Di che parlava, il film della tua vita ? (Caramella n. 3)

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Di che parlava, il film della tua vita ?

Caramella,
le lettere sono andate perdute. Scusami questa espressione « napoletana » per dire che il nostro epistolario è sparito. Come se non fosse mai esistito. Perché, se è vero che il disco rigido del tuo computer non dà più segni di vita, nel mio caso è successa una cosa ancora più grave e definitiva. Mi ero illuso che i nostri messaggi sarebbero stati eternamente conservati in quella specie di biblioteca virtuale dove andavo a cercarli. Ma avevo sottovalutato l’infernale meccanicità della macchina : sono bastati sei mesi di inattività… perché « quelli » mi cancellassero tutto! Mi sembra la tragica storia di mia sorella, a cui mancavano solo tre esami per laurearsi in giurisprudenza. Aveva passato tanti guai, si era ammalata… finché un giorno ricevette una lettera in cui le dissero piuttosto seccamente che ormai tutti gli esami che aveva fatto non valevano più un fico secco. Era come se non li avesse mai fatti… Ma anche noi, Caramella, nello scrigno spezzato della nostra corrispondenza avevamo riversato tante lacrime insanguinate…

Potrei decidermi a prendere l’aereo. Si tratta solo di due ore di volo, in fondo. Per di più, a Fiumicino, posso affittare una macchina… Mi darebbero, se gliela chiedessi, quella Nuova Fiat 500 che finora ho visto solo da fuori. Poi, dall’aeroporto, se ben mi ricordo, c’è la scorciatoia… di via della Scala! Una via lunga, abbastanza trafficata ma confortevole che costeggia lo specchio d’acqua esagonale dell’antico porto di Traiano, poi l’abitato di Isola Sacra, per attraversare alla fine il Tevere sull’ultimo ponte prima della foce…
Caramella, quante emozioni mi evoca la sola idea di questo viaggio da un aeroporto a un bivio! Ma ti devo confessare, se non fosse per la macchina a nolo e il timore di strusciarla contro qualche paracarro, che non resisterei all’imperioso richiamo della gita al Faro più squallido che si possa immaginare, o alle quattro casette sbilenche della via del passo della Sentinella… Questi soli nomi, pur attirandomi come una specie di calamita, mi fanno rabbrividire, riportandomi dei ricordi in cui la piccola gioia di essermi sentito vivo si fonde a un’angosciosa sensazione di pericolo. Genio e sregolatezza, terrore e attrazione, sotterranea paura e coraggio insensato… Passato il ponte, la strada diventa più anonima, fino all’Ostiense ovvero la « via del Mare ». Sarei ormai quasi arrivato a casa tua.

«Ho avuto molti problemi fisici e sono stata molto triste. Non mi sentivo all’altezza di raccontare niente che ti potesse interessare. Non avevo neppure più il mio habitat.: la bella scrivania di cristallo e bambù… la mia poltrona, dalla quale vedevo fuori la campagna. Avevo lasciato la mia villetta e mi ero trasferita nell’appartamento dove vivo tuttora. È carino, dentro, anche se piccolissimo, ma situato in un palazzo squallido…»

Arrivo, arrivo… Ma prima, permettimi di fare una piccola deviazione, devo correre a via dell’Idroscalo per fare una breve visita a Pasolini… Qui in Francia si parla tanto del suo genio straordinario… Se non colgo la palla al balzo, rischio di by-passare per sempre questo luogo così angosciosamente « pasoliniano », dove il grande regista-filosofo è morto quarant’anni fa. Eh sì, Caramella, è passato già tanto tempo da quella notte di cupi presagi che passò come un’ombra gelida in mezzo ai nostri entusiasmi. Nessuno aveva voluto credere al Tiresia contemporaneo che aveva capito tutto in anticipo, sulla sua pelle, mentre noi, nella nostra giovanile incoscienza, non sapevamo di essere così presuntuosi e astratti. Abbiamo voluto continuare a illuderci sulla capacità del nostro paese di uscire da solo dalle innumerevoli imboscate che lo facevano vivere in una eterna agonia. Niente mi sembra cambiato, in questa località che ho già visitato una volta : un luogo senza personalità dove si è consumato un efferato delitto, impunito, contro l’umanità. Ma vorrei lo stesso andarci, scendere un attimo dalla macchina nuova di zecca e… chiudere gli occhi per ascoltare le grida dei gabbiani in transito su questa via derelitta e risentire la voce stridente del poeta mentre scandisce una delle sue disperate ribellioni…

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Forse, in quel momento irripetibile, mi piomberebbero addosso, come in un film di Pasolini, le frammentarie visioni dell’acciottolato romano di Ostia antica, il silenzio dei pini contro il cielo spensierato… insieme a un’altra voce inascoltata, quella del mio amico Ascani. Chino ore e ore sul suo incredibile pachwork di foto aeree in fotocopia, Ascani aveva ricostruito pezzo per pezzo le tracce dell’antica città di Portus, che sorgeva lì vicino, oltre il vecchio Idroscalo, in un territorio che non esiste più, enormemente cambiato anche per il sensibile arretramento della linea costiera. Duemila anni fa, tra l’Isola Sacra e il mare, esisteva un’immensa Rotterdam donde partivano le temibili flotte dell’antica Roma… Ma nessuno ha mai voluto dare retta ad Ascani né esaminare qualcuna delle sue scoperte…
Caramella, tu forse sei gelosa di questa mia tendenza a rifugiarmi in digressioni e in giri viziosi da cui tornerò annichilito e stanco. Ma questi pensieri hanno dato uno scopo alla solitudine delle mie corvée su e giù per l’Italia, generando dentro di me questo mio tipico bisogno di raccogliere le sfide, anche quelle più difficili. Col tempo questa mia seconda natura è diventata una compagna di viaggio fin troppo esigente, ma sempre pronta a perdonare le mie fughe… Spero che mi perdonerai anche tu, quando busserò, un giorno, alla tua porta…

«I primi mesi, ogni volta che percorrevo il lungo corridoio che portava alla mia porta e finiva in fondo con una portafinestra con una tendina, piangevo. Sia nella vendita della vecchia che nell’acquisto della nuova casa, avevo avuto tanti problemi. C’è molta gente disonesta e quando si fanno dei cambiamenti si rischia di imbattersi in qualcuno che non si vorrebbe mai aver conosciuto, compresi i professionisti che ti assistono. E poi sono sola. Il cambiamento di zona mi aveva allontanato dai miei amici. La mia famiglia era ormai andata in pezzi. Nel 2011, anche la mia dolce cagnolina era morta

Ho bussato alla porta. Nel silenzio prolungato dell’attesa, vedevo Pasolini come un padre,  ucciso a tradimento da una masnada di figli ingrati, proprio come Cesare… quando la tua porta si è aperta da sola e ha preso a ruotare verso sinistra, rivelando un pavimento luminoso, un grande divano e, in fondo, una portafinestra dietro cui si indovinava un balcone. Schiacciata dietro la porta spalancata, trattenendo il respiro, aspettavi che entrassi e mi avvicinassi alla luce naturale.
— Siediti.
— Caramella…
— Lo vedi, è molto piccolo. Ma mi sto abituando.
Ricordo che abbiamo parlato delle lettere. Tu ne avevi conservata una, scritta da me nel febbraio 2011. La lettera parlava di Manacorda, il nostro amato professore di storia e filosofia… quello che ci sorprese mentre stavo abbottonandoti il grembiule.
— Ma quanti bottoni, Caramella!
— Un vero e proprio strazio, se si pensa che a quei tempi Catherine Spaak andava in giro in minigonna!
— Caramella, sono passati più di cinquant’anni… e tu continui a vagare nella mia testa…
— Solo nella testa?
— No, dappertutto… Ma la sabbia di Ostia è ancora nera?
— Sì, è nera, c’è il ferro!
— Trovo inquietante questa « cosa » che si incolla ai piedi, alle mani e finisce per cambiare il nostro aspetto!
— Invece… avevi replicato, questo lato selvaggio ci rende più umili e concreti. Nei film di Pasolini che tu ami tanto, non troverai mai la sabbiolina invisibile dei serial televisivi, ma la sabbia nera che abbiamo qui.
— Durante la mia lontana parentesi a Ostia, la sabbia nera, pesante e pungente, mi sembrava quasi scandalosa… Era la fine dell’estate del 1962, cominciata con la nostra famosa passeggiata nei prati di Villa Borghese… Tornando da Cesenatico, non ero andato subito a casa, ma avevo raggiunto qui mia madre e mia sorella.
— Ostia fu una delusione, vero?
— A Cesenatico avevo finalmente baciato una ragazza e, per mantenere il ricordo, avevo smesso di farmi la barba e di cambiare maglietta… Alla stazione di Cesena, mio padre mi aveva preso in giro, mentre mia madre, appena arrivato a Ostia, mi aveva portato dal barbiere.
— Ma tu ci sei venuto anche qualche altra volta, birichino che non sei altro! Sempre con tua madre e tua sorella… o con qualche altra donna ?
— Pochissime volte. Di corsa, in macchina, per allontanarmi un po’ da Roma, per assaporare l’ebbrezza dello sradicamento…
Avrei voluto parlarti della lentezza incredibile dei miei progressi, della mia graduale emancipazione attraverso i piccoli gesti della vita quotidiana, quando ero ancora molto lontano dai grandi gesti dell’amore. Quanto tempo ci avevo messo prima di trovare il coraggio di spezzare i cordoni che mi legavano come liane robuste o serpenti! Avrei voluto raccontarti che, durante l’ora di ginnastica, facendo comunella con due dei nostri compagni, Bodo e Cassetti, mi nascondevo negli spogliatoi in mezzo ai cappotti. Cassetti si puliva le scarpe con la sciarpa di qualche compagno distratto dalla palla a volo, Bodo leggeva un libro di Faulkner o di Steinbeck mentre io sgattaiolavo fuori dalla porta posteriore e, come un cospiratore — il cancello era sempre aperto —, uscivo dalla scuola. Ma non osavo andare oltre il nostro bar-chioschetto e l’annessa fontanella presso il glorioso platano dove si formavano sempre gruppi e capannelli. Solo una volta, tutti e tre, osammo spingerci, durante l’ora di ginnastica, fino al muretto che si affaccia sul Tevere in piazza delle Cinque Giornate!
Ironia della sorte… esattamente in quel punto là ti avevo incontrata, qualche anno dopo l’uscita dal liceo. Quel giorno tu eri con delle amiche, presa da un’animata discussione. Nonostante ciò, prima di lanciarti sul ponte in direzione del Ministero della Marina, tu mi regalasti uno smagliante sorriso che mi fece venire la pelle d’oca. Vedi, avevo dimenticato questo saluto fuggitivo e la benevolenza del tuo ultimo sguardo. Ma questo sorriso nella luce complice di Roma si perde, ormai, nella notte dei tempi. Ora…
A questo punto, levandomi la parola, tu hai detto, bruscamente: — stavamo parlando di Ostia, una piccola « colonia sprovvista di volontà propria » come tu dici… Ma davvero conosci questa « colonia » soltanto dal di fuori, superficialmente, come una pura e semplice cartolina? Devo crederti?
— Be’, se ci penso meglio… un ricordo affiora. Ed è piuttosto intenso. Alla fine di una passeggiata sul lungomare di Ostia con una persona che ti somigliava, insistevo per andare in un alberghetto che avevo adocchiato. Un posto anonimo, senza altro che una scritta sbilenca fatta con in neon blu. Seduti in macchina, lei mi rimproverò a lungo, dicendomi che con il mio amore assoluto, sconfinato e premuroso, non le lasciavo il tempo di prendere lei stessa un’iniziativa qualsiasi…
— Perché me ne parli ? dicesti.
— Perché anche poco fa, quando sono arrivato, avrei voluto abbracciarti come se fossi tornato dalla guerra. Ma mi sono imposto, come in quell’episodio che ti stavo raccontando, di calmarmi, di aspettare che tu ti abituassi a questa… sorpresa.
— Non mi sono abituata e non sono affatto tranquilla !
— Allora stiamo ancora un po’ qui, seduti in poltrona, senza dire una parola, aspettando che la tensione si calmi prima di stringerci affettuosamente la mano!
— Ma quella tua fuga, come è andata a finire ?
— Lei mi sgridò. Più insisti, mi disse, più mi chiudo nel mio guscio! Rassegnato, allargai le braccia, mi accasciai sul sedile e dissi: Va bene, hai vinto tu, andiamo via!
— Ma, subito dopo questa rinuncia clamorosa e definitiva, tu scendesti dalla macchina e ti avviasti verso il neon blu della scritta, vero?
— Come fai a saperlo?
— Io so tutto.

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Ora, da quest’altissima poltrona solitaria che mi riporta alla mia realtà, mentre osservo il mare dietro l’ala argentata del Boeing 707, cerco invano di ripercorrere i fili e i suoni di quel colloquio lunghissimo in cui, la mano nella mano, io e te eravamo riusciti a sconfiggere la banalità del tempo…
Guardando fuori dalla finestra come si fa quando ci si parla in macchina, come due vecchi-adolescenti, avevamo lasciato finalmente scorrere delle vere parole, insieme a vere lacrime di gioia, scoprendo che quelle lettere erano rimaste indelebili su una pellicola invisibile che scorreva davanti ai nostri occhi, alle nostre bocche, alle nostre mani.
— Di che parlava, il film della tua vita?

Giovanni Merloni

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Vieni, c’è un pacco in cima alle scale ! (Caramella n. 2)

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Vieni, c’è un pacco in cima alle scale !

Caramella,
Sto facendo un po’ di confusione. Tu mi hai detto: — Vieni, c’è un pacco da scartare in cima alle scale ! Ma senza altre spiegazioni questo invito vaga nella mia testa agitata come quegli aeroplanini di carta che si facevano in classe durante l’ora di religione e vedo ora volteggiare sul mare di Ostia.
Di quali scale intendevi parlare ? Forse dei cento ventiquattro gradini che portano all’Aracœli ? Là dove ci mandò una volta la professoressa Cellini con quel suo perentorio « da riconoscere » ? C’eri anche tu in quella specie di orda di vandali? Tanti gradini tutti d’un fiato non sono uno scherzo, ma ne valeva la pena. Lassù, chi pensava al panorama di Roma? Nessuno di noi aveva il tempo o la voglia di scalfire la solida scorza della nostra beata ignoranza per accorgersi di quella mostruosità. Quella povera chiesa, quasi nascosta dietro una modesta facciata di mattoni, sembrava una bella paesanotta presa in trappola, così brutalmente incastrata tra i marmi del palazzo michelangiolesco e quelli, di un bianco ancora più falso, dell’immenso monumento al Milite Ignoto. Anche tu chiamavi questa assurdità urbanistica e architettonica  « la macchina da scrivere », e ridevi, illuminandoti tutta. Ma, in quella giornata che fu a lungo indecisa tra il sole e la pioggia, tu ti trinceravi dietro un impermeabile, come del resto le altre due o tre compagne che erano con te. Questo vostro riso complice formava un cerchio invalicabile. E io, per spezzarlo, non avevo nemmeno la scusa delle sigarette. Allora, nel marzo del 1962, in piedi nell’esiguo sagrato della chiesa di Santa Maria in Aracoeli, voi quattro non fumavate di certo. Ma vi ricordo benissimo, infagottate nei vostri grembiuli neri, entrare e uscire fumando dai gabinetti delle donne…
Ma forse quella mattina tu non c’eri, forse sono io che voglio a tutti i costi imprigionarti in questo ricordo così nitido. Può anche darsi che quell’antico altare romano issato sul bordo del cielo fosse invece un tuo luogo segreto e che ora, idealmente, vorresti tornarci con me.
Forse sono su una falsa pista. Ma mi ricordo che la tua scrittrice preferita era Elsa Morante e tu hai letto di sicuro «Aracœli», pubblicato vent’anni dopo la nostra visita. E mi ricordo che durante un’interrogazione raccontasti a Vazzana quanto ti era piaciuta «L’isola di Arturo», che si svolgeva nell’isola di Procida, l’isola degli amori proibiti…
Ti vedo scuotere la testa e dire «no». Impossibile aspettarsi di trovare questo pacco misterioso sul sagrato di una qualsiasi chiesa in cima a una scalinata.
Ma sono irresistibilmente attirato dalla tua natura di lettrice accanita. Tutto ciò mi condurrà in un labirinto parallelo, in un cul de sac… ma non posso farci niente. Sono qui, e ti osservo dal mio quarto banco… Io e te abbiamo in comune il corridoio tra i banchi e tu sei là, seduta al terzo banco della fila, tutta femminile, che costeggia il muro dove si apre la porta della classe…
Leggevi sempre, o forse, come me, studiavi forsennatamente da un’ora all’altra. Oppure ti guardavi intorno, interrogativa, roteando lentamente il tuo lungo collo di giraffa castana come se fosse il periscopio del sottomarino dipinto di rosa di « Operazione sottoveste » con Cary Grant e Tony Curtis… Mi piaceva la tua aria distratta, la leggera patina di polvere scolastica che proteggeva i tuoi eventuali colori. In quell’epoca avevo sempre sottomano due libretti che mia madre aveva portato da Parigi con alci i capolavori di Renoir e Degas. Per me, Caramella, tu eri una delle bagnanti di Renoir, quella con i capelli tirati su.

002_aracoeli muratoreFoto di copertina dell’articolo « 2.000 anni… circa… » pubblicato sul blog di Giorgio Muratore, Archiwatch

A volte, ridendo, esprimevi una tua particolare saggezza…
— Santa Sabina, da riconoscere ! aveva detto la Cellini con gentile autorevolezza, e noi, con l’idea di fare una scampagnata, ci eravamo intrufolati nel giardino degli aranci, quel rettangolo di pace su cui incombe il fianco solenne di una delle più belle chiese del mondo: — Santa Sabina, sull’Aventino! ci cantava la Cellini, mostrandoci la foto sul librone. Quest’usanza, di mettere la mano sulla didascalia e pretendere di avere spiattellato il nome del palazzo o della chiesa la ritrovai poi in Zevi e Portoghesi, convinti torturatori entrambi, agli esami di storia dell’architettura.
Ma se ben mi ricordo ci siamo andati da soli a Santa Sabina, su un tappeto volante. La scalinata blanda e verdeggiante l’ho fatta dopo, da solo, dopo averti tristemente salutato. Tu eri attesa da una zia che abitava all’EUR…
Eh sì, ci fu negato quel tempo minimo che mi sarebbe bastato per inchiodarti contro un albero o prenderti soltanto la mano su una panchina in forma di triclinio. Le mie agguerrite speranze dovettero frantumarsi subito dopo, quando «dovesti» fuggire via. Ma prima, come dimenticare quei passi invisibili nel portico semibuio, quell’attimo lunghissimo in cui tu ti sedesti vicino a me su una di quelle seggioline di paglia così pratiche per i nostri paganissimi matrimoni all’italiana… Forse, nel silenzio luminoso di quella incantevole navata tu sentisti il battito del mio cuore. Perché ti voltasti di scatto e mi guardasti negli occhi.
Che strano, forse tutto ciò deriva dall’aver avuto un padre schivo e gentile e una madre affabulatrice e di conseguenza ammaliatrice… Forse tutto, in me, dipende dal fascino di quella voce che doveva arrivare senza preavviso, affacciandosi sul mio letto come una fata turchina.
Sta di fatto che già allora, in quel minuto e mezzo che tu mi regalasti in mezzo ai fiori di un matrimonio celebrato da poco, io mi ero già assuefatto a vivere il presente con fatalismo e rassegnazione. Pronto a cogliere l’attimo di distrazione di un marito o di un padre, per godere il «bel momento». Del resto, in quel meriggio digiunante sospeso tra la campanella scolastica e il ritorno a casa, fosti tu a dire : — peccato, io sono negata per la fotografia… ma questo sarebbe proprio un momento da fermare!
Avrei dovuto risponderti qualcosa di intelligente, ma, in quel momento, la mia testa galleggiava nel vuoto come quella di un merlo spaurito. Ti feci cascare letteralmente le braccia quando dissi: — così avremmo fatto vedere alla professoressa di storia dell’arte che ci siamo venuti davvero, a Santa Sabina!
Ma, intanto, io vivevo una parentesi di gioia intensa, incommensurabile. Se fossimo rimasti chiusi lì dentro fino al giorno dopo non avremmo avuto paura di niente.

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Ecco, che stupido! Ora capisco quello che mi volevi dire in mezzo al sogno di stazioni parigine e di elicotteri piombanti sulla rotonda di Ostia: tu parli di un vero e proprio pacco che, a quanto pare, è ancora lassù, in cima alle scale del Mamiani!
Volevi farmi una sorpresa? Oppure cercavi soltanto di rimandare « sine die » l’amaro disinganno? È inutile, Caramella, continuare a illudersi che là dentro ci siano  le nostre lettere che, invece, ahimè, sono andate perdute!

Giovanni Merloni

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TESTO IN FRANCESE

Dovremmo avviarci, prima che faccia di nuovo buio! (Caramella n. 1)

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Dovremmo avviarci, prima che faccia di nuovo buio!

Caramella,
per prima cosa, mi piacerebbe fare una passeggiata con te sul lungomare di Ostia. Questo confine tra l’asfalto e le bizze del mare selvaggio che nel ricordo mi sembra unico e pieno di bellezza. Una bellezza forse invisibile, o perduta nei meandri di qualche film fatto in casa. Un quartiere di Roma sbattuto fino al pelo dell’acqua. Stranamente, nel ricordo, la pineta che aleggia alle spalle con la sua macchia irsuta e i suoi ombrelli verdi e grigi, mi fa paura. Preferisco quella pacifica desolazione traversata da aeroplanini di carta e strani profumi femminili. Il fatto è che per passeggiare ci vuole un muretto, un mondo circostante di gente che va e viene, di automobili e motociclette che sfrecciano indifferenti e, dall’altra parte, un quadro vivente ma immobile, cangiante ma denso di una precisa personalità: il panorama. O soltanto il colpo d’occhio su quel l’orizzonte bianco e grigio. Camminare con te, respirando il vento con i suoi odori, assaporare un senso di provvisorietà e di smarrimento, vinto a tratti da una specie di eroismo… A Ostia c’è tutto questo e forse c’è anche di più!
Dovrei scapicollarmi, montare su un elicottero e piombare sulla rotonda bianca di mussoliniana memoria, alla fine della Cristoforo Colombo, gridando il tuo nome mentre tu sventoli un fazzoletto bianco.
Ma il mio carattere riflessivo, senza spegnerli, cerca sempre di incanalare i miei impulsi in una corrente di pensieri più realistici. Seduto nella poltrona Frau foderata di giallo acceso e ricoperta di un vecchio plaid che fu dei miei genitori, come la poltrona del resto, sbircio le doghe del parquet a spina di pesce di questo salone parigino… e, attraverso le mie cinque finestre, passo in rassegna la quinta della case grigio-avana del viale, così ben visibili dietro i platani nudi di gennaio. Un costante fruscio mi assicura che l’anno nuovo è cominciato, La gente, giù in strada, cerca di fare qualcosa. Certo è sabato, domani sarà di nuovo domenica, portatrice di nuove immobilità e di giri viziosi… Come faccio a partire? Non potresti venire tu?
Verrei a prenderti alla Gare de Lyon, ti aiuterei a sbrogliartela con la valigia e le borse e ti trascinerei subito nel metrò. Poi, ti accompagnerei in albergo. Avrei scelto per te l’hôtel Chopin. Si trova nel bel mezzo del Passage Jouffroy, una splendida galleria di negozi dove il suono dei tacchi e il rumore del carrello della valigia non passerebbero inosservati. Nonostante l’inquietante vicinanza del museo delle cere. Del resto, Parigi non ama gli spettri. Tutto è vivo, qui. E i «grandi defunti» rivivono gioiosamente insieme ai «piccoli vivi» come noi, in un continuo scambio di suggestioni e pulsioni di amore reciproco.
Purtroppo, il mio realismo odierno non riesce ad immaginare altro che una passeggiata ritardataria come la nostra… Una lenta, magica e forse lunghissima passeggiata. Perché siamo sempre stati costretti, tutti e due, a frenare i nostri impulsi più pericolosi, confinandoli in una specie di timidezza o di goffaggine rinunciataria…
Oppure, chissà… Se le terribili vicissitudini delle nostre vite nomadi ci hanno scaraventato su queste due rive lontane… che oggi sembrano di punto in bianco vicine, vicinissime, al punto quasi di toccarsi…
Dovremmo avviarci, prima che faccia di nuovo buio.

Giovanni Merloni

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TESTO IN FRANCESE

Una lunghissima poesia per Ossidiana, «la fata»

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Louis Malle, Les amants (1958)

Una lunghissima poesia per Ossidiana, «la fata»

Cari lettori e lettrici,
nel bel mezzo di una « pausa di lavoro » che mi impegnerà per una decina di giorni circa, vi invio il primo frutto del mio travaglio. Si tratta comunque di « work in progress », di un lavoro cioè che  necessita di ulteriori passaggi.
Ma, d’ora in poi, voi potrete trovare qui, se vi interessa, tutti i 68 poemi della raccolta « Ossidiana », che si possono anche leggere  « in fila », in un l’ordine cronologico rovesciato, a partire dal seguente tag-password Ossidiana.
Il lavoro che mi aspetta, prima di poter considerare compiuto il mio dovere nei confronti di questo « pezzo » ancor vivo e importante della mia « vita oramai vissuta » — un « vissuto » condiviso con tanti amici, amiche e personaggi di Bologna, Ferrara, Forlì, Cesena, Modena, Reggio Emilia e Parma che sono ancora lì oppure sono scomparsi, lasciando spesso dei vuoti dolorosissimi —, sarà soprattutto quello di rivedere una a una le poesie ancora imperfette, ancora prive, qui e là, di qualcosa di essenziale, ancora lontane dal suo significato profondo e intimo. Ma ho anche l’ambizione di andare al di là di questa indispensabile « fedeltà » a ognuno di questi « frammenti di un discorso amoroso ». Prima o poi, se ce ne sarà il tempo, dovrà risuscitare « l’altra storia », che non può certo ridursi alla storia di un istante, di un incontro isolato, del colloquio di una coppia seduta in una « paninoteca » di via Sant’Isaia o su una panchina dei Giardini Margherita. Essa deve essere comprensibile, anche se filtrata, per forra di cose, dal rispetto e dal pudore che io devo a queste memorie « sacre », alla persona che vive accanto al personaggio che risponde al nome di Ossidiana. Il nome di una pietra esotica e vulcanica, esuberante, esplosiva e, nello stesso tempo, capace di tranquillizzare, di dare un senso alle parole che le sono indirizzate con devozione ma senza  precauzioni. Parole, gesti e atteggiamenti rivelatori talvolta di imbarazzo, di incertezza,  di energie inopportune ed eccessive… D’altronde, non c’è niente di più bello, in un incontro amoroso, che vedere perdonati o addirittura amati i nostri difetti e le nostre « gravi » incapacità !
In generale, alla fine di questo periodo oscuro di « ristrutturazione », spero di rendere « il ritratto incosciente » più adatto alle esigenze dei lettori e delle lettrici meno superficiali, a cui si rivolgono sempre i miei pensieri e le mie preoccupazioni. Insieme al desiderio di poter loro offrire qualcosa di sincero e di bello da leggere (e da vedere).

ARCHIVES DE TAG: OSSIDIANA

Buffa storia, 1975 (Ossidiana n. 1)
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Let’s spend the night together, 1976 (0ssidiana n. 2)
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Cosa sei, cosa siamo, 1975 (Ossidiana n. 3)
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Signora Rubens, 1975 (Ossidiana n. 4)
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Un viaggio a piedi, 1975 (Ossidiana n. 5)
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Incomincia quasi l’estate, 1976 (Ossidiana n. 6)
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Rotola a terra, 1975 (Ossidiana n. 8)
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La primavera è la tua mano, 1975 (Ossidiana n. 9)
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L’autunno è i tuoi capelli, 1975 (Ossidiana n. 10)
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L’inverno è la tua bocca, 1975 (Ossidiana n. 11)
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L’estate è i tuoi occhi, 1975 (Ossidiana n. 12)
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La sua casa ridiventa centro, 1976 (Ossidiana n. 13)
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Coraçon maldito, 1976 (Ossidiana n. 14)
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Questa gente, 1975 (Ossidiana n. 15)
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I modi possibili, 1975 (Ossidiana n. 16)
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Quella bambina gravemente ammalata, 1976 (Ossidiana n. 17)
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Recinto della solitudine, 1976 (Ossidiana n. 18)
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Sorreggo il mio corpo di burattino ferito, 1976 (Ossidiana n. 19)
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Si ributta dietro le spalle, 1976 (Ossidiana n. 20)
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Un uomo ombroso, 1975 (Ossidiana n. 21)
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La mia settimana. Lunedì, 1975 (Ossidiana n. 22a)
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Samedi
Apr 2013

La mia settimana. Domenica, 1975 (Ossidiana n. 22g)
14
Dimanche
Apr 2013

« Quale destino ? », 1975 (Ossidiana n. 23)
12
Mardi
Nov 2013

Mi abituo a lasciarti, 1976 (Ossidiana n. 24)
14
Jeudi
Nov 2013

Il biglietto, 1975 (Ossidiana n. 25)
15
Vendredi
Nov 2013

Senza fissa dimora, 1975 (Ossidiana n. 26)
07
Mardi
Jan 2014

Ricco di un entusiasmo indifeso, 1976 (Ossidiana n. 27)
30
Dimanche
Mar 2014

Tra due barche, 1975 (Ossidiana n. 28)
01
Mardi
Apr 2014

Potrei anche diventare allegro, 1975 (Ossidiana n. 29)
03
Jeudi
Apr 2014

Mi sono schierato, 1975 (Ossidiana n. 30)
07
Lundi
Apr 2014

La sola forza di un sorriso, 1975 (Ossidiana n. 31)
09
Mercredi
Apr 2014

Forse è il momento, 1975 (Ossidiana n. 32)
11
Vendredi
Apr 2014

I modi possibili, 1975 (Ossidiana n. 33)
12
Samedi
Apr 2014

Per racimolare un senso compiuto a questa speranza, 1975 (Ossidiana n. 34)
16
Mercredi
Apr 2014

San Marco all’alba, 1975 (Ossidiana n. 35)
16
Vendredi
May 2014

La vita è un buffo gioco, 1975 (Ossidiana n. 36)
23
Vendredi
May 2014

Poco alla volta, 1975 (Ossidiana n. 37)
05
Jeudi
Jun 2014

Un uccello azzurro, 1975 (Ossidiana n. 38)
19
Jeudi
Jun 2014

Una piccola parentesi, 1975 (Ossidiana n. 39)
23
Lundi
Jun 2014

Gli inutili oggetti, 1976 (Ossidiana n. 40)
24
Jeudi
Jul 2014

Ogni giorno ti aspetto, 1975 (Ossidiana n. 41)
01
Vendredi
Aug 2014

Il progetto di una poesia, 1975 (Ossidiana n. 42)
18
Dimanche
Jan 2015

La poesia stracciata, 1976 (Ossidiana n. 43)
20
Mardi
Jan 2015

Ognuno è un numero, 1975 (Ossidiana n. 44)
28
Jeudi
May 2015

Passeggiata, 1976 (Ossidiana n. 45)
11
Samedi
Jul 2015

Specchio di una casa di studenti, 1976 (Ossidiana n. 46)
11
Samedi
Jul 2015

Il tuo volto è il tuo nome, 1975 (Ossidiana n. 47)
13
Lundi
Jul 2015

Dopo, 1975 (Ossidiana n. 48)
14
Mardi
Jul 2015

Nel sogno c’è la vita, 1975 (Ossidiana n. 49)
16
Jeudi
Jul 2015

Per amare bisogna star soli, 1975 (Ossidiana n. 50)
17
Vendredi
Jul 2015

Per farti piacere, 1976 (Ossidiana n. 51)
22
Mercredi
Jul 2015

Un treno di ombre, 1976 (Ossidiana n. 52)
24
Vendredi
Jul 2015

Tra un attimo parto, 1975 (Ossidiana n. 53)
26
Dimanche
Jul 2015

La tua lunga sciarpa di parole, 1975 (Ossidiana n. 54)
29
Mercredi
Jul 2015

In questi giorni, 1975 (Ossidiana n. 55)
31
Vendredi
Jul 2015

Tu sei tutte le donne, 8 marzo 1975 (Ossidiana n. 56)
24
Lundi
Aug 2015

Ho deciso di scriverti, 1975 (Ossidiana n. 57)
01
Mardi
Sep 2015

Lo stesso entusiasmo distratto, 1975 (Ossidiana n. 58)
07
Lundi
Sep 2015

La nostra casa è un albergo, 1975 (Ossidiana n. 59)
13
Dimanche
Sep 2015

Ex abrupto, 1975 (Ossidiana n. 60)
16
Mercredi
Sep 2015

Per tutta la vita, 1975 (Ossidiana n. 61)
22
Mardi
Sep 2015

La migliore scuola, 1975 (Ossidiana n. 62)
28
Lundi
Sep 2015

Salire tra i gomiti d’acciaio, 1975 (Ossidiana n. 63)
10
Samedi
Oct 2015

Zigzagando a ritroso, 1975 (Ossidiana n. 64)
04
Mercredi
Nov 2015

Riesco a non sprofondare, 1975 (Ossidiana n. 65)
07
Samedi
Nov 2015

Per le strade di una città, 1975 (Ossidiana n. 66)
08
Dimanche
Nov 2015

Al mare, 1975 (Ossidiana n. 67)
25
Mercredi
Nov 2015

Addio, 1976 (Ossidiana n. 68)
26
Jeudi
Nov 2015

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Louis Malle, Les amants (1958)

Giovanni Merloni

Le poesie della raccolta « Ossidiana » sono tutte protette da ©Copyright, come anche gli altri documenti (testi e immagini) pubblicati su questo blog.

Addio, 1976 (Ossidiana n. 68)

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Addio 

Addio, addio, addio, ciao
arrivederci
vorrei morire
vorrei essere già morto
vorrei non pensare
vorrei che la mia morte fosse notificata
a tutti i luoghi
che abbiamo visto insieme.

Addio
non era
evidentemente
logico amarsi
senza i ricatti, i regali
e i mille ostaggi dell’incertezza
senza il giudizio degli altri
e l’oste della malora.

La storia di questo amore
è la storia di un rischio
di un corpo frantumato contro il sole di pietra
di ossessionanti ricordi
del tempo defunto
che non può più parlare.

Mi ero affezionato al tuo mondo
al tuo modo
di manipolare gli oggetti
di dargli un nome.

Addio, eroina
io procedo senza di te
la mia impossibile gara stremata
contro la consuetudine
contro gli incrollabili tabù
del sud, del nord, dell’uomo.

Addio, avevi la testa e non le gambe
per essere la piccola Rosa Luxemburg
che io cercavo.

Addio alle speranze in comune
che da solo non so seguitare.

Addio, per molto tempo
quando sarò appena sereno
quando mi si apriranno degli squarci
di elegante verità
quando vincerò questa gabbia di stupore
e di angoscia
per entrare con circospezione
e amore
nei prati del mondo
mi sembrerà di tradirti.

Giovanni Merloni

De « Il treno della mente » (« Le train de l’esprit »), Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 — ISBN 88-86600-77-1

TESTO IN FRANCESE

Questa poesia è protetta da ©Copyright

Al mare, 1975 (Ossidiana n. 67)

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Al mare

«Quando esplode l’estate la gente più nuda
è ancora vestita.» Tra gli aghi di pino,
nell’aria bruciata, l’impetuoso destino
vorrebbe spogliarsi della coltre dei passi.
Tu, leggera, vestita di foglie, carezzavi il mattino
La tua tunica crespa sfiorava i sassi.

Era luglio. Il vento violento del finestrino
ne copriva i rumori. «Quando esplode
l’amore somiglia all’estate
ma il suo nodo il sole non slega.»

Felice e infelice è il cammino su scale in discesa.
Tu cantavi parole, nervosa, scherzosa.
«Come è cupo l’amore che esplode su un corpo
che nasce alla vita. Alla vita che passa,
veloce e sottile come una canzone.»

Sulla spiaggia le donne
sparivano nei loro ombrelloni
tra un odore di alghe e conchiglie
rovesciate dall’acqua.
Tu lontana, con strani occhialetti,
triste e bella, scivolavi nel sole
eludendo il mio sguardo sperduto.

«Come è strano, la sera, tornare
tra le mura stantie della città maliziosa
odorosa di libri, lontana dal mare.» (1)

Giovanni Merloni

(1) Gita in una località balneare dell’Adriatico nel 1975. La città è Bologna.

De « Il treno della mente » (« Le train de l’esprit »), Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 — ISBN 88-86600-77-1

TEXTE EN FRANÇAIS

Questa poesia è protetta da ©Copyright

Lo so, tu speri (Luna, 1977)

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Lo so, tu speri

Sant’Andrea
rovescia la nebbia rosa
nello specchio delle tue braccia.
Il cielo azzurro, poi celeste
pallido come un affresco
ha ballato senza corpo
intorno alla cupola
disegnata e cancellata
dalla foschia e dal sole.

Lo so, sei bionda, come la vita.

Ma ho viaggiato
perdendomi in angoli
di colline opache. Bologna
come un groppo di carne viva
ancora rotola tra portici bui.

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Lo so, posso parlarti
appoggiarmi alla pietra
sapendo che Roma è là
davanti agli occhi scherzati dal vento
resuscitata e impunita.

Roma è qui, indifferente
ai suoi mille colori
alle sue mille luci
e nella mia pozza di pianto
non getta colori.

Lo so,
in mezzo alle sue miserie
il mio cuore smarrito
troverà altre macerie.

Lo so, la terra e il tempo
dividono le ansie e le speranze
come oggetti, come statue
come vie cercate.

Lo so, tu speri

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Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta da ©Copyright

Un uomo in tuta potrebbe cominciare… (Luna, 1977)

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Un uomo in tuta potrebbe cominciare…

Ci vorrebbe un balletto angelico e sornione
leggero, ma dentro gli odori appiccicaticcio.
Per invito le mie dame, i miei amici diversi
accorrerebbero domandandosi dove sono.
Se quel giorno non fosse perchè sono morto
se fosse un pomeriggio viola di brezza
e un ordinato disegno di cose
accogliesse l’assalto delle terre che ho seminato.
Quando potrò amare senza avarizia
senza ambiguità le mie cose
questa forza di cercare la vita salirà come viticcio
a conquistare il castello, i freschi giardini
le oasi di pace.
Ecco, un giorno come questo
mentre curo, attento, l’orto di un amore vero
mentre osservo senza angoscia i miei gesti
le mie irruenze, le mie stanchezze,
un uomo in tuta potrebbe cominciare
a scaricare nella strada, dal grande camion
le mie cose.

Giovanni Merloni

De « Il treno della mente » (« Le train de l’esprit »), Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 —  ISBN 88-86600-77-1

TEXTE EN FRANÇAIS  

 

Per le strade di una città, 1975 (Ossidiana n. 66)

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Giovanni Merloni, Rigoletto (part.) 1991

Per le strade di una città

Per le strade
di una città
disegnata bianco su bianco
nero su nero
rosso su rosso
viola su viola

una leggera sfumatura
e poi la miriade
dei colori
e delle forme
e il movimento
e il rumore
e l’ebbrezza
e l’eccitazione

e la sorpresa
del tuo vestito
buttato
tra le stoffe del letto
dei tuoi occhi
verso la finestra
della tua bocca socchiusa
del tuo profumo
nel mio dolce sogno.

Giovanni Merloni

Da « Il treno della mente », Edizioni dell’Oleandro, Rome 2000 — ISBN 88-86600-77-1

Questa poesia è protetta da ©Copyright

TEXTE EN FRANÇAIS

Questa poesia è protetta da ©Copyright

Riesco a non sprofondare, 1975 (Ossidiana n. 65)

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Riesco a non sprofondare

Riesco a non sprofondare
a non farmi dilaniare il cuore
anche quando ti vedo in sogno
ridere, divertirti
preparare graziose corbeilles
di esperienze colorate
di estemporanee travolgenti comitive
di giovani chitarre
di eleganti mantelli
di silenziosi capelli ondulati
nel buio di un fuoco acceso.

Nel sogno, riesco a seguirti
come un fratello lasciato a casa
colto all’improvviso
dalla timidezza
tradito all’improvviso
dalla febbre e il mal di testa.

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Lo vedi, non resto inerte
non mi lascio annichilire
dall’eco buia dei tuoi colloqui.

Riesco a sopportare questa separazione
questo tradimento, questa esclusione
inventandomi un incubo o un sogno
in lunghissime ore
di pigri scarabocchi,
costruendo faticosamente
briciola su briciola
— ultimo superstite
di una paziente generazione
di artigiani di immense miniature —
le appropriate forme
di uno stratagemma.

Giovanni Merloni

Questa poesia è protetta da ©Copyright