato verde. Una specie di antidoto poetico alle brutture del mondo : fino a quando l’uomo si manterrà capace di salvare e conservare « almeno i prati indispensabili », l’umanità resterà fuori da un vero pericolo…

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Ecco perché, nel 1994, quando creai la mia prima mail d’ufficio, io scelsi « prato » per la mia password.
Mi ero appena trasferito dall’assessorato ai Lavori pubblici a quello dell’Urbanistica. Mi avevano affidato la direzione dell’ufficio regionale che si occupava delle questioni urbanistiche del comune di Roma… Dalla vetrata del mio ufficio godevo della splendida veduta di un bellissimo Prato ondulato, in salita, costellato di pini e cipressi, curato alla perfezione, senza l’ombra di esseri umani e invece denso di animali visibili e invisibili. Questo prato faceva parte di un’area verde più vasta, che si ricollegava, più in là, all’immenso parco della via Appia Antica, principale « polmone verde » nel territorio a sud della capitale.
Mi recavo in questo ufficio attraversando Roma da nord-ovest a sud-est, quasi da un estremo all’altro : dalla Balduina a Tormarancia. Nel mio perenne stato di esaltazione e di stanchezza, questa traversata diventava ogni giorno di più un’avventura. La scoperta di ogni piccolo nuovo particolare — una scritta, un muro, un portone, un semaforo, un albero o un cespuglio aggredito dal gas delle macchine — mi obbligava a riflettere o, più spesso, a cercare una via di fuga.

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A nord ovest del parco di Tormarancia, i due edifici bianchi ospitavano nel 1994 gli uffici dell’Urbanistica della Regione Lazio
a Roma  

Non posso spiegare qui, oggi, la bellezza contraddittoria del quartiere di Tormarancia dove arrivavo, trafelato o indaffarato, al mio lavoro quotidiano. E non posso neppure fare un bilancio qualsiasi di quello che significavano per me, nell’insieme degli impegni da fronteggiare, le trasformazioni reali o invisibili che avvenivano sotto i miei occhi in questa particolarissima zona di Roma.
Non posso farlo, perché — su una mappa di Roma appropriata, aiutandomi con foto e un minimo di documentazione — dovrei spiegare fino in fondo le mie affermazioni e i miei sentimenti. Avrei dovuto raccogliere tutto ciò è conservarlo all’epoca del mio impegno di allora, per ricavarne ora una sintesi che non fosse noiosa e per di più incompleta.
Non l’ho fatto. Nel 1994 mi sono calato nella realtà politica e amministrativa di Roma senza spogliarmi del tutto della mentalità e dell’esperienza che avevo acquisito durante gli anni di Bologna. Pur facendo dei notevoli sforzi, non ne ho forse fatti abbastanza. D’altronde, era molto difficile agire in un contesto che non condivideva le mie stesse idee e convinzioni.
Durante i miei cinque anni di permanenza all’urbanistica sono stato sempre trattato con fiducia e rispetto. Ho potuto così avere la soddisfazione di qualche piccolo risultato, senza dover rinunciare ai miei principi e alla mia visione delle cose. Ma, indubbiamente, non ho mai avuto la possibilità di esprimere il mio punto di vista se non sotto forma di proposte corrette e di calorosi suggerimenti, condivisi peraltro da una minoranza molto esigua di persone sensibili.
Non si trattava di incapacità di questo o di quello. Avevo soprattutto a che fare con l’impotenza o la mancanza di volontà di andare fino in fondo e, soprattutto, di stabilire nuove regole più coerenti e vantaggiose per la collettività.
Non era dunque questione di persone. Di gente onesta e bene intenzionata ce n’era, questo è sicuro. A cominciare dal mio ultimo assessore all’urbanistica, l’unica persona al mondo che poteva assumersi la decisione di affidarmi la direzione, per due anni, dell’intero settore della pianificazione dei comuni del Lazio.
Roma avrebbe potuto e dovuto, più di tutte le altre città d’Europa, trarre vantaggio da una più rigorosa e lungimirante amministrazione delle sue immense risorse naturali e culturali. Ma non ha voluto e ha invece impedito, con ogni mezzo, che si facesse seriamente alcunché, che ci si mettesse al lavoro con la necessaria continuità…

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Quando mi sono svegliato dalle peripezie verbali del mio « incubo urbanistico », la parola PRATO si era volatilizzata. Con questa parola era anche sparita la gigantesca facciata degli uffici di via del Giorgione, lo stesso palazzo dove Elio Pétri aveva girato «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto» con il grande Gian Maria Volontè.
Aprendo Twitter, mi sono subito collegato con una persona che stimo: Laurence. Oltre a rilanciare ogni giorno espressioni e riflessioni piene di attualità di poeti e filosofi straordinari, Laurence « appende » al suo muro alcune frasi particolarmente efficaci e profonde. Stamattina, vi ho letto :

« … a volte, all’improvviso, resto stupefatto e ho l’impressione di essere solo ad accorgermi della stranezza di tutto ciò che ci circonda. »

Questa frase di Lambert Schlechter, uno scrittore lussemburghese molto acuto, esprime perfettamente lo stato d’animo che avevo al mio risveglio. Quante volte avevo colto questa « stranezza », provando a sensibilizzare il maggior numero di persone possibile, con la dovuta energia e insistenza! Nessuno ascolta nessuno, forse…
Oggi, leggendomi, voi avete sicuramente notato quale imbarazzo si produce in me quando inizio un sondaggio qualsiasi su questo momento cruciale della mia vita. Il fatto è che è difficile spiegare (anche a me stesso) per quale ragione avevo allora bisogno di sognare un Prato verde ! E come rimasi sorpreso, perfino interdetto, trovandolo là, a disposizione dei miei occhi per tutto il tempo che potessi desiderare, proprio là, nel luogo dove le contraddizioni dei nostri destini urbani e umani raggiungevano la punta massima della loro attualità e frequenza!
Questo spettacolo era riservato alle finestre orientate a sud-est, mentre tutte le altre dovevano scontrarsi ogni giorno con la banalità di una strada priva di fascino e gli scherzi di un traffico anonimo.
Ora capisco che questo prato verde, beatamente steso sotto i miei occhi in tutta la sua meravigliosa realtà, io non lo guardavo mai, non lo vedevo nemmeno. Né vedevo le piccole sfumature prodotte dalle innumerevole trasformazioni del cielo. Se mi affacciavo alla vetrata, non vedevo che questa Roma inafferrabile e indomabile, con i suoi Alti e Bassi, con i suoi abitanti per lo più rassegnati e contenti, soddisfatti del loro provvisorio benessere e perfino convinti di avere afferrato l’intimo sapore dell’esistenza. Assicurarsi questo benessere, questa vita « a parte e da parte ». Forse tutte queste persone che passeggiavano, indaffarate, sul marciapiedi alle mie spalle, avevano anche loro un Prato privato nelle loro teste. O invece nei loro computers. Un Prato passe-partout, per aprirsi al mondo oppure per chiudere a doppia mandata il mondo fuori da casa loro.

Giovanni Merloni

TESTO IN FRANCESE

Tu sei tutte le donne, 8 marzo 1975 (Ossidiana n. 56)

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Sauve (Gard), estate 2015

Tu sei tutte le donne

Tu sei tutte le donne
che abbracciano le mimose nella neve
e corrono incontro al vetro gelato
di una democrazia zoppa
infrangendo il muro
del consenso prefabbricato.

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Sauve (Gard), estate 2015

Tu sei la donna nuova
che ha vomitato il conformismo
tra gli stracci in disuso
della retorica emarginata.

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Sauve (Gard), estate 2015

Tu sei la quintessenza
della saggezza indiana
tu sei una strega
leggera e maestosa.

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Sauve (Gard), estate 2015

Paladina incruenta
della distruzione del recinto
sei pronta all’attacco
contro le abitudini
che non ci fanno cambiare.
 

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Sauve (Gard), estate 2015

Tu sei un graffio
sulla pelle abbronzata, un sorriso
nel viluppo di trasparenze colorate.
 

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Sauve (Gard), estate 2015

Tu sei l’ebbrezza,
la passione straniera,
la nitida forma,
il deciso suono
di un nuovo rito
o di un mondo
di strane parole, che forse
sto imparando a capire.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright

Andirivieni (Zazie n. 32)

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Cascate della Cèze (Gard) 

Andirivieni

I
Avvilito
Nel corpo, appesantito
Dall’assenza di una parola vera,
In mancanza di nuovi pretesti
Rotola il suo piede sul filo dell’acqua.
In lungo e in largo
Va e viene
Inquieto, incerto, inadeguato
Esagitato dallo scandalo,
Non sapendo più come
Impedire il ritorno della verità.

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Cascate della Cèze (Gard)

II
Asfissiato
Nella mente, annientato
Dall’evidenza di una sola parola viva,
In mancanza della pagina bianca
Rompe il suo gesto sul bordo dell’acqua.
In alto e in basso
Va e viene
Inafferrabile, indomito, incoerente
Elegante malgrado gli occhi stanchi
Non sapendo più come
Imbastire l’abito di una vera voglia.

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La Cèze (Gard)

III
Affranto
Nel cuore, ammaliato
Dal ricordo di una sola parola vera
In cerca d’oblio senza saggezza
Rivolta la sua ombra nel ruscello d’acqua.
In su e in giù
Va e viene
Immobile, inetto, illusorio
Entusiasta fino ai sandali
Non sapendo più come
Immortalare la vita.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright.

TESTO IN FRANCESE

 

In questi giorni, 1975 (Ossidiana n. 55)

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Flash-back senza spiegazioni ?

Non so ancora abituarmi all’idea che ci saranno delle vacanze. Brevi o lunghe, non saprei dire se quattordici giorni di assenza sono pochi o molti. Queste vacanze nel sud della Francia saranno in ogni caso un tempo diverso, fuori dalle connessioni, lontano dalla mia torretta dove tutto sembra  facile e accessibile.
In questo tempo, dunque fino al 16 agosto, coloro che si affacceranno sul «ritratto incosciente» troveranno immancabilmente questa poesia in versi liberi, a volte molto vicini alla prosa. Ancora una volta una poesia risuscitata, tirata fuori da un cassetto recalcitrante e polveroso. Ricordi di altre vacanze, un breve soggiorno a Roma venendo da Bologna risalente a circa quarant’anni fa. Da ciò scaturisce una specie di punto interrogativo a cui voglio dedicarmi nei prossimi giorni: «È opportuno e corretto ritornare con una simile insistenza su un passato ormai risucchiato dal tempo; su due personaggi, un uomo e una donna, che non ci si ritroverebbero più, avendo ormai traversato una intera vita in mondi lontani, cambiati a diverse velocità l’uno dall’altro ? E questa narrazione incoerente, questa assenza totale di spiegazioni storiche, sono poi conformi all’idea, largamente condivisa tra i lettori, secondo cui la nostra vita è un teatro ?»
«E, pure ammettendo che il personaggio narrante, divenuto oggi vecchio e inutile, abbia vissuto, nella sua età migliore, più di una vita, perché non fornisce la spiegazione di ognuna di esse ?»
Dentro di me, ho dei forti dubbi. Alla vigilia di ogni pubblicazione, ho sempre paura che l’equilibrio precario di questa « relazione pericolosa » con il passato – basata su una sequela di flash-back senza spiegazioni – precipiti da un momento all’altro, trascinando con sé l’idea stessa della poesia, la sua forza, il suo senso. Fortunatamente, il giorno dopo c’è sempre qualcuno che trova in una parola o in una frase un’eco alle proprie gioie e dolori accumulati…

Vi spedirò, di tanto in tanto, qualche cartolina senza affrancatura, per mandarvi un saluto…
Per le nuove letture, arrivederci lunedì 17 agosto ! Ciao !
G.M.

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Due fratelli, Lello e Lellina (mio padre e mia zia), Roma 1925

In questi giorni

In questi giorni
come un deportato
in un’isola felice
sono distratto
dai sorrisi delle donne
dalle collane colorate
e quasi con piacere
consumo il buffo
andirivieni del tempo
i preparativi lunghi e gioiosi
per la vita o la morte.

Ritornando alla casa paterna
dove venivo « mostrato »
timido, curioso
vestito bene
osservo
come un bimbo malato
il rituale della festa
lo scoppiare delle voci
le corse per i corridoi.

In questi giorni
com’è difficile
pensare alle donne che amo
al loro profumo, alle loro risa
ai nascondigli di legno e paglia
di un amore adulto.

Ricordandomi di te
mi barcameno
nel buio di piombo
di sentieri invisibili
di gesti rallentati
di parole misurate
che parlano poco
delle nostre
due vite.

Ritrovare le nostre voci
soffocate
diventa un gioco
del gatto col topo
una gara dura
una lotteria
come dipanare un nodo di corde
col vento di sabbia negli occhi
e il vino nello stomaco.

Dobbiamo sperare
dopo le feste
di essere ancora felici.

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Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright.

TESTO IN FRANCESE

La tua lunga sciarpa di parole, 1975 (Ossidiana n. 54)

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001_lumineuse - copieLa tua lunga sciarpa di parole

Corre, fugge, si rintana
tra colonne di mille colori
poi di colpo si arresta
la tua lunga sciarpa di parole
la tua delicata, discreta
inesauribile saggezza.

Congeli l’aria e la disegni
intorno a te
come una nicchia.

Sembri arroccata
ma stai sgominando
le truppe nemiche
a cavallo di una gazzella
o di una velocissima parola
di ribellione.

Sembri svanire
come un vestito da viaggio
rimpicciolendoti
come una cartolina
disgregandoti
come un saluto
e invece ti ricomponi
tutta intera
sulle stuoie delle mie braccia
spensierate come i tappeti dorati
di un indomito eroe
sconfitto.

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Giovanni Merloni

Questa poesie è protetta dal ©Copyright

Mi manca la donzelletta (Roma, 2005)

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Giovanni Merloni, La chimera gialla, 2015

Mi manca la donzelletta (1)

Mi manca la donzelletta
nata in provetta
che si arrangia poveretta
a fare la staffetta
tra il discount e la stanzetta.

Chissà dove si è chiusa
la povera illusa
discendente del fabbro.
Per sembrare una musa
ha dipinto il suo labbro
ma il rosso l’ha delusa.

Mi manca il dì di festa
il girotondo della testa
e una donna indigesta
che feroce mi contesta
nella giornata disonesta.

Nessuno si accorge della sera che cala.

Mi manca il villaggio
lasciato in quel viaggio
che fu solo un assaggio
un tardivo volantinaggio
traversato da un raggio.

La piazzuola è un buco nero
e i ragazzi sono in rotta
nella casa malridotta.

Nessuno si accorge delle amanti
che nel giorno per loro sgradito
deluse ritornano al trito e ritrito
loro marito.

Nessuno si accorge degli amanti
che con arie incostanti
si fingono ambulanti
perfino importanti.

Mi manca ogni sabato
questo villaggio informe
dove di rado si dorme
tu pescatrice io pescato
in un acquario informe.

Giovanni Merloni

(1) Piccola dissacrazione de « Il sabato del villaggio » di Giacomo Leopardi (1798-1837) e della sua città natale, Recanati, dove si può visitare il palazzo-museo dove il Poeta abitò.

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Tra un attimo parto, 1975 (Ossidiana n. 53)

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Giovanni Merloni, Entrate e uscite, gouache 2015

Tra un attimo parto

Tra un attimo parto.

Nella tasca scucita
mi porto via
il mio amore serio
il mio amore goffo
il mio amore difficile
per una donna
bellissima.

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In un’altra città

Trovarsi a perdere il tempo
in un’altra città
seduto in un angolo trafficato.

Ogni tanto alzare gli occhi
riconoscere nei passi
negli sguardi
intenti a pensare
le proprie giornate
la vita identica
per tutti
repressiva e piena di sogni
per tutti.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright.