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Canto di un pastore senza gregge
C’è una crepa nella roccia.
Io col mio bastone lungo e inutile
passo per quella fessura.
Dietro il bosco c’è quella pesante croce
di legno scolpito
e ai piedi di Cristo un gregge
va e viene uniforme, continuo.
Ho posato il mio bastone
su una pietra.
Ho raschiato il terreno
e ho seppellito i sassi
che avevo in tasca
col sacchetto del denaro
e quella bella lettera sigillata.
Ho seppellito tutto
poco sotto la superficie.
Ho creduto per un momento
alla mattina che viveva intorno.
I rami di questo platano flessuosi
carnosi
come tante braccia femminili:
– Perché sei nel deserto?
mi hanno chiesto.
Parlavano, quasi.
– Cerco il mio gregge.
Perché questi sentieri bianchi
e queste ore di dubbio?
Perché questo monte?
Perché Dio?
Ora le selve
inseguono l’eco del tramonto
le stelle e il mare
e si chinano
a spolverare un deserto
che non sarà mai senza polvere
per farlo tempio
e volano alte basse
disegnando
un silenzioso gesto di elevazione.
Lassù c’è Dio
tra quelle fronde
e tace
perché noi veneriamo solo chi tace
o urla possente
perché noi ubbidiamo solo a chi urla
con forza.
Il vecchio platano del parc Monceau a Parigi
Lassù c’è Dio
ma forse nemmeno mi guarda.
Lassù tra le foglie piccole piccole
e i rami
e i nidi degli uccelli.
Io sono qui senza quel Dio ubbidito
a seppellire sotto terra
le mie cose e poi me.
Giovanni Merloni
TESTO IN FRANCESE
Questa poesia è protetta da ©Copyright
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