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Figlio, figlio (1993)
Figlio figlio
amoroso giglio
un’onda di schiuma gialla
mi annega e mi lega
i capelli e gli occhi;
un blocco di cemento
tra gli squali
mi trattiene e mi rivolta
verso il fondo.
Rassegnato mi arrovello
nell’impossibile decifrazione
di parole a ritroso.
Figlio figlio
mi aspetti spensierato
lassù sul molo di legno.
Addirittura fumando
masticando, sputando.
Ma sei proprio tu? Figlio mio
ambulante senza collane
piccolo Gobetti senza libri
sottobraccio.
Mentre io affogo
tu appena galleggi.
Figlio figlio
il sole ti ha regalato un sorriso
e anche tu hai ostentato
il labbro tremante
i denti bianchi
lo sguardo attento.
Una enorme prua di ferro
ha spezzato le mie catene
troppo tardi forse.
Troppo presto affioro
semimorto paonazzo
gonfio tra le ossa e il vestito.
Figlio figlio
mi portano con leggerezza
in un angolo sabbioso asciutto
dove è arrivato chissacome
il profumo di barche
delle vacanze, il ricordo
delle nostre dolci e goffe
passeggiate. Una canzone
ci carezza le ciglia
un improvviso sollievo
ci riempie le tasche
una piccolissima parola
ci ha salvato ora
si prende cura di noi.
La vita per noi
è un duro esercizio
un laborioso assedio
a roccaforti ben munite
è l’immenso sforzo
per cavarcela
dopo insopportabili
e incomprensibili
giorni di festa.
É il probabile rischio
di essere depredati denudati
rigettati indietro
oltre il bianco orizzonte.
Figlio figlio
però ci sorregge
l’affannosa rincorsa
verso isole leggere
lambite dal lento
materno sciacquìo
di un mare d’autunno
la bruciante rimossa attesa
di un invito al ballo
tra corpi ombre musiche
e viscerali silenzi.
Schiacciato rinnegato
vorrebbe rivelarsi
un disperato grido di rabbia
un gesto estremo
un geometrico balzo
che stracci i mille strati
di stoffa i mille vestiti
messi e smessi
rammendati ereditati educati silenziosi.
Ma sopportiamo la consapevolezza
forse eroica di dovere
affrontare
dopo i fuochi d’artificio
i rimproveri
dopo le goffe cadute
le minacce d’abbandono
dopo le esagerate parole
il ricorrente destino di umilianti
purgatori
fuori, al buio
dentro una inospitale
brutta e angusta
stanza di periferia.
Figlio figlio
senza altre incertezze
gettiamoci, insieme
di nuovo
in questo mare di saliva
di vomito e plastica.
Oltre quella scorza rivoltante
potrebbero svolgersi
azzurrissime distese
silenziose sirene
grotte verdi e rosa
in cui soffiare.
Figlio figlio
amoroso giglio
chi va a fondo può risalire
chi soffre avviluppato alle coperte
può almeno decifrare
i misteriosi segni sul muro
chi giace immobile confuso
può lentamente riprendere
a camminare
nelle cupe e leggere
linee della mente
graziosamente
uccidendo il tempo
con ostinata
dolcezza.
E riprendere a contare senza sosta
deux et deux quatre
quatre et quatre huit
huit et huit font seize
purché si riescano a eludere
i fastidiosi ragionamenti
i pomposi inganni i prevaricanti
squallori.
Con passo militare
con strisciante movenza di pantera
con traballante andamento di lumaca
con occhi stralunati orecchie
tappate, naso che gronda
moccio e sangue,
attenti a non inciampare
andiamo avanti, indietro
lungo un cerchio
un’ellisse
una spirale
ripetendo, quasi per gioco
la dolce-ossessiva
cantilena
della vita.
Figlio figlio
imparerò a tacere
a rispondere solo se
interrogato.
Con improvvisato coraggio
eserciterò il mestiere di padre
e lascerò scivolare
questi bianchi fogli moribondi
tra mani ferme e tremanti.
E lascerò che tu cresca che tu
diventi uomo, senza oppormi,
con sorridente rassegnazione,
figlio mio.
Giovanni Merloni
écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première et Dernière modification 3 août 2014
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