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il ritratto incosciente

~ ritratti di persone e paesaggi del mondo

il ritratto incosciente

Archives Mensuelles: janvier 2013

Africa, 1973 (Stella n. 1)

20 dimanche Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Stella

01_avalanches002 n&r

Africa

Al di là di molta schiuma
la prua di ferro
annegata tra gli squali e i gabbiani
risucchiati dal vortice della fretta dei nodi
al di là di molti fondi marini
fluttuanti di genti sconosciute
di bagnanti agili e leggere
sorge bianco, salgariano trionfo
un sottile molo di cemento
un via vai di gente lungo la passerella
una montagna di valige
e il motore acceso
tra i negozi di frutta.

02_africollage x avalanches_part_giallo

Scivolerai attenta
a ogni uomo, a ogni vestito
appuntando nella memoria
la sorpresa davanti
all’improvvisa realtà delle cose
scrivendo di corsa
lo stupore di un andare-e-venire
del tutto abituale
tra la gente d’Africa
tra i colori e i rumori
tra i fumi di droga
e i soffi di polvere e vento.
Chiuderai gli occhi
per fotografare
quello che non riesci a vedere;
riaprirai gli occhi
per dichiararti felice;
oppure inciamperai, cadendo a capofitto
nel mare gonfio del porto
(ti salverai? morirai? ti porteranno via
bianca sopra le teste?);
mai lo saprò – perché non ci sarò.

03_africollage x avalanches_part_celeste

Dentro un polverone
di sabbia e carta
sta partendo un gigantesco circo su due ruote.
È un cavallo nero e rosso
scalcinato e solitario
che corre, impaurito
tra gli alberi piegati dal vento.
Semiaddormentata ti posi
sulla spalla nera di cuoio
e inghiotti acqua sole vento
insieme alla strana voce
che ronza senza farsi capire:
«Non partire… aspettami!
Vedi? mi butto giù per le scale
per venire a prenderti…»
Ti distendi rassegnata
sulla sella araba
al ritmo pigro del deserto;
il tuo sguardo socchiuso accarezza
le facce nere di sole
che camminano ai lati
della pista africana. D’un tratto
riconosci i miei capelli
il mio naso, la curva pensosa e claudicante
del mio solitario destino.

04_africollage x avalanches_part_viola

Sei ancora in Italia
sulla strada che va a sud
in mezzo alla pianura senza colori
unica ombra il bolide
piegato sull’asfalto
sola varietà i due caschi
che sembrano parlare
delicatamente animatamente
o – tragicamente – tacere.
Quanto deve durare
il mio smarrimento?
in quale momento reale
scenderai da cavallo?
a che ora, accaldata
uscirai dalla tuta
come Venere dalla conchiglia?
Quando, moglie di un altro
figlia di un altro
madre di un altro
ti presenterai (nuda e spiritosa)
davanti al mio schermo?
A che ora vogliamo fissare
il nostro rendevù mentale?

05_africollage x avalanches_part

All’ora ics partirai davvero
spezzando le linee del cielo
a distanza sentirò uno strappo:
il fantasma ingombrante
cadrà dalla moto
ma subito si rialzerà
spolverandosi le vesti:
solo qualche ammaccatura
per i nostri sogni
(ma tre volte ti saluterò
tre volte ti ridarò
l’abbraccio rubato
tre volte, delizia del passato
emigrerà dal mio corpo sfiatato
un sospiro disperato).

06_avalanches001 n&b

Mi lascerai solo
ma anche tu sarai sola
rivolgerai gli occhi a terra
pensando di trovare
tra le ombre svolazzanti
il mio nome: un biglietto
sgualcito, uno sbaffo di colore
un piccolo gesto.
Come saranno vuote le parole
rimbombanti nelle gallerie
dilatate nel fuoco fatuo dei miraggi
polverizzate dalle ali grigie
dell’aereo africano.
Mi lascerai una voluminosa speranza
da consumare lentamente
ma sarà insistente, sgarbato
il tarlo che fa disperare:
partirai con l’uomo di legno
ma io costruirò
con palline di zucchero e vetro
un monte e un castello
dove terrò nascosto
il mio pensiero dominante.
Curato e spento, ma cordiale
uscirò vestito di bianco
e camminerò a lungo
su e giù per il marciapiede
di una stazione di noia.
In quel tempo sprecato
con l’avidità di un malato di fame
strapperò uno a uno i giorni
che tu mangerai lentamente
su un alto sgabello davanti
a un lungo bancone africano.

07_africollage x avalanches

Sei arrivata in Africa
e già ti rinchiudi
in un angolo di buio
cercando di afferrare
tra i bagliori e i fumi
i tamburi lontani.
Ma Bologna non ha
voce, riesce soltanto
tra sforzi generosi
a lanciare striminziti
cenni delle mani.
Anche io non son buono
a parlare. Con la testa
tra le dita, gemendo
rincorro la tua ombra
che appare e scompare, trovando
sotto i portici l’Africa
oltre gli argini l’Africa
tra le bocce perse
e i militi ignoti l’Africa.

Ieri sei già tornata
colpita (gravemente, duramente)
dal mal d’Africa, incerta
(visibilmente, crudelmente)
sul da farsi.
Non mi hai raccontato niente
anche se, distratta e petulante
hai srotolato un ispido tappeto
arcaico, colorato
fumante di misteri
e di ansia presente.

L’Africa ti ha riportato qui
in carne e ossa, a passeggio
tra parapetti di pietra
e vecchi portoni
libera di guardare, invidiosa,
le persiane accostate,
le tendine bianche
padrona di ostentare
finto fastidio e modesta sorpresa
di fronte all’agile chiave
che apre e richiude la porta.
Una nuova voglia di vivere
malata d’Africa
(imbarazzata felice e dolorosa)
ci fa rotolare
in un’indifferente striscia
di sabbia d’oro.
Chissà se l’Africa che io ti racconto
è davvero più vera
della Bologna rossa dei tetti
e dei quieti rumori che forse
avevi dimenticato.

Giovanni Merloni

TEXTE EN FRANÇAIS   

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Sto fermo, 1976 (Ossidiana n. 7)

19 samedi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ossidiana

sto fermo 72

Sto fermo

Sto fermo.
Abbandonato ai gesti consentiti
ridisegno le pensiline bianche
il mosaico di volti di calce
di scoloriti ruscelli celesti.

Sto fermo, sguarnito
senza più le armi di cartone
la corazza di cuoio
l’elmo di plastica
il bavero di merletto
senza più
la fascinosa peripezia
di un labirinto
tra le nuvole dell’incoscienza.

Sto fermo
su una spiaggia sicura
dove tramonta, dove albeggia
dove i tuoi occhi
spuntano come ossi bianchi
dalla morte verde azzurra del mare.

Sto fermo
davanti ai duecento film
dell’allegoria, del coraggio
dello smascheramento
del tu per tu
dei rumori citati
degli abbracci, dei saluti.

Sto fermo, tra i fratelli
il nostro corpo bianco
la serpeggiante noia
la piacevolissima angoscia
del vento, di Roma.

Sto fermo
ritrovato, fragile ma vivo.
La fantasia di nuovi gesti mi porta
molto vicino
a quello stupore dei gelati
a quella gara eccitata
delle parole
e anche da solo
con buffa temerarietà
disarmato, felice
potrò nuovamente
accedere al mondo kitch
dei benevoli sorrisi
dei rituali, dei conformismi
al mondo grigio e giallo di una lotta
caldeggiata e osteggiata dal sole.

Sto fermo
senza futuro dentro la vita.

Giovanni Merloni

je ne bouge pas bis_19.01.2013

TESTO IN FRANCESE 

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Incomincia quasi l’estate (Ossidiana n. 6)

18 vendredi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ossidiana

Incomincia quasi l’estate

Sul canale inquinato
galleggiano le mie gambe, le mie braccia;
dentro la sabbia ho scavato a morsi
un tunnel di pensieri
e la solitudine si è trovata stretta
in una morsa di voci,
di racconti, di spalle nude
appoggiate ai muri di legno.

Incomincia quasi l’estate
e somiglia a un glicine acerbo,
agli stucchevoli ricordi
di dolcezze spietate,
a una vecchia signora distinta
davanti al panorama di Roma.

Incomincia quasi l’estate
con il fumo e il sapore di paglia
di una sigaretta:
tra le labbra asciutte
rinascono l’euforia
di una rovinosa trasgressione
e l’entusiasmo pigro
di una passeggiata frustata dal sole.

Incomincia un nuovo ritmo del corpo
una nuova abitudine al caldo, al freddo,
ai nomi di strade nuove
ma un tarlo di dubbi
addenta lo smalto
dei sorrisi dell’amore.

In un pomeriggio di nuvole nere
svaniscono
le mie energie di ex atleta
mentre i nostri corpi,
gonfi di angoscia, si addormentano
in un grande letto informe.

Incomincia un’altra estate
al di qua della vita
che ci porterà nuovi imbarazzi
nuovi tentennamenti e labirinti
di siepi infuocate.

Incomincia un nuovo giro
non un nuovo corso:
siamo più vecchi
ma ci facciamo dentiere nuove;
la vita ci ha cambiati
ma ci mettiamo le protesi
per nuove verginità;
mai abbiamo combattuto
in campo aperto, ma ci inventiamo
una gamba zoppa
un occhio di vetro
un sedere di gomma.

Incomincia quasi l’estate
e traverseremo il suo brulicante deserto
per sederci sul parapetto di pietra
dove imiteremo la carnagione degli altri
e l’onda dei loro sorrisi.

Incomincia un nuovo rompicapo
per procrastinare la vita
seduti contro il vento del mare.


Incomincia l’altalena di stoffa
tra la schiuma della notte
e le voci di un nuovo giardino
dove disperata e violenta
un’altra estate incomincia.

Giovanni Merloni

Incomincia quasi l’estate (versione precedente)

Incomincia quasi l’estate. Sul canale inquinato galleggiano le mie braccia, la mia testa di capelli; dentro la sabbia ho scavato a morsi un tunnel di pensieri e la solitudine si è trovata stretta in una morsa calda, ossessiva di corpi femminili, di strilli, di racconti assurdi, di spalle appoggiate a muri di legno.
Ho seguito il fumo di una sigaretta: il sapore di paglia, la bocca seccata restituiscono l’euforia di un dolore affascinante dello squallore pigro di una stagione beatamente frustata dal sole.

Incomincia quasi, l’estate, con te dentro, inghiottita senza respirare, senza peristalsi nel fondo gelato dello stomaco morto. Ora mi incammino nella vita minimale, ma anche qui gli scrosci delle risa, i gesti improvvisi, i capelli biondi, la violenza di voci nuove mi restituiscono lo strano benessere della pazienza. Certo ho sofferto altre volte così ho sempre sofferto e amato e urlato di gioia così.

Incomincia un nuovo rompicapo: tu dentro, io fuori, seduto contro il vento del mare a programmare la vita nell’alternanza ossessiva della voglia di incontrarti della paura di incontrarti.
Incomincia l’altalena di stoffa tra la schiuma della notte e le voci di amici conosciuti in una inattesa vacanza, in un complotto improvviso inventato insieme.

Incomincia un nuovo ritmo del corpo, dei gesti, del caldo, del freddo: ancora una volta il rammarico, la sterile coscienza di avere sfidato, l’ambiguità e il tempo; le mie energie di ex atleta, come tendini stracciati on un pomeriggio tardi di nuvole nere. Ancora una volta mi aggrappo al quotidiano, respingendo il passato, respingendo il futuro: è stato troppo eccessivo il distacco, troppo sanguinosa la passione, troppo letterale l’interpretazione dei tuoi gesti.
Incomincia quasi, l’estate, e tu fai fagotto. Buon viaggio: questa storia si è conclusa, polverizzata, mi hai conosciuto, consumato, perso; ognuno di noi ritorna alla sua velocità. È stato assai saggio dire che non si cambia tutti e due nello stesso modo.

Incomincia quasi l’estate, scrutiamo incerti, desolati l’anno millenovecentosettantasei: un tarlo di dubbi addenta lo smalto dei sorrisi dell’amore, rovescia i nostri occhi, i nostri corpi gonfi di angoscia sul complice letto di un mondo fino a ieri evitato, rifiutato.
Non abbiamo avuto il coraggio di sbagliare, di correre incontro al vento, di sentirci stanchi, esauriti, lividi, puzzolenti, nevrotici. La nostra vicenda resta sospesa come un glicine acerbo: non sarà mai una storia, non ci saranno litigi, gesti fastidiosi, rincorse, non ci sarà la memoria mia e tua; resta solo un racconto bello a tutti i costi come un gelato, una vecchia signora distinta davanti a un panorama di Roma.
Resterò con un pugno di mosche e un’eco di parole rimbombanti, pesanti nelle tempie, e solo stucchevoli ricordi di dolcezze spietate verso noi stessi.

Incomincia quasi l’estate, un’altra estate al di qua della vita, dentro un nuovo imbarazzo, una nuova angoscia, un nuovo labirinto ossessivo tra siepi infuocate; incomincia un nuovo giro; non un nuovo corso, a raccogliere con stupida cura quello che l’euforia eroica aveva gettato: siamo più vecchi, ma ci facciamo dentiere nuove, siamo più sterili, aridi, ma ci facciamo protesi per nuove verginità; non abbiamo mai combattuto in campo aperto, ma ci inventiamo una gamba zoppa, un occhio di vetro, un sedere di gomma.

Incomincia quasi l’estate e riusciremo a traversare il suo infuocato deserto, e riusciremo ad arrivare su quel parapetto di pietra, a sederci tra gli altri, a imitarne la carnagione, l’onda dei capelli.
Incomincia quasi, l’estate, con te dentro, inghiottita senza respirare, senza peristalsi, nel fondo gelato dello stomaco morto. 
Addio.

Giovanni Merloni

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Identità postuma

17 jeudi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Solidea

identité posthume

Identità postuma

La mia identità
nascosta in un mantello blu e viola
fende l’acqua appena mossa
di una laguna
di un mondo agitato dove
ti specchi anche tu
madre mai evocata
mai morta.

Da un grigio cornicione
il nonno Alfredo
il nonno magro
coi pantaloni e i risvolti non parla
ma non è veramente morto
si aggrappa rigido
alla mia giacca sgualcita
nel viaggio impossibile
a ritroso
verso una vita senza porte.
nonno alfredo 72 x blog

I capelli indomabili arruffati
l’occhio denso, penetrante. Lungo
transito di pazienza e lezioni infinitesimali
tra mezze tovaglie apparecchiate
bozze foglietti riciclati del ministero.
E’ ancora là
la casa di via Tagliamento
dove ora scavano distruggendo il giardino
scopando la piccola ghiaia
per sempre.

Una giovane zia mi prepara
pane burro e sale
l’altra, già vecchia
profila il grande naso contro
la scura copia dell’Annunciazione.
l'onda minacciosa 72
E tu unica madre corteggiata
madonna fiamminga e napoletana
il volto reclinato e pensoso
la leggera pappagorgia
l’irrefrenabile riso
ci raccogli ai tuoi piedi
per mano ci accompagni
sorseggiando finemente il tè
nella misteriosa gola di morte
di Roncisvalle. La morte
eroismo impossibile
incorporea battaglia sventolante
come nebbia sognante su un pingue vaso.

In penombra e mezza luce
il nonno severo e buono
sorride intanto ascoltando
o finge un gemito
nella poltrona, la faccia
nascosta dal giornale.

Ora sta scomparendo, in un’altra stanza
in un’altro ovattato definitivo silenzio.

Mia madre, anch’essa
non parla non ascolta. Piange.
Malinconica sparpagliando sul letto
le foto di Rodi
le piccole lettere del babbo
i mesti impossibili ricordi
delle amiche lontane o scomparse
e Venezia nuovamente allagata e dipinta
e la montagna. Perfino
la noiosa ripetitiva
vacanza in collina.

Tiene le braccia allargate
sul lenzuolo ordinato.
Oppure piegata legge
divorando altre storie
altri sogni incompiuti
tragici, dolci, affannosi.

Vestita di un sobrio tailleur
rimpiange di non aver mai visto
prima-di-morire
Aranjuez.

Giovanni Merloni

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première publication 17 janvier 2013 et Dernière modification 22 janvier 2013

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Un viaggio a piedi, 1975 (Ossidiana n. 5)

16 mercredi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ossidiana

viaggio x blog_def

Un viaggio a piedi

Un viaggio a piedi
da solo
per sentire solo il rumore dei passi
e il tonfo dei sassi sull’acqua
per contemplare le trincee diroccate
dove l’erba e l’ortica
confondono le forme dei morti.

Un viaggio a piedi
da solo
per ricordare
e cadere tramortito
per fare luce da dentro
al guscio di tartaruga
che mi porto addosso.

Un viaggio a piedi
verso la pianura
lungo il greto
di un fiume
invischiato di melma
con una borsa sulle spalle
e dentro libri noiosi
da aprire verso sera
nella ovattata pigrizia
di una baita
di fragole e sterpi.

Un viaggio tra monologhi di amici
riflessi in un mare lagunare
in città da ricordare
in facce da dimenticare
in ansie da reprimere
in urli di dolore
da regalare al vento.

Un viaggio intorno ad un letto sfatto
dove da un secolo
la polvere ha cancellato
l’amore.

Un cauto percorso di guerra
dentro un mondo estraneo
che osserva.

Una breve intensa battaglia
tra altri come me
a braccetto per lunghi viali di bandiere.

Un viaggio verso l’inutilità
che non fa chiarezza
verso la solitudine
che non tempra
perché tanto
una cosa vale l’altra.

Un viaggio a piedi
con le mie parole sottobraccio
dentro un labirinto
di luci e di insuccessi
in cui beatamente perdermi.
Addio.

Giovanni Merloni

De « Il treno della mente » (« Le train de l’esprit »), Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 — ISBN 88-86600-77-1

TESTO IN FRANCESE 

Questa poesia è protetta da ©Copyright

Ritratti incoscienti

15 mardi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in il ritratto incosciente

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via calabria x blog

Foto : Collezione Fratelli Merloni. Riproduzione vietata

Ritratti incoscienti

Ho da poco tempo avviato un nuovo ciclo di scrittura e lettura libera, che ancora non so bene come definire.
Ho tuttavia delle buone ragioni per dedicarmi a questa nuova esperienza, per quanto essa possa profilarsi vaga e terribile. Tra le queste ragioni c’è soprattutto la necessità, che non posso più rinviare, in qualità di scrittore e lettore allo stesso tempo, di prendere posizione nei confronti dei differenti partiti che si stanno formando sul tema della letteratura su supporto informatico.
A questa sfida senza precedenti si lega la constatazione che questa rivoluzione, per lo più positiva, rimette in discusssione il modo stesso di produrre la pagina scritta, virtuale o fisica che sia.
E sono ben consapevole che la questione non riguarda, se non marginalmente, l’abbandono di ogni sorta di matita, penna biro o di Olivetti lettera 22. Scrivo al computer dal 1985, ma vedo che questa rottura, che aveva già modificato, in profondità, ogni tipo di trasmissione di testi, documenti e immagini, coinvolge ora prepotentemente il mondo dei libri, producendo dei traumatismi tanto inevitabili quanto irreversibili in contesti particolarmente sensibili come la poesia e il romanzo.
Nell’immediato futuro ciò arrecherà una vera e propria mutazione nel modo di intendere la letteratura e i libri. Lo scrittore deve raccogliere dunque una sfida al suo stesso modo di esprimersi e di comunicare, che inevitabilmente investe la sua responsabilità estetica, morale e politica di fronte a tutto ciò che questo cambiamento porta con sé.
Appartengo alla generazione di quelli che avevano circa vent’anni nel 1968. Questo anno, in Italia come in Francia, non ha soltanto rappresentato una svolta nella visione dei costumi e della politica. Fu allora che si compì il primo passo verso la cosidetta globalizzazione.
Quell’anno là, soggettivamente, ognuno di quelli che, come me, erano a metà percorso universitario, si è trovato di punto in bianco costretto a rimettere tutto in discussione. Si trattava, certo, di fughe in avanti, di illusioni ed anche di megalomanie per cui si sono poi pagati dei prezzi enormi. Ma non c’è alcun dubbio che i nostri cervelli dovevano « farsi carico » di ripensare la vita a una velocità vertiginosa. A posteriori, abbiamo tutto il diritto di ricordare questa « epoca » come un momento di grande speranza e di diffusa e palpabile gioia di vivere.
Tuttavia, non si può dimenticare la sotterranea angoscia di fronte al vecchio mondo che crollava (seriamente e/o per finta). Al suo posto, un nuovo mondo di parole, di comportamenti e di regole sembrava prendesse il sopravvento. Una specie di « tabula rasa » si metteva in moto, condita di nuove parole d’ordine e nuove gerarchie di valori. Una vera e propria onda rivoluzionaria, ineluttabile e alla fine dei conti positiva, che però, al suo passaggio, ha travolto ogni cosa.
D’altronde non posso eviitare di raccontare che allora, nel maggio 1968, nella facoltà di Architettura occupata, osai prendere la parola per proporre quella che io chiamavo allora, certo ingenuamente, una «battaglia di retroguardia». Avevamo allora, forse, la possibilità reale di imporre alcune riforme, avevamo certamente la chance di migliorare i nostri piani di studio e il nostro inserimento successivo nel mondo del lavoro. Non potei nemmeno concludere il mio intervento : bisognava «avanzare nella lotta», transformare il «movimento studentesco» in «movimento politico».
Bisognerebbe inquadrare e analizzare meglio questa esperienza e l’episodio lontano che ho appena citato, in funzione di quello che è successo poi in Europa e nel mondo. Basterebbe ricordarsi : di Praga; del papa polacco; della caduta del muro di Berlino e del crollo del sistema sovietico; della vera o presunta crisi delle ideologie; del contrasto tra la globalizzazione e i nuovi separatismi; dell’indebolimento del principio di laicità in un numero crescente di nazioni; della crisi finanziaria, espressione evidente di una nuova forma di capitalismo senza fabbriche e senza uffici, eccetera.
Non è questo il fine di questo nuovo blog né, evidentemente, del suo titolo, «Il ritratto incosciente». Ma non voglio nascondermi «dietro un dito», come si diceva all’epoca di Marcuse e della «idéologie della felicità». Tutto è politica, e io non potrò sottrarmi, se necessario, a qualche giudizio politico e/o morale, magari implicito.
Mi sono avventurato in questo  «flash back», che spero mi si perdonerà, perché trovo ci sia una impressionnante somiglianza tra la «piccola» rivoluzione del 1968 e la grande mutazione cerebrale e fisica che le nuove tecnologie informatiche ci impongono oggi.
Ciò richiede a tutti coloro che si applicano alla scrittura e alla sua diffisione un’attenzione straordinaria, una disponibilità particolare per i diversi livelli, tempi, forme e formati dello sviluppo, produzione e riproduzione della scrittura stessa.
Fortunatamente, si possono incontrare dappertutto nel web — non solo in Francia, dove si riscontra una notevole attenzione ai cambiamenti prodotti dalla rivoluzione informatica — persone che se ne occupano da molto tempo e che sono piuttosto disponibili a trasferire a quelli che entrano in contatto con questa problematica, non solo ciò che hanno imparato, ma anche le loro preoccupazioni.
Considerando tutto ciò, non cederò alla tentazione di acquisire un’esperienza qualsivoglia in campi specialistici così vasti e complessi.
In questo blog in lingua italiana (http://ilritrattoincosciente.com), gemello dell’altro blog in lingua francese (http://leportraitinconscient.com), mi impegnerò in una « ricerca della misura », certo non facile. La ricerca, cioè, di un equilibrio esteticamente accettabile tra quello che  «può/potrà» lo scrittore e ciò che «vuole/vorrà» il lettore di oggi e di domani.
Mi esprimerò quindi, come preannuncia il titolo del blog, attraverso dei «ritratti». «Ritratti» che realizzerò all’insaputa dei personaggi coinvolti, che guarderò sempre al di là di uno specchio segreto. Là dietro, vi aspetto.

écrit ou proposé par : Giovanni Merloni. Première publication et Dernière modification 16 janvier 2013

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Vengo da lontano (Nuvola, 1971)

12 samedi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Nuvola

cible romain

Vengo da lontano (1971)

Vengo da lontano
da tanti cambiamenti
di identità
da tante storie che vi sembrano
fasulle, strane, decadenti.

Non ho avuto mai nulla di forte
tranne la voglia di amore
non ho avuto
non ho avuto
sono ricco della paura
della sensazione terrestre di essere solo al buio
al buio fondo spesso
colmo di odori infernali.
Ma poi ho persone anche care anche belle
intorno
il mio pessimismo è cosmico, inumano:
perchè non ho ragione.

Io non ho ragione ho torto.
Ho lo stesso voglia
di fare una gita
al mare con i bambini
di stendere una coperta e tacere
e parlare dell’aria, degli animali
degli odori naturali.
Ognuno di noi desidera essere lontano
ma per sentirsi lontano
basta stendersi tra la gente che parla
tra i figli che giocano agli indiani
lasciarsi coprire dagli avanzi della gita
lasciarsi urlare nell’orecchio da megere spietate.

Ognuno di noi ha un interruttore
per non sentire più
per volare alto
per pensare di non pensare
per credersi o ricredersi
per sognare o ricordare
per fare due più due senza sosta
perché siamo liberi
schiavi
liberi schiavi liberi schiavi.

Anche la morte
può essere una strada
per non sentire
rumori di sottofondo.
Gli altri ti guardano morto
hanno paura che ti possa muovere
che possa risuscitare
li impietrisci
non ti toccano non ti accettano
neanche così.
Ma almeno
adesso che chiudi gli occhi per essere solo
e gli altri ti guardano e ti odiano
e pensano magari che dai fastidio
adesso non ti importa niente di loro.
Adesso puoi uscire
dal tuo sarcofago
e fare a tutti
il misterioso regalo
di un sorriso.

Giovanni Merloni

De « Il treno della mente » (« Le train de l’esprit »), Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 — ISBN 88-86600-77-1

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Signora Rubens, 1975 (Ossidiana n. 4)

11 vendredi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Ossidiana

01_bis rubens

Signora Rubens

Signora Rubens
la terra è battuta dalla polvere rossa
il tuo corpo bianco
cade senza fretta, sfuggendo
con graziosi gesti di stizza
alle cure vischiose
di un’ostinata guardia carceraria.
Volando tendi le braccia
verso una nuvola di nebbia viola
discesa tra gli alberi.

Signora Chagall
ci teniamo per mano. In cordata ci caliamo
nella lugubre allegria di un vulcano.
Un invisibile alleato
con parole di fumo e di fuoco
ci interroga. Ci vuole trasformare,
e farci, da quaggiù, decifrare il sole.

Signora Renoir
sotto l’ombrello grigio e celeste
la tua camicetta si allaga di sudore.
Il vento vaga sulle tue ginocchia.
Le mimose seppelliscono le tue mani.
Le carezze della primavera
spiegazzano la grande gonna:
“Un lestofante che sa parlare
sa anche tacere. Un goffo artista che sa rubare
sa anche regalare”.

Signora Klimt
il tuo charme è perfettamente intonato
ai ricci scapigliati, alla tua imprevedibile calma,
ai tuoi prevedibili capricci.
Senza preavviso l’amore avvolge le cose
e imprigiona la felicità nel bavaglio
del lento, sicuro andirivieni del nostro abbraccio.

05_larionov 72002

Signora Larionov
ho prenotato due lune di plastica
e ho preparato un bagaglio di vimini
con dentro magiche conchiglie per i tuoi veli leggeri.
Mi sono nascosto dietro un obiettivo di cartone
e ti ho vista saltare, sorridente
in un caleidoscopio di colori
sparsi tra i vetri rotti del davanzale.

Signora Modigliani
ti ho portata con me, in città disegnate dal sole
ingombre di cappelli e gelati.
Le nostre ombre in fuga,
ritagliate sui muri di calce
guizzavano ubriache.
Che atroce verità
la vile e sordida tenerezza
delle nostre gambe intrecciate.

Signora Rembrandt
nel silenzio della ronda di giorno
affonda il rumore selvaggio dei nostri passi.
Nella nostra affumicata prigione
osservo spaesato
l’ineffabile bellezza del tuo collo
inghiottito dalla luce improvvisa.
E’ perfido il destino che induce
a disfare, come un maglione stretto
la matassa dei corpi aggrovigliati:
“Non lo sapevi che pensare è disgregare
che parlare è complicare?”

Signora Goya
una mantilla nera ti nasconde
svelando le spalle
il tuo profilo incurvato.
Già sei nel salotto della casa in disordine,
vestita e svestita
davanti al tutore comprensivo e infuriato.
A precipizio innalzi
un muro rosso e viola,
una saracinesca di vetri appuntiti
per le mie disastrose cornate.

Giovanni Merloni

De « Il treno della mente » (« Le train de l’esprit »), Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 — ISBN 88-86600-77-1

TESTO IN FRANCESE 

Questa poesia è protetta da ©Copyright

Cosa sei, cosa siamo, 1975 (Ossidiana n. 3)

10 jeudi Jan 2013

Posted by biscarrosse2012 in poesie

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Ossidiana

001_fresque archiwatch

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Cosa sei, cosa siamo

Cosa sei, cosa siamo
dietro i tuoi occhi di vetro
dietro la mia voce
di legno.

Cosa sei, cosa siamo
dietro questo corpo profumato,
dietro questa pelle rugiadosa.

002_casone archiwatch

Roma, piazza Verbano, foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Cosa sei, cosa siamo
dietro questa carica di passione
che trascina,
violenta, le nostre mani.

Cosa sei, cosa siamo
dietro il film delle nostre voci
dietro il ritmo insensato
dei rumori
di questi corpi che si mescolano
di queste anime che si parlano.

003_casa-carpione

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Cosa sei, cosa siamo
dietro le nostre mani sudate
i nostri vestiti spettinati
le nostre parole confuse
i nostri sospiri rivelatori
le nostre improvvise risate.

Cosa sei, cosa siamo
dietro questi urli alle stelle
dietro questa lotta impalpabile
dietro l’affannoso aggrapparsi
di due corpi sfuggenti.

004_ailanto-capitale

Foto di Giorgio Muratore, da Archiwatch

Cosa sei, cosa siamo
dietro al sapore di questa gioia
del tuo corpo nel mio
del mio corpo nel tuo
dietro al colore della noia
che ci aspetta al varco.

Cosa sei, cosa siamo
dietro questa telefonata
che ci fa gridare
dietro queste parole
che ci regalano
un’effimera gioia
un provvisorio mestiere
un indeciso dovere
una dura avventura.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta dal ©Copyright.

TESTO IN FRANCESE

Il treno come una rondine capofila (Luna, 1979)

07 lundi Jan 2013

Posted by giovannimerloni in poesie

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Luna

hirondelle_trattata def

Il treno come una rondine capofila (1979)

Il treno come una rondine capofila
sta portando la calzamaglia blu della notte
dentro l’aria diradata, senza profumi
dell’inverno.
Io mi immagino
di saltellare assecondando il gracchiante
o acuto o sibilante o cieco
rimbombo delle parole imprigionate
nel borsellino della mia gola.
Io e il tempo ci inganniamo
perché se questa costanza è figlia della pigrizia
se questa pigrizia è sorella del dolore
se questo dolore…
Il treno si sposta come una spirale
dentro una chiocciola di stucco
il graffito è come un piccolo fumo
sembra proprio che niente resti.
Mentre diventano
tenui bagliori, disordinate visioni
i mondi ricordati
le migliaia di situazioni perdute
con i loro colori
con i loro squallori, i loro entusiasmi
rivivo la cronaca, il mito
la sceneggiatura frammentaria, affannosa
del mio passato.
E rido stupito, eccitato
davanti al tempo squarciato
alla solitudine cercata
come un elegante vestito
o rimossa come un incubo ossessivo.
Il treno cammina, tagliando senza fatica
con andatura da ubriaco
il pallone di gomma ed acqua
del futuro.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta da ©Copyright

De « Il treno della mente » (« Le train de l’esprit »), Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 — ISBN 88-86600-77-1

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